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Chi dovrebbe vincere il Pallone d'Oro?
15 lug 2025
Il favorito è Ousmane Dembélé ma non tutti sono convinti.
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Se dovessimo scegliere un’immagine della stagione di Ousmane Dembélé sicuramente sarebbe quella della sua faccia in fase di pressing durante la finale di Champions League contro l’Inter. Dembélé ai limiti dell’area di rigore avversaria, l’espressione contratta per la concentrazione, in attesa della rimessa in gioco del portiere, come un levriero da corsa al cancelletto. Quell’istante è l’immagine della trasformazione di Ousmane Dembélé, da talento sbadato e inconsistente a giocatore serio e applicato, uno dei migliori attaccanti d’Europa. Com’è potuto succedere? Interrogato su quell’immagine, Dembélé ha sorpreso tutti. «Ero stanchissimo: ecco perché lo stavo guardando in quel modo», ha detto al canale ufficiale del PSG, ridendo. «Quella posizione serve a recuperare».

Prima della finale del Mondiale per Club c’erano pochi dubbi che il favorito per il Pallone d’Oro fosse Ousmane Dembélé, e già questa era una notizia. Quell’Ousmane Dembélé che mangiava la pizza mentre Deschamps cercava di motivare i suoi giocatori a vincere il Mondiale? Che andava a dormire tardi per giocare a Fortnite? Che non si ricordava quale fosse il suo piede forte? In quest’ultima coda della stagione sono fioriti i contenuti social che cercavano di cristallizzare il nostro stupore per questa eventualità e nelle diverse interviste realizzate dall’attaccante francese, in forma diversa, è iniziata ad apparire inevitabile la domanda: ma ti rendi conto che proprio tu, Ousmane Dembélé, potresti vincere il Pallone d’Oro?

Poi è arrivata la finale del Mondiale per Club a complicare le cose. Il PSG della seconda parte di stagione è stato dominato per la prima volta, e la grande prestazione di Cole Palmer - insieme a quella piuttosto scialba di Dembélé - ha fatto avanzare la sua candidatura, che senza questa partita e senza questo trofeo non avrebbe avuto molto senso prendere in considerazione. Insomma, Palmer ha avuto una grande stagione (18 gol, 14 assist stagionali), momenti di strapotere tecnico che in Premier League, inevitabilmente, valgono doppio, ma sarebbe stato difficile parlare di Pallone d’Oro con una Conference League e un quarto posto in bacheca. Adesso con un Mondiale per Club le cose cambiano, ma quanto? È un discorso che coinvolge l’ambiguità della gerarchia dei trofei nel calcio, per cui il Mondiale per Club dovrebbe essere teoricamente più importante della Champions League quando nei fatti non lo è nemmeno un po’.

Già prima della finale del Mondiale per Club mi sembrava però che la candidatura di Ousmane Dembélé non convincesse del tutto. Quando si parla del Pallone d’Oro c’è sempre una specie di ambivalenza, tra il miglior giocatore al mondo nei fatti, cioè chi dovrebbe vincere il Pallone d’Oro, e chi invece lo è alla luce dei criteri stabiliti da France Football, cioè chi alla fine lo vincerà.

A questo proposito bisogna fare un po’ di chiarezza. La rivista francese che organizza il premio dal 1956 viene infatti da anni problematici. Dopo averlo organizzato con la FIFA dal 2010 al 2015, dal 2022 il premio viene assegnato a ottobre (quest’anno si anticiperà ulteriormente e la cerimonia avrà luogo il 22 settembre) in modo da fare riferimento anche a livello temporale alla stagione calcistica appena conclusa, anziché all’anno solare com’era stato fino a quel momento. A votare è una giuria specializzata composta da 100 giornalisti, uno per Paese dai primi 100 dell’ultimo ranking FIFA per Nazionali. I criteri sono principalmente tre, che la UEFA (che dall’anno scorso organizza la cerimonia insieme a France Football) mette in quest’ordine: performance individuali, personalità e carisma; performance e risultati di squadra; classe e fair play.

La distinzione tra chi il Pallone d’Oro dovrebbe vincerlo e chi lo vincerà nasce di solito dalla distanza tra le prime due categorie (con la terza che è quasi sempre ininfluente), perché non sempre il giocatore che eccelle nelle “performance individuali, nella personalità e nel carisma” gioca nella squadra che ha vinto di più o comunque i trofei più importanti in quella stagione.

