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Dario Saltari
La parata più importante nella storia del calcio?
19 dic 2022
19 dic 2022
Emiliano Martinez ha salvato l'Argentina 18 secondi prima che finissero i supplementari.
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Dario Saltari
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Buda Mendes/Getty Images
(foto) Buda Mendes/Getty Images
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Qatar 2022 si porta dietro questioni problematiche. In questo articolo abbiamo raccolto inchieste e report che riguardano le morti e le sofferenze ad esso connesse.

Nonostante siano entrati nella loro fase ironica e il nostro sarcasmo ci abbia spinto a guardarli con un sorriso, penso che i soprannomi argentini possano ancora dirci qualcosa. Ci sono quelli che permettono di visualizzarci un’immagine in mente, a mettere insieme due cose che teoricamente non dovrebbero c’entrare niente una con l’altra. Per esempio quando lo vediamo ondeggiare di fronte a Koundé, lungo e senza muscoli, viene naturale pensare a Di Maria come a uno spaghetto scotto che si dimena tra le dita, che è quello che immagino gli argentini intendano con fideo. Poi ci sono i soprannomi che sono stati accartocciati dal contesto intorno a loro come un fazzoletto in una tasca. Che sono stati resi irriconoscibili, sostanzialmente ridicoli, ma che proprio per questa ragione rendono più solida, reale, la strada fatta e il tempo che passa. Fa ridere pensare che dopo aver scritto definitivamente il suo nome nella leggenda di questo sport qualcuno abbia per esempio potuto chiamare Lionel Messi “la pulce”, ma se ci pensate chiamarlo così oggi dà anche un’idea molto immediata e vivida di tutta la sua storia come nessun altro libro o articolo potrebbe mai fare. Infine ci sono i soprannomi che sono nati per puro caso ma che per una serie incredibile di coincidenze hanno finito per rivelare, anzi forse sarebbe meglio dire svelare, un aspetto nascosto del reale che altrimenti sarebbe rimasto invisibile. Questo, credo, è il caso del “Dibu” Martinez.

Il soprannome viene da una serie TV argentina della fine degli anni ’90, Mi familia es un dibujo, che letteralmente significa: la mia famiglia è un disegno. La serie parla della famiglia Marzoa-Medina, e in particolare di Marcela, moglie di Pepe, che dopo essere rimasta incinta per una qualche ragione dà alla luce non un essere umano, ma un cartone. Quel cartone è per l’appunto Dibu, che è la versione accorciata della parola dibujo, che in spagnolo vuol dire disegno, in questo caso un disegno di un bambino con i capelli rossi e le lentiggini, molto dispettoso. Non ho mai visto questa serie, che in Argentina ha avuto un successo tale da innescare addirittura una trilogia di film, ma da questo pezzo sul sito di Cadena 3 apprendo che il suo successo è dovuto al contrasto comico tra i tentativi della famiglia di nascondere questo loro figlio cartone animato, perché credo sarebbe difficile da spiegare, e la sua personalità esuberante che lo porta a combinarne di tutti i colori. Non è troppo difficile immaginare dove vada a parare questa storia: il bambino-cartone da cui nessuno si aspettava niente, e che anzi tutti cercano di nascondere, dopo mille peripezie diventa l’eroe positivo.

Emiliano Martinez viene chiamato “El Dibu” quando entra nelle giovanili dell’Independiente alla fine del primo decennio del 2000 semplicemente perché è un ragazzino che vagamente gli assomiglia. Ma oggi questo soprannome ne rivela la sua carica infantile e dispettosa, in una squadra che è fatta da eroi omerici in cerca di redenzione e difensori violenti privi di qualsiasi autoironia. El Dibu Martinez che si è tinto una parte dei capelli con i colori dell’Argentina, in un modo ridicolo e ormai fuori moda che lo fa assomigliare a un calciatore degli anni ’90. El Dibu Martinez che provoca i rigoristi avversari, che prova a indispettirli, che balla dopo aver parato un rigore in quel modo indisponente che hanno solo i bambini. Che con l’Argentina era stato già decisivo facendo impazzire i giocatori della Colombia dal dischetto, utilizzando il silenzio degli stadi vuoti per entrargli nelle orecchie in qualsiasi modo, dicendogli che gli dispiace ma che se li mangia, che li vede nervosi. Che con la maglia dell’Aston Villa, contro il Manchester United, si avvicina a Bruno Fernandes poco prima di un rigore, indica Cristiano Ronaldo e dice: «Dovrebbe tirarlo lui, dovrebbe tirarlo lui». El Dibu Martinez che dice le cose che gli adulti non hanno più il coraggio di dirsi, che infrange volontariamente un tabù solo per vedere che rumore fa una relazione che va in mille pezzi. Che dopo l’errore di Bruno Fernandes si mette a ballare davanti alla curva dei tifosi dello United.

