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Illustrazione di Andrea Chronopoulos
Ultimo Uomo Awards Daniele Manusia 21 maggio 2021 5'

Il miglior Under-21: Dusan Vlahovic

L’attaccante della Fiorentina è il miglior giocatore del campionato tra quelli nati dopo il 2000.

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Fino a poco tempo fa Dusan Vlahovic sembrava un giocatore capace di segnare, di tanto in tanto, un gol fuori dal comune, ma su cui difficilmente avreste scommesso che sarebbe andato sopra i 20 gol in Serie A. La giovinezza, per un prodigio che ha esordito a 16 anni con la maglia del Partizan, e che nelle giovanili segnava più di due gol a partita, più che una scusa era una condanna: cos’ha che non va, perché non riusciamo a farlo funzionare? Come se lo avessero mandato alla Fiorentina senza il libretto delle istruzioni. Tutti i suoi allenatori ne hanno solo parlato bene, chiedendo tempo. Montella, quando Vlahovic aveva ancora diciannove anni, diceva «si farà e diventerà un grandissimo calciatore», ma qualcosa non ha funzionato come doveva se ancora lo scorso novembre i critici più severi dicevano che con i suoi tiri «ammazzava i piccioni». A dicembre 2020, quando ha segnato il suo secondo gol stagionale contro il Sassuolo – dopo dodici giornate di campionato – ha abbracciato il suo allenatore, Cesare Prandelli, che dopo la partita ha ancora ribadito che gli andava dato tempo: «Di ventenni titolari in Serie A non ce ne sono». Prandelli, intanto, gli ha dato la responsabilità di calciare i rigori e, una settimana dopo la partita con il Sassuolo, Vlahovic ha segnato di nuovo dal dischetto contro il Verona.

 

Poi, in casa della Juventus, il 22 dicembre, ha segnato il suo primo gol su azione con la maglia viola da più di due mesi e mezzo (dalla terza di campionato con la Samp), dando il via dopo tre minuti alla festa della Fiorentina, la prima squadra a vincere 3-0 nella storia dello Stadium. Ed è anche un bel gol, complesso, strano, in cui fa un paio di cose bene e un paio male: sprinta bene tra Chiellini e de Ligt, partendo poco dopo la linea di centrocampo, ma controlla male di destro il filtrante di Ribery mandandolo leggermente verso sinistra; quando arriva sulla palla la tocca nuovamente male, col sinistro, allungandosela giusto all’inizio dell’area di rigore, dove invece serve precisione; a quel punto si trova davanti Szczesny in uscita che gli copre lo specchio, con un altro tocco rischia di finire fuori dal campo o di restringersi troppo la porta, e così Vlahovic calcia di punta interna sopra al corpo del portiere, quasi uno scavetto.

 

 

In qualche modo è un gol che ricorda quello segnato all’Inter nel dicembre del 2019, anche in quel caso è partito da lontanissimo e con una corsa sgraziata ma veloce, e una conduzione palla approssimativa, è arrivato sul lato sinistro dell’area di rigore risolvendo una situazione non semplicissima con un tiro di interno straordinario. Quando ancora giocavo a calcio ed ero uno dei più giovani in squadra ricordo che un compagno più esperto (che probabilmente aveva una decina di anni in meno di quelli che ho io adesso) mi disse che la qualità di un centravanti si vede dal tiro in diagonale. E questa è la specialità di Vlahovic, che quando entra in area e deve concludere di sinistro a incrociare diventa incredibilmente preciso ed efficace, trovando il tempo e la traiettoria giusta.

 

Tra dicembre e gennaio qualcosa si è sbloccato in lui, e poi a metà marzo si è sbloccato ancora di più. Dalla partita con il Benevento, in cui ha segnato una tripletta, a quella con la Lazio di inizio maggio, Vlahovic ha segnato 13 gol in 10 partite. È una finestra temporale troppo ampia per pensare che sia stato un caso, un momento particolare di forma che magari come è venuto se ne andrà. È chiaro a questo punto che il talento di Vlahovic non può essere ignorato, che c’è qualcosa che non è solo potenziale in lui.

