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Il meglio dalla pausa delle Nazionali
12 set 2018
È stata una settimana intensa tra Nations League, amichevoli e altre competizioni internazionali in giro per il mondo.
(articolo)
25 min
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1) La Francia e la Germania non cambiano

Francesco Lisanti

Nella prima partita dopo la vittoria dei Mondiali, l’Italia del 2006 si presentò in campo con Christian Terlizzi, Gennaro Delvecchio e Mauro Esposito. Era un’amichevole di ferragosto con il campionato bloccato dai tribunali, una cornice poco competitiva rispetto alle intenzioni con cui nasce la Nations League. Quella nazionale si trovava però in una condizione simile rispetto alla Francia e alla Germania che si sono affrontate a Monaco. I primi hanno vinto i Mondiali, i secondi hanno fallito fragorosamente, due capitoli che secondo tradizione segnano la fine di un volume e l’inizio del successivo.

Nessuna delle due squadre ha in realtà mostrato la stessa urgenza di cambiamento. Löw e Deschamps godono di un credito enorme presso le rispettive federazioni (Deschamps era stato confermato già prima dei Mondiali, il contratto di Löw è stato rinnovato due giorni dopo la sconfitta con la Corea del Sud), e a distanza di due mesi hanno portato in campo gli stessi giocatori e le stesse idee con cui avevano lasciato la Russia. Il 4-2-3-1, modulo di partenza comune a entrambi gli schieramenti, è stato declinato in forme differenti dalle due squadre così come eravamo abituati a vedere.

Sia contro la Germania, che nell'amichevole successiva contro l'Olanda, Deschamps ha messo in campo proprio lo stesso undici titolare con cui ha vinto i Mondiali, ad eccezione di Areola al posto dell’infortunato Lloris. Forse Deschamps ha frainteso quando qualcuno gli deve aver detto che questa Francia resterà per sempre nella storia, e pensa di non dover cambiare niente per vincere il prossimo Europeo e, perché no, il prossimo Mondiale. La notizia migliore in questo senso è che dopo l’entusiasmo dei festeggiamenti la sua squadra ha mantenuto viva quell’intesa reciproca, quell’armoniosa geometria di movimenti in cui ogni spostamento del pallone viene accompagnato dalla reazione sincronizzata di tutti i reparti. Quanto durerà effettivamente non è dato saperlo, ma perché pensare ai postumi del mattino successivo durante la festa?

Da parte sua, Löw ha cambiato ancora la formazione titolare, come ha fatto anche durante i Mondiali, ma ha tenuto al loro posto i punti fermi di questa nazionale: Neuer in porta, Boateng e Hummels al centro della difesa, Kroos sul centro-sinistra, Müller su tutto il fronte d’attacco. In attesa di trovare un centravanti congeniale al suo gioco, ha richiesto quei movimenti a Marco Reus, che però ha faticato a prevalere su Umtiti e Varane.

Werner invece è stato riproposto nel ruolo di ala sinistra, dove si era già disimpegnato in Russia con alterne fortune. Nel ruolo che era di Özil si sono alternati Goretzka, che ha provato a stare più vicino a Reus in area di rigore, e Gundogan, che ha giocato da classica mezzala destra di possesso. Il suo ingresso nel secondo tempo ha aumentato la qualità del centrocampo tedesco, che ha progressivamente conquistato il controllo sulla partita, schiacciando la Francia negli ultimi trenta metri.

Rispetto a due mesi fa la Germania non è stata soltanto più precisa con il pallone, ma nel complesso più attenta a non ripetere le disastrose transizioni difensive che sono costate l’eliminazione. Spostare al centro una fonte di gioco come Kimmich ha aiutato in questo senso, perché il suo posto a destra è stato preso da Ginter, che ha potuto concentrarsi sui movimenti senza palla. Con lo stesso obiettivo, Löw ha inoltre rinunciato a recuperare in alto il pallone, esponendo la sterilità offensiva della Francia negli spazi stretti.