El Dibu Martinez il più volgare nell’insultare Louis van Gaal dopo la vittoria al cardiopalma contro l’Olanda, che non ha rispetto per l’autorità, o l’anzianità, che gli urla dietro in campo frasi irripetibili, che va davanti ai microfoni a intimare a un uomo di 71 anni di starsi zitto. El Dibu Martinez il più volgare anche dopo la vittoria della Coppa del Mondo, che utilizza il trofeo di miglior portiere del torneo come farebbe un bambino che ancora ride alla parola “pisello”. El Dibu Martinez che scandalizza la sessuofobia del regime qatariota, o almeno così sembra dallo sdegno dell’uomo che compare dietro a lui nella foto. El Dibu Martinez che con quell’espressione probabilmente vuole solo far ridere i suoi compagni con una stupidaggine.

El Dibu è il soprannome che rivela l’anima infantile, picaresca, cialtrona di questo giocatore ma allo stesso tempo che nasconde il suo percorso incredibilmente accidentato, pieno di coincidenze, di sfortune che si rivelano parte di un piano più grande, che fa pensare che sia davvero destinato a una grandezza inaspettata. Lo nasconde così come i genitori del Dibu, imbarazzati di avere un figlio cartone senza sapere che è lui il protagonista della storia.

Poco dopo il suo 17esimo compleanno viene invitato per un provino con l’Arsenal, ingenuamente pensa sia l’Arsenal de Sarandi. Indeciso sull’offerta del club londinese, ha paura di venire fagocitato da una squadra così grande. Vorrebbe passare ancora qualche anno in patria, esordire con l’Independiente. Alla fine è costretto ad accettare per via delle ristrettezze economiche della sua famiglia, accentuate dal licenziamento del padre proprio in quei giorni. Passa anni nelle retrovie dell’Arsenal, schiacciato dalla concorrenza prima di Almunia, poi Fabianski, infine Szczesny. Viene prestato per una sola partita, in quello che in Gran Bretagna viene chiamato emergency loan, all’Oxford United. Poi si sposta allo Sheffield Wednesday, al Rotheram United, al Wolverhampton e infine al Getafe in cerca di fortuna. Pensa che non ce la farà mai; inizia a farsi seguire da un psicologo e perde «l’amore per il calcio».

Improvvisamente, inaspettatamente, Martinez dal 2020 inizia a liquidare il proprio credito con la fortuna. È ancora all’Arsenal quando, nel giugno del 2020, Neal Maupay mette fuori gioco accidentalmente Bernd Leno. Gioca un grande finale di stagione dopo mesi di calcio fermo per la pandemia di Covid-19. Dopo anni in cui non vedeva più il campo. Vince una FA Cup da titolare in finale contro il Chelsea, vince un Comunity Shield da titolare in finale contro il Liverpool. Convince l’Aston Villa a spendere 17 milioni di sterline per il suo cartellino, trasformandolo nel portiere argentino più pagato di sempre. Diventa, a 29 anni, uno dei portieri più interessanti del campionato più competitivo al mondo. El Dibu Martinez, proprio grazie a questo colpo di coda inaspettato della sua carriera, riesce a rimanere nel giro della Nazionale. Si fa trovare pronto quando il titolare, Franco Armani, risulta positivo al Covid-19 quindici giorni prima dell’inizio della Copa América. Martinez che manda in finale l’Argentina facendo impazzire i giocatori colombiani. Che quella Copa América la vince. Che viene definito “fenomeno” da Lionel Messi.