 

Contro il Benevento, come detto, ha vissuto la sua partita più straordinaria. E ha segnato il suo gol più bello, non solo per il tiro a giro fortissimo da una ventina di metri abbondanti, ma anche per il controllo precedente, con Kamil Glik aggrappato alle spalle. Proprio perché si tratta ancora di uno degli aspetti su cui deve migliorare, il gioco spalle alla porte, è interessante che Vlahovic riesca in questo caso non solo a resistere alla pressione da dietro – cosa che da un attaccante di un metro e novanta ci si aspetta che lo faccia – ma anche che effettui un controllo orientato di interno che gli serve per girarsi subito fronte alla porta.

 

 

Vlahovic sta migliorando nell’uso del corpo e nel gioco di sponde. Sta diventando sempre di più un giocatore utile anche solo per come vince i duelli arei a metà campo (anche se continua a segnare poco di testa) e per come fa a sportellate con i difensori per conservare palloni complicati. Non solo è difficile da spostare, ma è anche abbastanza tecnico da districarsi in spazi congestionati e trovare situazioni creative, spostando la palla con l’interno e con l’esterno di un piede sinistro che non è propriamente foderato di velcro ma è comunque piuttosto sensibile.

 

Resta, prevalentemente, un attaccante da profondità, animale da praterie, un cavallo da lanciare in campo aperto. E lui stesso esalta il suo atletismo con e senza palla, spingendo in basso la linea difensiva avversaria e puntandola palla al piede ogni volta che può, come se il centro del suo corpo fosse collegato con un elastico invisibile al centro della porta. Il che lo rende ancora, ogni tanto, un giocatore frustrante, di quelli che perdono molti palloni e che calciano da posizioni impossibili o senza preparare bene il tiro (di quelli che ammazzano i piccioni), ma estremamente utile per una squadra come la Fiorentina che ha bisogno di un attaccante che l’allunghi e che attacca in transizione.

 

Con le sue capacità di corsa e la sua forza si muove meglio anche in area di rigore, sia arrivandoci di corsa che prendendo e difendendo la posizione. Con il Cagliari, lo scorso gennaio, ha segnato un gol facile solo in apparenza, ingannando Godin con un passo pesante con cui ha fintato di voler correre sul primo palo, e correndogli invece alle spalle, arrivando sulla palla rasoterra di Callejon in scivolata.

 

 

Vlahovic ha detto che Ribery lo ha aiutato mostrandogli l’esempio e spingendolo a lavorare anche nei giorni di riposo, e chissà magari sta diventando uno di quegli atleti dipendenti dalla fatica, visto che dopo lo 0-0 con il Cagliari è andato da solo in palestra a fare cyclette di notte. Di sicuro l’asticella per Vlahovic è sempre altissima, se adesso lo consideriamo il miglior giovane del campionato italiano, i paragoni che si fanno sono con gente come Ibrahimovic e Haaland. E come tutti i paragoni più che indicarci possibili similitudini reali rendono l’idea delle aspettative che si hanno: con 21 gol stagionali (che magari nell’ultima partita diventeranno di più) è anche giusto fantasticare.

 

Ovviamente, una grande parte del suo possibile successo sul lungo periodo passa dalle sue qualità mentali. Dalla voglia, cioè, di arrivare al livello dei giocatori a cui lo paragonano. Il suo miglioramento si spiega anche con una maggiore sicurezza nei propri mezzi, grazie alla quale è più freddo e concentrato quando deve finalizzare e più intenso in mezzo al campo. A fine aprile, di nuovo contro la Juventus, Vlahovic ha segnato il rigore che ha portato in vantaggio la Fiorentina (la partita poi è finita 1-1), con un cucchiaio lento ed elegante che sembra una dichiarazione di intenti. Ne aveva segnato uno simile in finale di Coppa Italia Primavera, due stagioni fa: come a dire, eccomi, sono tornato quello dominante degli anni delle giovanili, finalmente avete il vero Dusan Vlahovic.

 

Tags : fiorentinaserie aVlahovic

Daniele Manusia, direttore e cofondatore dell'Ultimo Uomo. È nato a Roma (1981) dove vive e lavora. Ha scritto: "Cantona. Come è diventato leggenda" (Add, 2013) e "Daniele De Rossi o dell'amore reciproco" (66th & 2nd, 2020) e "Zlatan Ibrahimovic, una cosa irripetibile" (66th & 2nd, 2021).

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