Non è stata una partita spettacolare, come confermano anche gli xG, ma è stata una partita dall’alto tasso tecnico, ricca di azioni prolungate, passaggi complessi e uscite dal pressing rischiose. Non è servita a delineare le gerarchie nel Gruppo 1 della Lega A, ma ha rivelato chiaramente che la strada tracciata da Francia e Germania prosegue nel solco della continuità rispetto al biennio precedente. Nessuna delle due squadre sente di aver toccato l’apice o il fondo di questo ciclo. Hanno alle spalle una solida programmazione e una florida officina di talenti, e possono permetterselo.

2) Questo gol di Eden Hazard ricorda come io gioco col mio cane facendogli le finte

Daniele Manusia

Adesso possiamo dire che il Belgio è stata la nazionale a mettere più in difficoltà la Francia campione. Questo gol di Hazard in amichevole con la Scozia, invece, ci dice che, fosse per lui, si potrebbe anche rigiocare domani il Mondiale. Il dettaglio più bello del gol del 2-0, oltre al gioco di suola di Hazard con cui confonde le idee a Ryan Fraser, il numero 2 della Scozia (esterno del Bournemouth), è il saltello spaventato del fratello, Thorgan, che dopo aver concluso il taglio in area di rigore gli passa davanti mentre carica il tiro e teme che la palla uscita dal piede di Eden lo trapassi da parte a parte.

3) Quante finaliste passate del Mondiale hanno perso 6-0 appena due mesi dopo?

Non che sia gravissimo, ma non è questo il modo di cominciare la Nations League. Forse c'è ancora un po' di confusione tra Nations League e amichevoli, e la Croazia non era proprio concentratissima. Ma ha rischiato di passare in vantaggio almeno due volte nei primi 20 minuti, con Ivan Santini (attaccante 29enne dell’Anderlecht che era fatto parte dei 32 convocati per il Mondiale ma che alla fine Dalic non si era portato in Russia) e Ivan Perisic che da soli davanti a De Gea hanno fallito le loro occasioni. Poi però la Spagna è passata in vantaggio dopo un’azione di 68 secondi, con un colpo di testa di Saul su cross di esterno di Dani Carvajal.

E insomma ci ritroviamo a parlare dell’immensa qualità spagnola tra centrocampo e trequarti di campo - ieri giocavano contemporaneamente Sergio Busquets, Isco, Asensio, Saul e Dani Ceballos, e per farvi un’idea aggiungete quelli che non giocavano: Thiago Alcantara, Koke; Carlos Soler e Fabian Ruiz ancora mai convocati, Rodri che è ancora in Under 21 - dopo che l’ottavo di finale con la Russia ci aveva riempito la bocca di frasi dal senso opposto, con il solito finto contrasto tra qualità e risultati.

Il gioco offensivo di Luis Enrique, fatto di strappi verticali dopo un possesso consolidato, esalta ovviamente Asensio, che con la palla tra i piedi potrebbe portare attraversare Piazza del Popolo il 31 dicembre a mezzanotte senza perdere contatto, ma anche Saul che così si catapulta in area sempre con un tempismo perfetto. Il che ci lascia anche con la domanda: Saul è uno dei giocatori di cui si parla meno, in rapporto a quanto è forte?

4) Quanto vi era mancato Advincula?

A noi molto.

Il terzino del Perù quest’anno gioca nel Rayo. Stessa maglia stesso hype per uno dei terzini più divertenti del pianeta.

5) Quanto è forte De Gea?

Dunque, difficile da quantificare. Anche usando gli xG, che ci dicono che lo scorso anno David De Gea ha risparmiato al Manchester United all’incirca 14 gol. Se per un attaccante le statistiche avanzate possono in effetti bastare a rispondere a una domanda così vaga, niente rende l’idea dell’elasticità unica con cui un portiere può coprire la superficie di porta. Forse la cosa migliore è guardare parate tipo queste:

https://twitter.com/Bacar19/status/1038525294251069442

All’esordio in Nations League la Spagna ha vinto a Wembley con l’Inghilterra (1-2) e per capire quanto è forte De Gea dovete chiudere gli occhi e immaginare di essere un calciatore professionista, un difensore, diciamo uno dei due centrali. Immaginate che l’attaccante avversario abbia scattato nello spazio che vi separa dal vostro compagno di reparto, partendo con una frazione di secondo di anticipo su di voi che non vi permetterà di recuperarlo.

