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Dario Saltari
Per il Milan non è stato facile
03 nov 2022
03 nov 2022
Ma è stato aiutato da Leao, Theo Hernandez e Giroud.
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Dario Saltari
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CHINE NOUVELLE/SIPA
(foto) CHINE NOUVELLE/SIPA
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Il 4-0 inflitto al Salisburgo in una sera da San Siro tutto esaurito è stato per il Milan un sospiro di sollievo da pericolo scampato, di quelli che fai quando accerti che quel piccolo rigonfiamento che hai sotto pelle non è davvero un linfonodo ingrossato. I rossoneri venivano dalla sconfitta contro il Torino, che con un’intensità fuori scala e una grande fluidità nel gestire le marcature a uomo era riuscita a far sembrare quella di Pioli una squadra più normale, più prevedibile di quanto solitamente non sia. La tensione che si è avvertita almeno per tutto il primo tempo, quella strana luce che nelle grandi notti di San Siro fa sembrare ogni singola palla persa decisiva ai fini del risultato finale, era dovuta anche al fatto che il Salisburgo, una squadra per certi versi simile al Torino, aveva già dimostrato all’andata di saper mettere in difficoltà il Milan con un’applicazione estrema del pressing alto e del recupero immediato.

Al Milan, com’era noto, bastava non perdere la partita per passare il turno, ma sembrava chiaro a tutti - innanzitutto agli stessi giocatori di Pioli - che per riuscirci ci sarebbe stato bisogno di una prestazione che andasse molto oltre il normale. In questo senso le dichiarazioni di Pioli, che prima della gara aveva dichiarato che «se i nostri avversari si aspettano il Milan che ha giocato a Torino rimarranno delusi», sembravano più una rassicurazione a se stessi che davvero un avvertimento all’avversario. Un modo per dirsi: siamo qualcosa di più della squadra vista a Torino, giusto?

Le difficoltà create dal RB Salisburgo

Per dare una risposta convinta a questa domanda serve fiducia nei propri mezzi, volontà di andare oltre i propri limiti ma anche un po’ di fortuna a rassicurare che la strada imboccata, nonostante i pericoli, sia quella giusta. I primi due ingredienti al Milan degli ultimi anni non sono quasi mai mancati, e che non sarebbero mancati nemmeno contro il Salisburgo lo si è capito già al terzo minuto, quando un rilancio piuttosto casuale di Tatarusanu verso il centrocampo è stato trasformato nella prima grande occasione della partita attraverso una serie di duelli vinti. Prima Giroud ha provato a controllare il campanile con la suola tenendo l’aggressivo Pavlovic alle spalle e sfiorando il pallone appena con la punta. Poi Leao ha prolungato la traiettoria saltando altissimo e solo al centro della trequarti. Un colpo di testa che sembrava non avere nessuna pretesa ma su cui il Milan è arrivato ancora una volta prima grazie alla strafottenza di Rebic, che con una furba spallata da dietro ha prima buttato giù Solet e poi ha lasciato il pallone all’accorrente Theo Hernandez che, come si dice, ha fatto il resto. Che nel caso specifico significa superare l’uomo in velocità e incrociare il tiro radente l’erba di sinistro per prendere il palo dalla parte opposta. Da subito, insomma, si è capito che era tornato il Milan che vinceva tutti i duelli, qualcuno direbbe il vero Milan, quello che fa sue tutte le palle che teoricamente sarebbero di nessuno.

Sul ritorno ai loro livelli di Theo Hernandez e soprattutto Leao, che nei primi minuti contro il Torino aveva indirizzato la sfida con due errori che non siamo più abituati ad aspettarci, torneremo più avanti, adesso vorrei per un attimo concentrarmi sulla fortuna, perché, nonostante il risultato sembra dire il contrario, il Salisburgo ha avuto la possibilità di inclinare il piano della partita dalla propria parte. Esattamente tre minuti prima dell’1-0 di Giroud, per esempio, una sbavatura in anticipo di Kjaer su un’innocua rimessa laterale ha permesso a Okafor di servire dentro l’area l’accorrente Kjaergaard, che non è riuscito a battere a rete solo per un intervento in scivolata miracoloso di Tomori, una delle cose più simili a una chase down di basket vista negli ultimi anni su un campo da calcio.