Per anni ci siamo dimenticati di questa distinzione perché il giocatore migliore e il giocatore più vincente erano quasi sempre la stessa persona, e cioè o Messi o Cristiano Ronaldo, e scegliere tra loro due finiva per essere una questione di gusto (o di religione, se siete quel tipo di persona lì). Le polemiche che hanno seguito l’assegnazione del Pallone d’Oro dell’anno scorso, con il Real Madrid che boicotta la cerimonia dopo che France Football ha deciso di assegnarlo a Rodri, ci hanno ricordato però cosa significasse, quella distinzione. Di fronte a due giocatori che era difficile distinguere per trofei, la rivista francese è stata di fatto costretta a prendere una posizione forte, scegliendo per la prima volta un giocatore di sistema, un mediano difensivo, forse per “andare incontro alle critiche che il premio ha ricevuto in questi anni. Quello di privilegiare troppo i giocatori offensivi o quelli appariscenti, a discapito dei lavoratori oscuri”, come ha scritto Emanuele Atturo.

Quest’anno le cose sembravano essersi allineate tutte verso lo stesso nome. Al contrario dell’anno scorso, in cui Vinicius e Rodri erano divisi anche da due squadre agli antipodi per principi tattici e stili di gioco, oggi la squadra più organizzata è anche quella più divertente e ricca di talento, senza quell’aria cupa e totalitaria che ha caratterizzato l’ultimo Manchester City di Guardiola che forse ci ha fatto sentire una dissonanza nel Pallone d’Oro di Rodri. Ousmane Dembélé viene da un triplete in cui ha vinto tutto ciò che conta vincere; ha segnato 35 gol e 16 assist; è stato decisivo dalla partita della fase a gironi della Champions League contro il Manchester City, che ha di fatto trasformato il PSG nella squadra che conosciamo oggi, alla finale terribile contro l’Inter, in cui ha messo a segno due assist. Anche in Ligue 1, per quello che vale, Dembélé ha segnato 21 gol ed è stato premiato come il miglior giocatore, suggellando la sua stagione con una grande partita nel girone di ritorno contro il Marsiglia, che quest’anno oltre a un derby è stata anche la sfida tra la prima e la seconda in classifica.

Eppure, nonostante tutto questo, credo che se andaste in giro a chiedere chi sia il giocatore più forte al mondo adesso, nei fatti, la risposta prevalente non sia Ousmane Dembélé ma Lamine Yamal o al massimo Cole Palmer, che sono per l’appunto i giocatori che il Pallone d’Oro dovrebbero vincerlo ma che (probabilmente) non lo vinceranno. Magari troverete anche chi lo assegnerebbe a Gianluigi Donnarumma, che però è probabilmente escluso dall'esistenza del premio Yashin, o magari a Vitinha, sempre per quella battaglia ideologica per cui sarebbe più giusto darlo a chi nella stessa squadra fatica davvero, pur di non darlo a Dembélé.

L’idea, mi sembra, è che se sono tutti d’accordo che è Lamine Yamal a rendere grande il Barcellona, ad avergli permesso di vincere la Liga. Per Ousmane Dembélé vale il contrario, e cioè che è il PSG, e in particolare il lavoro di Luis Enrique, ad averlo portato a questa stagione incredibile, e fuori dalla squadra parigina tornerebbe ad essere l’Ousmane Dembélé che abbiamo sempre conosciuto, l’Ousmane Dembélé che fa le quattro di notte davanti alla PlayStation, che si abbuffa di patatine, che sbaglia quel tipo di passaggio che Riccardo Trevisani nella telecronaca della finale del Mondiale per club, alla fine del primo tempo, ha definito una «palla pre-Luis Enrique».

Non è solo Trevisani, ovviamente: tutti sono d’accordo che “qualcosa deve essere successo”, come ha scritto qui lo stesso Emanuele Atturo quando Dembélé è sembrato sbloccare il chakra della finalizzazione, e non è un caso che «cosa ti ha dato Luis Enrique» sia un’altra domanda piuttosto ricorrente nelle interviste di questo finale di stagione.