Immaginate a questo punto di guardare il resto dell’azione da spettatore non pagante, e di iniziare, prima ancora che l’attaccante tiri, a stare male per il gol che la squadra ha preso per una vostra distrazione. Mentre l’attaccante carica il tiro - ha ¾ della porta liberi davanti - vi state già chiedendo cosa potevate fare per evitarlo: dovevate stare più stretti? Sicuro. Più bassi? Forse. Perché queste cose capitano sempre a voi, vi chiedete quando l’attaccante colpisce e la palla si indirizza rasoterra all’angolo opposto. A quel punto, però, David De Gea la para di piede, in spaccata. Vi eravate dimenticati ci fosse il portiere. Perché l’istinto e l’esperienza vi dicono che il portiere non può nulla in quei casi. E invece, David De Gea può. Ecco quanto è forte David De Gea.

6) Eriksen è la Danimarca

Daniele V. Morrone

https://twitter.com/SkySportsStatto/status/1038834365051166720

Tutti sanno della storia assurda della Danimarca scesa in campo nell’amichevole contro la Slovacchia con la squadra formata dai giocatori di futsal per via del contenzioso economico con i calciatori professionisti. Nell’esordio della Nations League, però, tutto è tornato alla normalità e per la Danimarca significa che Christian Eriksen ha deciso la partita.

La Danimarca di Åge Hareide è una squadra che vuole essere sempre verticale, correre sul campo e distendersi dopo aver protetto la propria area. Per giocare a questa velocità in una squadra che non può allenarsi tutti i giorni serve ovviamente la capacità di eseguire il gesto in poco tempo. Serve tecnica, quella che non manca appunto a Christian Eriksen. Il numero 10 ha giocato con un fioretto al posto del destro: uno, massimo due tocchi dopo il primo controllo, in punta di piedi prima di poter dare la stilettata. Ordinare la manovra della sua squadra scegliendo il compagno da attivare.

Contro il Galles ha provato anche azioni ambiziose, alcune sono riuscite benissimo, altre l’hanno portato a sbagliare qualche pallone in rifinitura. Una l’ha portato anche a segnare un bel gol: sfruttando l’ingenuità del diciassettenne Ampadu, che distrattosi un attimo attratto dal pallone lo lascia libero di muoversi in area, Eriksen può ricevere un cross rasoterra due passi dentro l’area. Il passaggio non è il massimo, lento e con traiettoria a rientrare finisce leggermente dietro rispetto al corpo, rendendolo impossibile da colpire al volo. Qui c’è la tecnica di Eriksen che fa la differenza, perché utilizzando il primo controllo di piatto destro, si alza il pallone quel tanto che basta per poi con un movimento continuato colpirlo bene di collo interno e indirizzarlo sul palo lontano. Il tutto senza aver mai guardato la porta.

In questo momento storico la Danimarca sembra totalmente dipendente dal suo numero 10, un giocatore poco accentratore, ma molto bravo a capire quando e come intervenire. La doppietta per il 2-0 finale significa che nelle ultime 18 presenze con la Danimarca ha messo lo zampino in 21 gol (con 15 gol personali e 6 assist).

7) Intanto Son combatte il razzismo a modo suo

Così:

Son non solo non deve fare il militare avendo vinto i giochi asiatici, ma umilia pubblicamente Valdes, con una busta di tacco di quelle che ti fanno considerare la possibilità di dare l’addio al calcio, che pochi giorni prima dell’amichevole tra Cile e Korea del Sud era finito sui giornali per una foto in cui mimava gli occhi a mandorla, gesto internazionalmente riconosciuto come discriminatorio nei confronti delle popolazioni asiatiche.

Poi non dite che il karma non esiste.

8) Le gif della Francia che festeggia il Mondiale prima di giocare contro l’Olanda allo Stade de France fanno molto ridere

La sfida tra Francia e Olanda è stata piuttosto la copertina della grande ennesima festa dei blues, che hanno alzato la coppa davanti ai loro tifosi. Un’operazione efficace soprattutto per la grande forza comunicativa dei giocatori, in grado di creare singoli momenti di esaltazione collettiva:

Griezmann non dimentica che dopotutto Coppa del Mondo e Fortnite sono due elementi inscindibili

https://gph.is/2x3vxHQ

Pogba ormai fa storia a sé

https://gph.is/2QhDpOZ

Se tutti hanno sublimato la loro passerella con dei gesti incomprensibili ma cool, N’golo Kanté si è limitato ad una carezza

https://gph.is/2Ny30og

Poi il capitano Lloris ha ripetuto l’operazione che tutti abbiamo sognato almeno una volta

https://gph.is/2NwDRKw

Come in tutte le ottime feste, dopo è stato il momento dei balli, sobri, sulle note di Ramenez la coupe à la maison di Vegedream

https://gph.is/2CIKTru

Per concludere tutto lo stadio canta per Kanté, centrocampista ed essere umano adorabile

9) Stati Uniti vs Messico non potrà mai essereun’amichevole

Fabrizio Gabrielli

I due colossi centramericani si sono sfidati schierando formazioni piene di calciatori che probabilmente, se non si perderanno per strada, saranno le stelle del Mondiale che si giocherà in casa loro nel 2026.

Diego Lainez, classe 2000, è la next big thing del calcio messicano, oltre che l’ennesimo laterale d’attacco ipertecnico e rocambolescamente rapido, e a un certo punto ha deciso di ridicolizzare Will Trapp così:

Ovviamente gli yankees non l’hanno vissuta con lo spirito più decoubertiniano: Matt Miazga, per esempio, ha deciso di rispolverare il cliché dei messicani bassi inscenando il beef più ridicolo, e in qualche modo significativo dei nostri tempi, della finestra di amichevoli delle Nazionali.

https://twitter.com/JuanDirection58/status/1039716271233724416

Ma Lainez è un ragazzo intelligente, e ha la Vergine di Guadalupe come sfondo di copertina del suo profilo Twitter: «Non ci sono rimasto male», ha detto. «I calciatori hanno altezze diverse, e anche abilità diverse».

Se anche a voi ha dato l’impressione di essere la prosecuzione del beef, datemi un cinque alto.

10) Ryan Babel ha segnato contro la Francia

La Francia ha vinto lo stesso e Giroud è tornato a segnare, ma il gol del 1-1 lo ha segnato Ryan Babel. A 31 anni. Con i capelli rossi. Di stinco. O di ginocchio. E i tifosi del Liverpool sono impazziti. Giustamente.

https://twitter.com/ColoWio/status/1038888212700311553?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1038888212700311553&ref_url=http%3A%2F%2Fwww.hitc.com%2Fen-gb%2F2018%2F09%2F10%2Fliverpool-fans-react-as-ryan-babel-scores-for-netherlands%2F

11) Schick profeta in patria

Daniele Manusia

È inaccettabile che un giocatore come Schick, in un momento come quello che sta passando la Roma, con parte dei tifosi sul piede di guerra dopo la cessione di Strootman e la sconfitta con il Milan, dopo un anno interlocutorio in cui non si è capito neanche se dovrà ereditare il centro dell’attacco da Dzeko - chissà, un domani - giocargli dietro scombinando il 4-3-3 di Di Francesco, o giocarsi il posto a destra con gente come Under e Kluivert che sembra avere una fame di calcio che Schick non avrebbe neanche se lo tenessimo legato in una cella a pane e acqua per un mese, è inaccettabile, dicevo, che Patrick Schick al primo pallone giocato dell’amichevole tra Repubblica Ceca e Ucraina, partendo dalla trequarti di campo palla al piede, con un uomo davanti, arrivi fin dentro all’area di rigore e poi scarichi un violento collo sinistro sotto la traversa.

Schick al momento ha segnato solo 3 gol in partite ufficiali con la maglia della Roma, contro Torino (controllo e tiro da dentro l’area), SPAL (di testa) e Chievo (di sinistro su un cross basso). Tutti piuttosto dimenticabili. Cosa gli manca a Roma per fare un gol così bello e semplice? Basterebbe spostarlo a sinistra? Quanta fiducia ci vuole per allungarsi la palla sul proprio piede preferito e scaricare con violenza la palla in rete? Un gol di questo tipo è rassicurante, consolatorio, per chi lo realizza e per i suoi tifosi. È la conferma che dentro Patrick Shick, da qualche parte, c’è un attaccante vero e proprio, che poi magari deve partire qualche metro più dietro, o sul lato, ma che quando sente l’odore della porta sa affondare il colpo. Ci ricorda che Patrick Shick è ancora quello del gol contro il Crotone.

