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Il paradosso Vlahovic
03 dic 2021
03 dic 2021
L'attaccante serbo sta segnando molto in un contesto difficile.
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Da quando lo scorso 5 ottobre la Fiorentina ha dichiarato di aver abbandonato le trattative per il suo rinnovo abbiamo iniziato a guardare la stagione di Vlahovic come se fosse già storia. Da quel momento l’attaccante serbo ha aggiunto altri 8 gol ai 4 che aveva già segnato in Serie A, diventandone capocannoniere, restituendoci l'impressione che ciò che faceva in campo non apparteneva più al presente - che nel momento stesso in cui avveniva faceva già parte di una storia che doveva iniziare in un qualche punto nel futuro, qualcuno dice già a gennaio. I gol che Vlahovic sta segnando in queste settimane fanno già parte del passato di una storia che sta per essere scritta - il passato della Fiorentina, dove già da settimane si parla del “dopo Vlahovic”, e il passato di Vlahovic, pronto ormai a quel salto in una grande squadra che da qui alla fine di questa stagione tutti si aspettano. È una vicenda che inevitabilmente ricorda quella di Baggio, quando il suo ultimo anno alla “Viola” era costretto a rispondere del suo passaggio alla Juventus quasi ogni settimana e più che giocare per la Fiorentina sembrava rinchiuso in una di quelle bolle di vetro in cui la neve sembra scendere lentamente e il tempo scorrere a un ritmo diverso dal nostro. Baggio era dentro quella bolla con la maglia della Fiorentina ma tutti sapevano che la realtà era fuori, dove Agnelli teneva quella bolla in mano con gli occhi che gli brillavano.


 

Allo stesso modo oggi Vlahovic sembra il personaggio di un horror inseguito da demoni che vogliono portarselo via con sé nel futuro. «Cerco di non seguire molto i media, ma in qualche modo loro riescono sempre a raggiungermi», ha dichiarato solo pochi giorni fa a una rivista serba. Anche in campo sembra non appartenere più alla sua stessa storia, come se la guardasse da fuori. Dopo la doppietta realizzata col Milan - il Milan del suo idolo Zlatan Ibrahimovic, che dopo la partita gli ha regalato la sua maglia e di cui potrebbe raccogliere il testimone proprio in maglia rossonera - Vlahovic si è indicato con l’indice il petto e poi la terra sotto i suoi piedi, e il nostro primo pensiero è stato che ci stesse dicendo “io resto qui”, proprio come Baggio nei suoi ultimi mesi alla Fiorentina assicurava che non sarebbe mai voluto partire nonostante l’evidenza dicesse il contrario. Un'altra interpretazione, meno immediata, è che invece Vlahovic con quel gesto avesse voluto dire “guardate che sono qui, sono ancora qui”. Dopo aver corso verso la panchina ed essere stato sommerso dall’onda umana dei suoi compagni, mentre qualcuno provava tenergli la testa con forza, lo abbiamo visto divincolarsi dal mucchio per guardarsi intorno e godersi il Franchi che impazziva per lui. Sembrava, per l’appunto, che stesse assaporando il presente.


 


 

Il presente che vive oggi la Fiorentina è in effetti molto diverso da quello che attraversò nella stagione 1989/90, l’ultima con Baggio. Allora, infatti, la spirale distruttiva delle vicende di mercato del “Divin Codino” aveva finito per travolgere anche la “Viola”, che alla fine si ritrovò a lottare per non retrocedere con un esonero a quattro giornate dal termine del campionato e a giocare una finale di Coppa UEFA con la Juventus in un clima da guerra civile imminente. La cessione di Baggio rappresentò la pietra tombale sulla dirigenza Pontello. Oggi, invece, la turbolenza Vlahovic arriva in un momento di ricostruzione della Fiorentina - il primo di speranza dopo diverse stagioni deprimenti in fila - in cui Vincenzo Italiano sta ponendo le basi per un progetto tattico che sembra essere molto ambizioso. La Fiorentina, seppur con qualche inciampo, è sesta a pari merito con Juventus e Bologna, e i punti di distanza dal quarto posto sono solo sette. È così irrealistico pensare a una qualificazione europea? Insomma, è strano essere costretti a pensare alla prossima stagione oggi, mentre la situazione di classifica urla di rimanere nel presente, dove le storie di Vlahovic e della Fiorentina sono intrecciate persino di più di quanto il numero di gol del serbo non dica.


