«Quell’uomo può cambiare tutto: la faccia, la casa, la famiglia, la ragazza, la religione, anche Dio. Ma c’è una cosa che non può cambiare: la passione». La frase è presa dal celebre film argentino Il segreto dei suoi occhi che tratta dell'omicidio di una donna negli anni immediatamente precedenti alla presa del potere da parte dei militari in Argentina. Due agenti del tribunale federale, Benjamin Esposito e Pablo Sandoval, sospettano di un uomo, che però è introvabile. Riescono ad aggrapparsi a un indizio solo quando ritrovano alcune sue lettere, che fanno quasi tutte riferimento a delle vecchie partite del Racing Club de Avellaneda. La passione a cui fa riferimento Pablo Sandoval, quindi, è la passione per il calcio: se sei un essere umano quella fiamma continuerà a bruciare, anche se sei un assassino in fuga dalla polizia. I due agenti si apposteranno nella curva del Racing alla prima partita disponibile e riusciranno a ritrovare il sospettato, in una scena di inseguimento che è rimasta nella storia del cinema.
Ci sono due modi in cui la frase di Pablo Sandoval si applica a Henry Kissinger, leggendario segretario di Stato americano morto stanotte all’età di 100 anni. La prima è che probabilmente senza Harry Kissinger il regime militare argentino, sostenuto dagli Stati Uniti attraverso la cosiddetta Operazione Condor, non sarebbe mai esistito, e con esso gli anni di instabilità politica immediatamente precedenti che fanno da cornice al film, e probabilmente quindi anche il film stesso e il libro da cui è tratto (La pregunta de sus ojos di Eduardo Sacheri). Come ricorda il gruppo portoricano Calle 13, la mano nemmeno così invisibile degli Stati Uniti nella violenta repressione dei regimi democratici latinoamericani tra gli anni ’70 e ’80, con le sue decine di migliaia di morti e prigionieri politici, non è mai stata davvero dimenticata nella regione e la produzione culturale è venuta di conseguenza. “La operación cóndor invadiendo mi nido, ¡Perdono pero nunca olvido!” - cioè: “L’Operazione Condor invadendo il mio nido: perdono ma non dimentico!” - dicono nella canzone Latinoamérica.
Quella frase di Pablo Sandoval ci parla di Harry Kissinger anche per una seconda ragione e cioè che l’ex segretario di Stato americano per tutta la sua lunghissima vita ci ha tenuto a ricordarci costantemente che, nonostante la brutalità con cui ha plasmato la politica estera statunitense durante la Guerra Fredda, lui continuava ad essere un essere umano e la prova era quella passione, la passione per il calcio. Solo pochi mesi fa, in occasione del suo centesimo compleanno, aveva rilasciato una lunga intervista al sito del Bayern Monaco, squadra di cui è membro dal 1989 nonostante non fosse mai stato suo tifoso. Al suo interno troverete frasi di questo tipo:
«Il calcio al suo più alto livello è complessità che si maschera da semplicità».
«Gli eroi diventano miti quando arricchiscono le vite di tutti noi, quando toccano i nostri cuori. Beckenbauer, “il Kaiser”, era uno di questi miti».
«Il calcio è un bel gioco per le masse, che possono identificarsi totalmente con le sue passioni, i suoi improvvisi trionfi e le sue inevitabili delusioni».
«Il calcio garantisce una dipendenza che dura tutta la vita ad un misto di speranza, miseria ed euforia».