Già, ma “perché questo cose non le fa con la maglia della Roma?”, si chiedono i tifosi. Semplicemente inaccettabile. E infatti Schick ha accusato un dolore all’adduttore e contro la Russia è rimasto in panchina a guardare la sua squadra perdere 5 a 1 contro la Russia. Adesso è pronto per tornare a Roma.

12) Il figlio di Hagi ha segnato da calcio d’angolo con l’Under 21 rumena

13) La Svizzera è molto divertente, ma anche molto complessa

Francesco Lisanti

Cambiano le mode, i governi, i circoli polari, ma la Svizzera esce sempre agli ottavi. È successo in Germania, in Brasile, persino agli ultimi Europei, nella prima edizione in cui li hanno introdotti. È successo anche ai Mondiali di Russia, ma questa volta ha fatto un po’ più male del solito.

Sotto la guida di Petkovic la Svizzera ha perso solo due delle ultime ventisei partite. Un risultato impressionante, ma non giova alla reputazione del tecnico il fatto che fossero proprio le due partite dalla posta in palio più alta: quella contro il Portogallo per l’accesso diretto ai Mondiali, quella contro la Svezia negli ottavi di finale, che gli ha impedito il ritorno ai quarti della competizione dopo 64 anni.

La scialba prestazione sfoderata al cospetto degli arrembanti svedesi ha improvvisamente spento l’entusiasmo intorno alla nazionale, rovesciando i detriti accumulati durante il percorso. Behrami si è ritirato sbattendo la porta: intervistato dalla televisione svizzera ha detto di essere stato messo al bando da Petkovic e di essere «convinto che è stata una decisione politica». Petkovic ha poi spiegato di aver chiamato a turno tutti i senatori per comunicare che nei prossimi impegni avrebbe dato spazio alle riserve, ma con Behrami «le posizioni si sono subito radicalizzate».

Contestualmente Alex Miescher, segretario generale della SFV, suggeriva che era arrivato il momento di vietare la nazionale ai giocatori dalla doppia cittadinanza. «A meno che non rinuncino alle altre cittadinanze», provava a spiegare in un’intervista. Non avrà mai occasione di chiarire cosa intendesse (bruciare i passaporti? giurare sul Vangelo?) perché travolto dal polverone mediatico che ne è conseguito ha deciso di dimettersi dall’incarico.

Alla fine Petkovic ha convocato una conferenza stampa insieme a tutta la squadra con l’obiettivo di «creare trasparenza e apertura». In quell’occasione Xhaka, Lichtsteiner e Shaqiri sono stati chiamati a scusarsi per il gesto dell’aquila di fronte alla comunità internazionale (e soprattutto di fronte ai tifosi svizzeri, che in quel gesto si sono sentiti poco rappresentati). I primi due hanno espresso un laconico pentimento.

Shaqiri invece ha fatto una faccia strafottente e ha detto che non crede che tutti siano in grado di capire per cosa esulta, poi si è preso una pausa, e ha assicurato che nel caso avesse offeso «la sensibilità di persone che guardano le partite non so, nelle loro montagne», allora sarebbe dispiaciuto. Quelli delle montagne sono esplosi.

La faccia che ha fatto Shaqiri quando gli hanno chiesto di scusarsi (Toto Marti, Blick)

Poi la Svizzera è scesa in campo e ha giocato benissimo. Ha seppellito di reti l’Islanda in un 6-0 dai contorni guardiolèschi (63% di possesso palla, 90% di precisione passaggi, 21 tiri tentati a 3). Ha lanciato dal primo minuto tutte le stelle emergenti della nuova generazione, già molto evolute nella comprensione del gioco e nella sensibilità tecnica: Mbabu è sembrato il miglior erede possibile di Lichtsteiner, Akanji, Zakaria e Embolo hanno confermato i lampi mostrati ai Mondiali. Ha proposto un calcio fluido, in cui le posizioni e i compiti si invertono spesso ma tutti i giocatori sembrano a loro agio con la palla in qualunque zona di campo.