 

Questa, di per sé, è già una notizia. Il gioco di Vincenzo Italiano in teoria punta infatti a costruire una squadra che ambisce a controllare le partite, anzi a dominarle, e ad avere una struttura che la porti a valere di più della semplice somma delle sue parti. A nascondere, cioè, con il gioco i limiti dei singoli. La Fiorentina, insieme all’Atalanta e il Torino, è forse la squadra più moderna in Serie A nell’estremizzare i concetti di pressing alto e difesa in avanti, ma al contrario della squadra di Juric e in parte anche quella di Gasperini, lo fa in funzione quasi esclusivamente offensiva. Il pressing e la riconquista immediata del possesso appena perso, quindi, per controllare la partita attraverso il pallone e come fonte di gioco a sé stante. Per creare, cioè, occasioni da gol di qualità con continuità e allo stesso tempo per difendersi lontano dalla propria porta, limitando i rischi difensivi al minimo. Questa è la teoria, almeno, che però combacia con la pratica solo in alcuni momenti. Un esempio è l’incredibile primo tempo contro l’Inter a fine settembre, di una partita che la Fiorentina ha finito però per perdere per 1-3 imbarcando acqua da tutte le parti. Questi alti e bassi hanno continuato a ripetersi anche dopo quella partita con frequenza inquietante, alternando vittorie esaltanti (come per l’appunto quella contro il Milan per 4-3) a sconfitte assurde, come quella per 2-1 contro l’Empoli, contro cui la Fiorentina vinceva fino all’87esimo. «Non riusciamo ad addormentare le partite», ha detto sconsolato Italiano dopo quella partita, ma in realtà la situazione è più preoccupante di così.


 

La Fiorentina, complessivamente, non è una squadra che subisce molto - è settima per xG subiti in open-play - ma che, quando lo fa, concede occasioni di qualità agli avversari - solo la Roma fa peggio della squadra di Italiano in quanto a xG per tiro concesso - e questo è un problema. Il punto di difendersi alti e in maniera aggressiva è quello di costringere gli avversari a soluzioni complesse e a tiri difficili, ma quando la Fiorentina non riesce a farlo sembra sfaldarsi come neve al sole, come se la sua intensità finisse per esaurirla troppo in fretta. Almeno questo è quello che sembra da partite come per l’appunto quelle contro Inter, Empoli e Milan, dove la squadra di Italiano in pochi minuti ha scialacquato il vantaggio acquisito dimostrando improvvisamente una fragilità che non pensavamo possibile per quanto visto sul campo fino a quel momento. Anche la vittoria per 4-3 contro il Milan è nata da un parziale di 3-0 e da ben 2.6 xG subiti (che tra l’atro non contano l’autogol finale di Venuti).


 

È davanti, però, che le cose si fanno più preoccupanti. Nonostante passi molto tempo nella metà campo avversaria (è sopra la media del campionato per passaggi completati nel terzo offensivo di campo), la Fiorentina infatti non riesce a creare con continuità occasioni di qualità: è appena 12esima per xG prodotti in open-play e 11esima per xG per tiro prodotto (e sono dati migliorati sensibilmente dopo l’ultima convincente vittoria contro la Sampdoria, in cui la squadra di Italiano ha segnato tre gol a partire da 2.9 xG). È seguendo questo filo che arriviamo al nodo che lega le storie della Fiorentina e di Vlahovic, almeno sul campo. Che l’attaccante serbo stesse nascondendo i limiti della “Viola” molto più di quanto quest’ultima lo stesse facendo con i suoi lo si poteva capire semplicemente dal numero di gol - 12 in 15 partite di campionato in questa stagione, 29 in 38 da quando è iniziato il 2021, meno solo di Lewandowski - ma è solo vedendo come sono arrivati questi gol che si capisce quanto il rapporto sia più ambiguo di quanto non sembri.


 

Da una parte c’è Vlahovic che, certo, sta già migliorando molto in alcuni degli aspetti in cui è più carente - in primo luogo quel gioco spalle alla porta che a volte gli fa rincorrere la palla all’indietro come se fosse una biglia che cade giù per le scale - ma che, come ha scritto Daniele Manusia solo qualche mese fa, rimane “un attaccante da profondità, un animale da praterie, un cavallo da lanciare in campo aperto”. Una caratteristica che lo rende devastante in alcune situazioni - come nel caso del bellissimo primo gol contro il Milan, in cui scatta in profondità come un predatore dopo essersi nascosto alle spalle di Gabbia - ma che contribuisce anche a rendere la Fiorentina una squadra meno in controllo di quanto Vincenzo Italiano vorrebbe. Proprio contro il Milan, con il risultato ancora sullo 0-0, la Fiorentina ha subito il primo da dentro l’area di rigore proprio da una palla persa dall’attaccante serbo sulla trequarti, mentre cercava di contenere alle spalle Kjaer. Tonali l’ha recuperata e ha lanciato immediatamente lungo per Leao, che si è infilato nello spazio tra Venuti e Odriozola, che si stava alzando per accompagnare l’azione e contribuire all'attacco posizionale della Fiorentina.