Di questa partita abbiamo parlato anche nel podcast dedicato ai nostri abbonati, Che Partita Hai Visto. Se non lo avete ancora fatto potete abbonarvi cliccando qui.

El Dibu Martinez che è il portiere della Nazionale quasi per caso, ma che non è un imbucato. Che ha dimostrato di avere un talento speciale. Che sa perfettamente quale siano i suoi punti di forza. In un’intervista concessa a The Athletic quasi due anni fa commenta alcune delle sue migliori parate, parla della sua tecnica di avanzare di fronte all’attaccante avversario in uno contro uno per restringere lo specchio rimanendo in piedi fino all’ultimo momento. Alcune delle dichiarazioni sembrano essere state pronunciate poche ore dopo la finale contro la Francia.

«Cerco di mettere fretta agli attaccanti che stanno per prendere una decisione»

«Invece di permettere a loro di mettere fretta a me, o concedergli del tempo per fargli fare quello che vogliono, mi assicuro che io sia già lì così che loro non sappiano cosa fare. Questo rende difficile per loro segnare»

«Quando alza lo sguardo sono lì vicino a lui. E una volta che aspetto lo faccio fino in fondo. Non scommetto. Quando mi vedono fermo ad aspettare non sanno dove tirare».

«Voglio che la mia squadra sappia che sono lì a toglierle le castagne dal fuoco»

«Non importa cosa ho fatto fino ad adesso: tutti ricordano la fine del film non l’inizio»

«Il meglio deve ancora venire»

El Dibu Martinez sa aspettare, sia in senso letterale che figurato. Già agli ottavi di finale, contro l’Australia, a meno di trenta secondi dalla fine aveva salvato il risultato lanciandosi in spaccata di fronte all’avversario. Se non l’avesse fatto, forse l’Argentina non sarebbe nemmeno arrivata in finale, o comunque ci sarebbe arrivata con altri trenta minuti di gioco sulle gambe.

In finale contro la Francia non vede nemmeno un tiro avversario per oltre 70 minuti. Poi subisce due gol in 95 secondi. Forse aspetta un momento di troppo. El Dibu Martinez che sfiora il primo rigore a incrociare di Mbappé. Che tocca anche il secondo gol di Mbappé. Che sembra non poterci fare niente. Che non è un portiere d'élite, perché se lo fosse stato forse quel tiro al volo, per quanto bello, sarebbe riuscito a deviarlo fuori dallo specchio dalla porta.

Deve aspettare altri 30 minuti, dopo 90 passati sotto il sortilegio mistico della Francia, per aiutare i suoi compagni ai rigori. Forse non vede l'ora, perché quello è il suo regno. Vede da lontano il 3-2 di Messi, forse non ha nemmeno il tempo di crederci prima di venire spiazzato dal dischetto da Mbappé, per la prima e ultima volta in questa partita.

Pochi minuti dopo si ritrova davanti Kolo Muani, che già pochi secondi prima stava per ingannarlo su un cross in area di Mbappé che stava per finire in porta. Anche in questa partita di follia, con 18 secondi rimasti sul cronometro, Martinez ha la lucidità per fare semplicemente quello che sa fare. Accorcia la distanza dall’avversario a piccoli passi, rimane in piedi fino all’esatto istante in cui Kolo Muani tira di collo esterno, si allunga in tutta la sua estensione in una spaccata che assomiglia solo in potenza a una croce iberica. Forse non avrebbe avuto questa stessa freddezza se la sua carriera non lo avesse portato a saper aspettare così tanto.

Per una volta vince la propria sfida con gli avversari ancora prima di arrivare ai rigori. Fa una delle parate più difficili della storia dei Mondiali dai tempi di Gordon Banks. Forse la parata più importante nella storia del calcio.

El Dibu Martinez che sarà per sempre la differenza tra un Messi maledetto e un Messi benedetto. Tra un’Argentina in festa e una in rovina. Che nonostante venga chiamato Dibu, da oggi, nessuno potrà mai più scambiare per un cartone animato.

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