L’azione del quarto gol, firmato dal combattivo Seferovic, contiene un dribbling in corsa e un assist di tacco di Schär, uno che in Premier League ha avuto poco spazio e l’ha sfruttato male (suo il fallo da rigore che ha avviato la rimonta del Chelsea), ma in nazionale sembra un talento generazionale. Un po’ quello che succede a Xhaka e Shaqiri, anche contro l’Islanda assoluti dominatori del centrocampo, l’unica risposta che potesse mettere d’accordo i detrattori più ostili.

Poche nazionali riescono a proporre una fase offensiva organizzata. La Svizzera è una di queste, e nel vespaio delle polemiche circostanti ha bisogno della placida leadership e dei virtuosismi tattici di Vladimir Petkovic.

14) A quanto pare George Weah è tornato a giocare

Il presidente della Liberia è sceso in campo a 51 anni con la sua nazionale nell’amichevole con la Nigeria, una partita che avrebbe dovuto celebrare il ritiro della maglia numero 14. Al suo fianco c’era anche James Debbah, 48 anni.

Non tutti, però, l’hanno interpretata come una bella notizia. Considerando che poche settimane fa Weah aveva insignito il suo ex-allenatore Arsene Wenger del massimo onore possibile in Liberia - Knight Grand Commander of the Humane Order of African Redemption - qualcuno inizia a chiedersi se sia questo il modo migliore di usare il proprio potere. Weah ha detto che Wenger gli era stato vicino quando il razzismo in Europa era al suo picco.

15) Le squadre Hipster da seguire in questa Nations League

5) Ucraina

L’Ucraina di Shevchenko gioca come avrebbe voluto il suo maestro Lobanovskyi. Skriniar è caduto nell’estasi e ha steso Tsygankov in area di rigore.

4) Andorra

I Pirenei disegnati sulla maglia stanno portando fortuna: ha preso solo 1 gol nelle ultime 5 partite e ha aperto la sua Nations League imbattuta dopo 2 giornate.

https://twitter.com/MacronSports/status/1031840026743775232

3) Kosovo

Se dobbiamo spiegarvi perché dovreste seguire il Kossovo aprite un libro di storia.

2) Lussemburgo

Per seguire le gesta dei fratelli Oscar e Vincent Thill.

1) Georgia

La dominatrice della Lega D è la vostra nuova squadra preferita, l’unica che può anche vantare il Dybala del Caucaso.

16) Un audio di Whatsapp ha rovinato il raduno irlandese

Tutto comincia il 3 settembre, quando Harry Arter si chiama fuori dalle convocazioni e decide di restarsene a Cardiff (ironia della sorte, anche la nazionale era diretta lì: sarà stato imbarazzante, sarà uscito di casa sempre col cappuccio). Immediatamente si diffonde l’indiscrezione che la causa sia una lite con Roy Keane avvenuta nell’ultimo raduno della nazionale. Interrogato sulla questione, l’allenatore O’Neill risponde «non lo negherei».

Poi l’Irlanda a Cardiff perde 4-1, e nei giorni successivi salta fuori un audio Whatsapp (sul sito del Sun lo si può ascoltare per intero) in cui l’esperto terzino Ward, che in realtà non era presente a quel raduno, racconta a vecchi amici (pare) l’accaduto nei dettagli. Keane viene descritto visibilmente infastidito dagli infortuni di Arter e di Jon Walters, tanto da urlargli cose come «siete deboli» (tutti gli altri aggettivi usati richiedevano asterischi) e da venirci quasi alle mani.

Della storia circolano versioni leggermente diverse e lo stesso Keane ha smentito la versione di Ward. O’Neill ha detto che non sa quale versione è vera, dimostrando un certo disinteresse, ma che è rimasto molto deluso dall’ingenuità di Ward. In questo modo però, indirettamente, ha confermato l’autenticità dell’audio. Oggi spezza il cuore rileggere le frasi d’amore che Arter dedicava a Keane prima che diventasse il suo allenatore in seconda.

In Irlanda la controversia ha offerto lo spunto per riaprire il dibattito sugli stili di leadership. Sia O’Neill che Keane hanno difeso il loro operato richiamando la memoria di Brian Clough, che mal sopportava le fragilità e nei litigi voleva sempre avere l’ultima parola. Con questa generazione, però, sembrano più efficaci le frasi motivazionali e le mosse pazze non da “alpha” di uno tipo Guardiola - come si vede bene in All or Nothing, il documentario sul City, che se non avete ancora visto, insomma, sbrigatevi.