 

Ma Vlahovic continua a fare fatica a difendere il pallone con il corpo anche contro difensori meno eccezionali del centrale danese e soprattutto in zone anche profonde di campo, e questo rende per la Fiorentina più difficile attaccare in maniera ordinata sulla trequarti avversaria, e quindi più fragile a palla persa. In questo senso, i problemi della squadra di Italiano derivano anche da Vlahovic.



In questo caso, ad esempio, è Luperto a maltrattare Vlahovic da dietro.


 

Dall’altra, però, non si può dire certo che i numeri di Vlahovic siano stati gonfiati dal gioco di Italiano, come si potrebbe pensare alla luce degli ultimi anni drammatici della Fiorentina in cui pure l’attaccante serbo è riuscito a prosperare. Piuttosto il contrario. Per arrivare ai numeri che abbiamo appena snocciolato l’attaccante serbo ha dovuto più che raddoppiare la sua efficienza realizzativa rispetto alla stagione in cui segnò il suo primo gol in Serie A (la 2019/20), arrivando oggi tra i migliori del campionato italiano. Per il rapporto tra xG per 90 minuti avuti a disposizione e gol segnati (esclusi i rigori), solo Scamacca, Destro e Ibrahimovic hanno fatto meglio. E tra i migliori dieci di questa particolare classifica, solo Joao Pedro e Dybala hanno un dato più basso in quanto a xG per tiro. In altre parole: non solo Vlahovic sta segnando molto, ma sta anche segnando molto di più di quanto ci si aspetterebbe alla luce delle occasioni che sta avendo a disposizione. Ad essere particolarmente cattivi si potrebbe dire che sta segnando tanto nonostante la Fiorentina. I suoi xG per tiro, rispetto alla scorsa maledetta stagione, sono passati da 0.21 a 0.14.


 

Certo, questo deriva anche da una sua certa tendenza a tentare conclusioni difficili (come ha scritto Emanuele Atturo “a volte l’ambizione lo divora”, e forse non potrebbe essere altrimenti con il tiro di sinistro che si ritrova) ma più spesso è la Fiorentina a non riuscire a metterlo nelle condizioni più semplici per segnare. Come mi ha detto un mio amico della Fiorentina: molti dei suoi gol li farebbe solo lui. Questo è vero non solo per i gol oggettivamente più difficili - come quello su punizione contro lo Spezia o quello di testa sul secondo palo contro il Torino a inizio campionato - ma anche per quelli apparentemente più semplici. Nell’ultimo contro la Sampdoria deve saltare molto in alto in corsa sul cross non semplice di Bonaventura e rimanere sospeso in aria per qualche frazione di secondo in più per incrociare il colpo di testa e prendere in contro tempo Audero, che stava cercando di coprire il palo opposto. Nella giornata precedente, contro l’Empoli, prima trova Callejon sulla destra con un cambio di gioco che plana sopra le teste della difesa avversaria come un frisbee (e dopo una bella ricezione spalle alla porta tra le linee), poi attacca l’area da una distanza tale che Tonelli non pensa nemmeno che possa arrivare in tempo a mettere in porta il cross dell’ala spagnola. In quanti sono capaci in Serie A oggi a smarcarsi dalla trequarti arrivando al limite dell’area piccola a quella velocità?


 



 

Vlahovic, da questo punto di vista, è un piccolo paradosso: se da una parte è vero che l’attaccante serbo rende la Fiorentina una squadra meno funzionale di quanto Italiano vorrebbe, dall’altra ovviamente la “Viola” non può fare a meno dei suoi gol per ambire ad obiettivi che altrimenti non potrebbe raggiungere. Con un attaccante più abile spalle alla porta, più associativo, chissà, forse la Fiorentina potrebbe addirittura creare più occasioni da gol, ma riuscirebbe a segnare di più di quanto sta facendo ora? Dal 5 ottobre, da quando cioè la società di Rocco Commisso ha abbandonato le trattative per il suo rinnovo, è diventato impossibile rispondere a questa domanda senza pensare alle caratteristiche dell’attaccante che un giorno forse prenderà il posto di Vlahovic. Sarebbe bello, oserei addirittura dire sano, se almeno per qualche stagione invece potessimo riflettere su questa domanda come sarebbe più naturale: e cioè dando il tempo a Italiano di cucire il proprio gioco sulle spalle giganti di Vlahovic, e a Vlahovic di crescere passo dopo passo con il suo allenatore. Insieme potrebbero restituire alla Fiorentina quel ruolo da protagonista che le manca da troppo tempo e senza il quale anche la Serie A è un campionato più povero, meno interessante. Qui e ora, senza che ci sia il bisogno di alzare lo sguardo dal presente verso un orizzonte lontano o immaginario.


 

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