Harry Kissinger era nato in Germania ma era dovuto scappare all’età di 15 anni durante l’ascesa del nazismo per via delle sue radici ebraiche. Nonostante fosse diventato nel tempo una delle personificazioni più solide e oscure del potere di Washington, ci teneva a dimostrare di non aver mai dimenticato le sue origini tedesche, e in particolare la piccola cittadina bavarese dov’era nato, Fürth. Da piccolo, prima di scappare della Germania, aveva fatto un tentativo nelle giovanili della squadra del paese, il Greuther Fürth, che poi tiferà per il resto della sua vita. «Mio padre mi diceva sempre che era meglio andare al teatro dell’opera che al Ronhof [lo storico stadio del Greuther Fürth, ndr]. Ogni volta che ci andavo sapevo che avrei avuto problemi a casa». Kissinger non ha dimenticato il Greuther Fürth nemmeno una volta salito in cima alla piramide diplomatica statunitense, e si dice si facesse informare sui risultati della squadra dall’ambasciata tedesca ogni lunedì mattina. Nel settembre del 2012, dopo la prima storica promozione del Greuther Fürth in Bundesliga, Kissinger ha mantenuto la promessa di andare a vedere una sua partita dal vivo. «Gli auguro adesso di vincere il titolo», ha dichiarato in quell’occasione, ma il Greuther Fürth ha finito la stagione all’ultimo posto stabilendo il record del campionato tedesco per il minor numero di vittorie in casa (zero).
Per Kissinger il calcio è stato però anche qualcosa di più di un semplice orpello nostalgico, e forse si potrebbe arrivare a dire di essere stato uno dei primi ad averne intuito il potenziale diplomatico. Nel 1978, dopo essersi fatto vedere sugli spalti accanto al dittatore Jorge Videla a Rosario per la celebre partita del “mondiale della vergogna” tra Argentina e Perù (quella della cosiddetta marmelada peruana, per intenderci), venne nominato presidente del board della NASL (North American Soccer League), antenata della MLS dove giocarono Pelé, George Best e il suo amato Franz Beckenbauer. Non è retorica affermare che Kissinger sia stato uno degli artefici del primo sfortunato approccio degli Stati Uniti al gioco del calcio, e chissà, forse senza quei primi semi gettati alla fine degli anni ’70oggi non avremo Messi a passare gli ultimi anni della sua carriera a Miami.
Kissinger provò anche a portare i Mondiali del 1986 negli Stati Uniti, vedendosi sorpassato dal Messico per il torneo che divenne la metafora della rivincita argentina sull’impero britannico. Anche qui si può viaggiare con la fantasia sulle ali dei se e dei ma. Il regime di Videla nel 1982 aveva tentato l’invasione delle Malvinas per evitare una crisi che già sembrava terminale e quindi forse si può persino arrivare a dire che senza il decisivo sostegno di Kissinger nel portare e mantenere al potere i militari in Argentina forse non avremmo mai avuto la mano di Dio e il gol del secolo. Chissà forse è con questi due gol che un amante del calcio come Kissinger si raccontava la favola che ogni grande uomo di potere è costretto a raccontarsi. «La mostruosa, inconfessabile contraddizione: perpetuare il male per garantire il bene», come dice l’Andreotti interpretato da Servillo nel Divo di Paolo Sorrentino «La contraddizione mostruosa che fa di me un uomo cinico e indecifrabile anche per te, gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sanno la responsabilità». Nel Divo, Andreotti parla idealmente a sua moglie, in questo caso Kissinger parla a tutti quelli che si avvicinano alla sua figura, provando a conciliare il cinismo della sua attività politica con il romanticismo di una passione infantile come quella per il calcio.
Alla fine comunque gli Stati Uniti il loro Mondiale lo ottennero, nel 1994, quando ormai la Guerra Fredda era finita e anche la figura di Kissinger cominciava a tramontare. I Mondiali del 1994 vennero assegnati agli Stati Uniti nel 1988, il 4 luglio, il giorno dell’indipendenza. Pochi mesi dopo Henry Kissinger si presentò a sorpresa a Torino, per vedere un Juventus-Napoli 3-5 con il suo amico Gianni Agnelli. Di quella comparsata rimane un’incredibile intervista pre-partita di Giampiero Galeazzi, a cui Kissinger dice di amare il calcio e di sperare «che diventi uno sport americano». Oggi, all’indomani della sua morte, la sua speranza è quasi esaudita: forse non si può davvero considerare uno sport americano, ma rispetto a trent’anni fa il calcio negli Stati Uniti è effettivamente qualcosa.