Alla fine Arter non ha chiuso la porta a un suo possibile ritorno in nazionale. Walters, sei anni più anziano di lui, ha regolarmente accettato la convocazione ed è sceso in campo dal primo minuto contro il Galles. Il centrale difensivo gallese in forza al Chelsea, Ampadu, che ha la metà dei suoi anni, gli ha soffiato il pallone e ha lanciato in porta Ramsey nell’azione del terzo gol.

Chissà cosa ha pensato in quel momento Roy Keane.

17) A proposito di Galles, sembra che Guardiola lo alleni di nascosto

Il Galles di Ryan Giggs! Ampadu!! Joe Allen!!! In questa particolare azione tutti toccano la palla tranne Bale, quale immagine migliore per smentire l’idea del “one man team”, come fa notare l’amico gallese che ha postato il video?

18) Come va l’Argentina sperimentale di Scaloni & Aimar?

Fabrizio Gabrielli

Ogni rifondazione presuppone una rivoluzione. L’Argentina, dopo il fracaso del Mondiale, in controtendenza rispetto alla cronistoria degli ultimi due anni, ha deciso invece di andarci coi piedi di piombo: ha nominato un CT ad interim, Lionel Scaloni, riservandosi di scegliere il nuovo allenatore nel 2019 (oltre ai soliti nomi di Pochettino, Simeone e Gallardo sta spuntando la suggestiva ipotesi di un Tata Martino 2), e gli ha affiancato risorse già in forza alla Federazione come Pablo Aimar e Marcelo Tocalli, più Walter Samuel come assistente.

Scaloni, più di quanto ci si aspetta per un CT ad interim, è stato chiamato a mettersi in discussione su molti punti: rimanere coerente o rinnegare le idee di Sampaoli? Ascoltare la vox populi o perpetuare i ban a Paredes e Icardi? Pianificare un progetto a brevissimo termine capace di rafforzare una sua candidatura o sperimentare tout court?

Contro il Guatemala ha schierato cinque esordienti, che tuttavia sono il futuro plausibile di questa Albiceleste: Rulli tra i pali, il laterale basso Renzo Saravia, la giovanissima mezzala del River Exequiel Palacios, l’esterno millonario Pity Martínez e Gio Simeone. Ma allo stesso tempo ha anche concesso spazio al più grande dei reietti sampaoliani, Leo Paredes, schierato da cinco puro, libero di verticalizzare e lanciare palloni lunghi verso gli attaccanti.

Il 4-3-3, che ricalcava quello di Sampaoli, è però parso molto più mobile, fresco, giovane nello spirito, specie nella mediana: passaggi rapidi e verticali, scambi a due tocchi, contro la macchinosità esasperante vista in Russia. Lo Celso, liberato dal “progetto-di-cinco” del quale è stato più vittima che partecipe, ha brillato da mezzala, sempre pronto a inserirsi nei mezzi spazi creati dall’allargamento estremo dei laterali alti Pity e Pavón, così come il giovanissimo Palacios, box-to-box dalla tecnica deliziosa.

Per Lo Celso potrebbe essere l’alba di una nuova carriera: dopo questo gran gol si metterà a disposizione di Quique Setién nel Betis, con la speranza di giocare di più di quanto abbia fatto al PSG.

Nel test con la Colombia ci si aspettava uno stravolgimento dell’undici iniziale e si dava quasi per scontato che a scendere in campo sarebbero stati gli uomini più prestigiosi portati in tournée: l’ipotesi più plausibile prevedeva un 4-2-3-1 in cui i trequartisti alle spalle di Icardi fossero Meza, Franco Cervi e soprattutto Dybala, che nella vacuità tecnica provocata dall’assenza di Messi, nel bene e nel male, avrebbe dovuto rafforzare la sua candidatura per il futuro. Invece Scaloni ha dato ancora fiducia al Pity Martínez e al centrocampo a tre con Battaglia, Lo Celso e Palacios, la vera sorpresa del giro di amichevoli. A Dybala non è stata concessa che una mezz’ora abbondante nel secondo tempo. L’Argentina ha dominato per buoni tratti il primo tempo, ma è soprattutto dal centrocampo, il reparto più rinnovato, che sono giunti i segnali più incoraggianti in termini di brillantezza tecnica, mobilità, verticalità delle transizioni.