In quella realizzata dal canale ufficiale del PSG, però, Ousmane Dembélé ha dato ancora una volta una risposta sorprendente, forse inavvertitamente, come sempre con Ousmane Dembélé. «Innanzitutto, mi ha dato la sua fiducia», ha risposto l’attaccante francese «E poi mi ha dato una libertà enorme. Mi dice spesso: “Io posso dirti due, tre cose, ma tu hai l’abilità di risolvere tutto da solo in campo”. Mi piace essere in un ruolo dove sono libero sul campo. Posso andare a destra, o a sinistra, e poi cambiare. Sono cresciuto grazie a questa libertà».

Le parole di Dembélé sono in netto contrasto con l’immagine di un Luis Enrique taumaturgo, artefice unico della crescita dell’attaccante francese, immagine - sia chiaro - che lo stesso Luis Enrique ha contribuito a coltivare ma che negli ultimi tempi sembra stia rinnegando. Chissà, magari perché, per l’appunto, con Dembélé le cose sono andate diversamente.

In una recente intervista hanno chiesto all’allenatore asturiano di una cosa che aveva detto in un documentario realizzato qualche tempo fa da Movistar - il famoso documentario in cui cerca di convincere Mbappé a pressare come un matto, portandogli l’esempio di Michael Jordan e dei suoi leggendari allenamenti. In un’altra scena dello stesso documentario, Luis Enrique si lamenta dei «giocatori che si muovevano dove volevano con la conseguenza che si creano delle situazioni di gioco che io non controllo». «L’anno prossimo le voglio controllare tutte, senza eccezioni», conclude Luis Enrique con una scintilla di follia negli occhi, vestito solo di una t-shirt bianca come chi ha eliminato tutto il superfluo dalla propria vita. L’anno prossimo sarebbe questa stagione, in cui la cessione di Mbappé ha aperto le porte alla crescita di Dembélé, che però ha dichiarato di essere molto felice della libertà che gli lascia Luis Enrique. Come si spiega?

«Quello che ho detto alla fine di quel documentario era il mio pensiero in quel momento», ha specificato Luis Enrique durante una recente conferenza stampa del Mondiale per Club «Ma adesso penso che la grandezza del PSG stia nel fatto che ogni giorno che passa controllo di meno. Domani i giornali usciranno con i titoli: “Luis Enrique non controlla più niente”. Che dire: corretto. Meno controllo meno gli avversari sanno quello che faremo in campo, e quindi più ci metteranno ad adattarsi. E quando si adattano: lì entriamo in gioco io con il mio staff».

Le parole di Luis Enrique aprono una prospettiva inedita: e se non fosse stato l’allenatore asturiano a spiegargli come sbloccargli il chakra della finalizzazione ma fosse stato il primo a lasciarglielo fare? E se quello che abbiamo visto in questa stagione non fosse un Dembélé “post-Luis Enrique”, ma semplicemente il vero Dembélé, quello che aspettavamo anni fa dopo l’epifania al Rennes?

Ovviamente questo è un discorso che, senza contesto, è semplicistico tanto quanto il suo contrario. Non basta dire a un calciatore: sii te stesso, e nell’evoluzione di Dembélé avranno influito altre decine di variabili. Il tempo, semplicemente, ma anche il fatto che abbia appreso l’importanza psicologica del pressing, che adesso dice di «provare piacere» a fare, che abbia iniziato a comportarsi da professionista, o il suo spostamento al centro del campo - che l’attaccante francese ha spiegato con la consueta semplice profondità: «Quando arrivi davanti alla porta sei un po’ più lucido, perché ti trovi proprio al centro. E poi, appena tocco il pallone, ho uno o due avversari da saltare prima di poter tirare o servire un assist. Invece, se giochi largo a destra, devi affrontare l’esterno, il terzino sinistro, il centrocampista che rientra, il difensore centrale... Alla fine arrivi davanti alla porta e il tiro finisce alle stelle!».

Dembélé è cresciuto e adesso è più facile affidarsi a lui, ma le due cose sono legate. Nel calcio il rapporto tra squadra e individuo è un nodo che è impossibile da sciogliere definitivamente, e che porta continuamente nuovi argomenti, ma per le squadre che giocano particolarmente bene è difficile ricordarsi che, se giocano così bene, in primo luogo è perché sono composte proprio da quei giocatori, e non da altri. Insomma, il PSG è il PSG anche - anzi: soprattutto - perché c’è Dembélé dentro. E perché non dovremmo premiare il miglior giocatore della migliore squadra con il Pallone d’Oro?

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