Proprio la connessione tra Okafor e Kjaergaard è ciò che ha dato più fastidio al Milan anche per il resto della partita. Nel 4-3-1-2 abbastanza rigido del Salisburgo Okafor era uno dei pochi giocatori a cui era data libertà pressoché totale di decidere dove ricevere e come muoversi. L’ala svizzera ha utilizzato questa libertà con grande intelligenza, a volte ricevendo larghissimo a sinistra, a volte venendo dentro il campo per associarsi con i compagni, altre volte ancora buttandosi alle spalle della difesa rossonera tagliando dai punti più diversi. La creatività di Okafor nei movimenti senza palla ha messo in crisi Kalulu, per l’occasione tornato a fare il terzino destro, che non ha mai capito quanto potesse seguirlo a uomo senza creare scompensi al resto della difesa del Milan. Tre minuti dopo l’1-0 di Giroud, per esempio, il movimento a entrare di Okafor ha portato Kalulu a schiacciarsi accanto a Kjaer liberando lo spazio a sinistra per la salita di Wober, servito da un Pavlovic arrivato in progressione fin nella trequarti avversaria con un filtrante su cui Kjaergaard è stato di nuovo fondamentale (in questo caso nell'impedire a Bennacer di intervenire sulla linea di passaggio).

In questo modo il Salisburgo è arrivato nuovamente al centro dell’area, dove Adamu è riuscito a mettersi alle spalle Tomori e a tirare fronte alla porta. Per fortuna del Milan, il pallone ha come perso consistenza una volta entrato a contatto con il suo piede, e il suo tiro è finito docile tra le mani di Tatarusanu.

È stato un pattern che si è ripetuto per tutto il primo tempo. Bennacer e Tonali erano troppo concentrati ad impedire le ricezioni al centro per il trequartista Sucic, e lasciavano spazio nel mezzo spazio di sinistra a Kjaergaard, che non si faceva nessun problema poi a buttarsi in area. Sulla mezzala danese a volte ci saliva per disperazione Kjaer, rendendo ancora più difficile il lavoro di Kalulu, impegnatissimo alle sua spalle a capire dove sarebbe andato questa volta Okafor e poco aiutato da Rebic, che non ha mai seguito le sovrapposizioni di Wober a sinistra.

In questo modo il Salisburgo è arrivato spesso a tirare in area, ma senza mai riuscire a segnare. La conferma che la palla probabilmente non sarebbe mai entrata è arrivata alla fine del primo tempo. Per l’ennesima volta Kjaergaard ha sfondato a sinistra in progressione sfruttando la solita posizione troppo centrale di Kalulu e ha servito al centro dell’area Adamu, che da ottima posizione questa volta ha tirato addosso a Tatarusanu. È stata forse questa la rassicurazione definitiva che ha permesso al Milan di giocare con la leggerezza che gli serviva per vincere la partita. Avere l’impressione di potersi concedere anche qualche sbavatura senza il pallone nell’attesa che la semplice superiorità di alcuni suoi giocatori facesse il resto.

L’importanza di Leao e Theo Hernandez

Quando dico alcuni suoi giocatori sapete benissimo a chi mi riferisco. Che per Leao e Theo Hernandez fosse solo questione di tempo lo si era già capito molto presto nel primo tempo. Al 26', per esempio, arriva al raddoppio (poi annullato per fuorigioco) con un movimento di Leao che non si vede tutti i giorni. Un taglio incontro a raccogliere un pallone sparato in avanti un po’ a caso da Rebic e difeso spalle alla porta sulla mediana come la più navigata delle prime punte. Il Salisburgo deve aver capito in quel momento che non c’era niente da fare, perché nel tentativo di accorciare il campo in avanti come fa sempre in questa situazione, Leao è riuscito a girarsi alla sua destra e a lasciare il pallone a Theo Hernandez, che era partito dalla sua area con una di quelle corse su cui semplicemente non si può difendere.