È complicato farsi un’idea se Scaloni, in qualche modo, potrà giocarsi una conferma; probabilmente no, perché nessuno l’ha messo in quella posizione e le teste degli allenatori della Selección, per i presidenti dell’AFA, sono come quelle dei cervi nei rifugi di montagna: ognuno deve avere la sua da sfoggiare sopra al camino.

E poi, come detto, ogni rifondazione presuppone, per sua natura, un afflato rivoluzionario.

L’amichevole con la Colombia si è giocata a una settimana precisa dal venticinquesimo anniversario di una delle sconfitte più emblematiche nella storia della Selección, per di più nello stadio, il MetLife in New Jersey, in cui si è celebrato l’inizio della fine di un ciclo, con la sconfitta in Copa América Centenario ai rigori contro il Cile.

Forse, per ripartire con il piede giusto, conveniva davvero affrontare tutti i fantasmi passati, prima possibile, in un colpo solo.

19) Keisuke Honda è multi-tasking

Nel frattempo Keisuke Honda, che in Agosto ha firmato un contratto da calciatore con gli australiani del Melbourne Victory, ha esordito sulla panchina della Cambogia, perché è anche il ct della Nazionale del sudest asiatico. Peraltro sfoggiando un elegante look total black.

Ricordatevelo, quando vi lamentate di dover fare due lavori per sbarcare il lunario.

20) Ma che partita ha giocato Luis Suárez contro il Messico?

Fabrizio Gabrielli

Luis Suárez ha affrontato il Messico, in amichevole con la sua Celeste, con lo stesso mood di Cortés e i suoi scagnozzi quando nel sedicesimo secolo hanno messo a ferro e fuoco il Templo Mayor di Tenochtitlán, cioè con la subdola, precisa intenzione di assoggettare i rivali alla sua cultura, alla sua visione del mondo suarezcentrica: il risultato finale è stato qualcosa al quale viene complicato dare un nome preciso, ma che rientra di sicuro nello stesso campo semantico dell’annientamento, dell’annichilimento, della polverizzazione.

Nei settanta minuti scarsi in cui è rimasto in campo c’è stato un concentrato ridicolo di arroganza, onnipotenza, maestosità: se sto utilizzando così tante triplette di nomi o aggettivi è perché nella partita del Pistolero, come nel numero 3, a quanto si dice, si annida la perfezione.

In questo video, una serie di riprese dal taglio futuristico, c’è il distillato della sua performance, due gol e un assist generati da giocate niente affatto scontate e anzi stupefacenti per estetica e facilità di realizzazione, servito in un bicchiere da bere in un sorso solo come si fa con la tequila.

Dunque: il primo gol l’ha segnato su punizione. Un tiro secco, una parabola arcuata che lambisce l’uomo più esterno della barriera messicana e si abbassa a una manciata di centimetri dalla linea della porta di Ochoa, che nonostante sia uno dei portieri più reattivi dell’intera MesoAmerica si accartoccia goffamente.

Il secondo livello di ridicolizzazione dell’avversario Luis lo raggiunge calciando un rigore à la Panenka, che si sa, è la maniera più insolente di calciare un rigore, seconda solo al tiro di tacco, girandosi di spalle, e con una birra in mano.

Ma il climax è tutto nell’assist per l’ultimo gol del match, quello di Gastón Pereiro: Suárez, disorientato da un pallone spiovente sfiorato di testa dal difensore, sbaglia il controllo orientato con il sinistro: non facciamo neppure in tempo a riconoscerci un principio di fallibilità che si inventa un assist di rabona, avete capito bene, di ra-bo-na, per il quale si sente in diritto di festeggiare con le braccia larghe, dirigendosi verso la bandierina, quando Pereiro deve ancora incornare il pallone per mandarlo in porta con potenza inusitata.

Insomma, si può dire che Suárez, oggi, sia uno dei cinque centravanti più forti al mondo? Certo, il Messico non era quello del Mondiale (al contrario una squadra imbottita di giovani-se-non-giovanissimi); ma a giudicare dalla sua prestazione, non è neppure qualcosa su cui stare a discutere.

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