Il loro talento, che quando si connette sul centrosinistra ha la stessa inesorabilità delle onde energetiche di Dragon Ball, è debordato nel secondo tempo, quando le energie del Salisburgo hanno iniziato a scemare. Il 3-0 che ha di fatto chiuso la partita, per dire, è nato ancora una volta dalla sua connessione. Theo Hernandez ha avuto per tutta la partita l’intelligenza di cercare le ricezioni molto in alto e molto dentro il campo, per sfruttare la grande densità che faceva il Salisburgo in zona palla scoprendo quindi molto il lato debole.

A quel punto gli bastava inclinare il campo davanti a lui per far cadere tutta la squadra avversaria dentro la propria area, liberando lo spazio sulla trequarti a Leao. Non che l’ala portoghese ne avesse più di tanto bisogno perché con le sue falcate da gigante sembrava semplicemente andare troppo veloce per gli avversari, ridotti a lillipuziani inermi davanti al suo incedere. Prima che la palla arrivi, un po’ fortunosamente a Giroud dentro l’area, Leao la porta dalla fascia sinistra a quella destra, nemmeno dribblando gli avversari, ma semplicemente aggirandoli, come se fossero conetti d’allenamento. Pochi minuti dopo Theo Hernandez ha ricevuto di nuovo libero a sinistra sfruttando la densità in zona palla del Salisburgo e con un cross basso dalla trequarti ha messo Leao nelle condizioni di battere da solo dal dischetto del rigore. La traversa non ha cancellato il senso di impotenza che devono aver lasciato questi due giocatori al Salisburgo, impegnatissimo a rimpicciolire il campo di gioco pressando in avanti con tutte le sue forze solo per vederlo strappato dalle progressioni brutali di Theo e dalla danza leggera ma inesorabile di Leao.

Se il talento di Leao e Theo Hernandez è ciò che ha reso il Milan inafferrabile per una squadra come il Salisburgo, che basa il suo successo proprio sulla capacità di vincere i duelli difendendo in avanti, è giusto che il volto del Milan attuale sia Olivier Giroud. L’attaccante francese, arrivato a Milano per fare la stampella di Zlatan Ibrahimovic, sembra oggi il concentrato migliore delle qualità che riconosciamo alla squadra di Pioli. Un giocatore intelligente, che sa togliersi di mezzo per fare spazio al talento altrui, fare un lavoro invisibile per gran parte della partita, per poi ricomparire quando serve con un tocco magari poco appariscente ma decisivo ai fini del risultato. Più dei due gol, ieri è stato l’assist a Krunic per il gol del 2-0 a definire il talento di Giroud, un attaccante capace di crearsi il suo spazio in un area affollata di difensori avversari come chi riesce a leggere in piedi nella metro strapiena, e di servire di testa un compagno ai limiti dell’area piccola.

Giroud sembra essere sempre al posto giusto al momento giusto, pronto a fare la cosa giusta. Magari è il suo rapporto con il divino a renderlo un giocatore fortunato, forse la fortuna non c’entra niente e siamo di fronte a un attaccante il cui talento è talmente sottile da non venire riconosciuto per quello che è. Sia quel che sia, oggi non è più una bestemmia dire che Giroud è il giocatore che meglio rappresenta il Milan di Pioli. Una squadra non sempre dominante, perché spesso non ne ha nemmeno bisogno, ma che sa che armi usare e quando utilizzarle, e che soprattutto ne ha molte di più di quanto siamo disposti a concedergli. Come Giroud, il Milan deve riconquistarsi ogni volta il suo status di grande squadra, come se trovasse un piacere tutto suo nel dimostrare il suo valore. Come se non avesse fatto già tutta la strada che l’ha portato fino a qui.

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