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Nikhil Jha
Nel paese dei rigori mai calciati
21 dic 2022
21 dic 2022
Come quello contro la Croazia di Neymar, eliminato senza calciare il suo rigore.
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Nikhil Jha
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David Ramos - FIFA/FIFA via Getty Images
(foto) David Ramos - FIFA/FIFA via Getty Images
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Forse hanno preso appunti Lionel Scaloni e Didier Deschamp. Seduti davanti alla televisione, hanno visto l’inaspettato accadere davanti ai loro occhi. Neymar, il miglior rigorista del Brasile, che non riesce a calciare il suo rigore e non può fare altro che piangere disperato. Sarebbe toccato a lui il quinto rigore, quello decisivo solo all’apparenza, solo considerando i rigori una scienza esatta dove tutti calciano. E invece, gli errori decisivi di Rodrygo e Marquinhos hanno escluso dalla contesa colui che doveva essere il trascinatore del Brasile, il suo eroe con la 10. Nelle lacrime di Neymar c’è un senso di ingiustizia che non sta solo nella sconfitta, ma che si perdono in tutti i futuri possibili, quelli che non ci sono stati. Cosa sarebbe successo se avesse calciato prima? Le cose sarebbero andate diversamente?

Ovviamente non possiamo saperlo, ma forse non è un caso che, qualche giorno dopo, Messi e Mbappé abbiano calciato il primo rigore per la loro squadra quando si è trattato di decidere la finale della Coppa del Mondo. È stata la continuazione della sfida che ci siamo goduti nei 120’, Mbappé che batte Martinez per la quarta volta, la terza su rigore, scegliendo sempre lo stesso angolo; Messi che si presenta sul dischetto e batte un rigore di una calma assurda, battendo Lloris prima di affidarsi ai piedi dei compagni e alle mani del “Dibu” Martinez. Sono anni che Messi è il primo rigorista dell’Argentina, era già successo con la Croazia, e non è stato così strano che sia successo anche nella partita più importante della sua vita, quando i rigori successivi avrebbero potuto avere un valore anche più alto (immaginate Messi a tirare e segnare il rigore di Montiel). Il discorso su come debba essere compilata la lista dei rigoristi però esiste, e il caso di Neymar conferma che non tutti la pensano uguale. Quando bisogna far calciare il proprio miglior rigorista? Ben Lyttleton, autore del libro di riferimento Twelve Yards, suggerisce di collocare i propri migliori tiratori al primo e quarto tentativo, mentre Tite, l’ormai ex CT del Brasile, ha difeso la sua scelta di tenere il suo miglior giocatore per l’ultimo tentativo: «È quello decisivo. C’è più pressione e i giocatori che sono più preparati devono calciare quel rigore».Vista la semplicità di isolarne gli elementi fondanti, un approccio scientifico ai rigori ha anticipato di molto – almeno nel discorso pubblico – quello sul calcio in generale. È piuttosto facile trovare studi riguardo le singole componenti che lo compongono, ma anche lunghiarticoli chedettagliano percentuali di vittoria, di sconfitta, di parate, e tutto quello che può venirvi in mente riferito ai tiri dagli 11 metri. Ma i rigori rispondono anche a una forte componente psicologica, che facilita il proliferare di un discorso a posteriori, pronto a scovare nei replay piccoli indizi che ne giustifichino l’esito. Chi cammina a testa bassa ha già sbagliato, chi sorride all’arbitro invece mostra abbastanza fiducia da segnare sicuramente, un portiere che parla e si muove tanto andrà meglio di uno che rimane chiuso in se stesso. Ricordate come abbiamo esaltato Chiellini non per un rigore tirato, ma semplicemente per la gioia con cui si è presentato al rito della monetina, con cui si sceglie porta e ordine dei tiratori, contrapposta alla cupezza di Jordi Alba? È un approccio, questo, che cerca una risposta in un evento, come quello della lotteria dei rigori, dove tutto sembra sotto controllo - chi tira ha tutto il tempo del mondo e davanti una porta molto più grande del portiere - ma dove poi sembra dominare l’assenza di controllo.

La scelta dei rigoristi e del loro ordine rientra appieno nell’ambiguità del discorso sui rigori, a metà tra lo scientifico e l’esoterico. Guardando ai numeri, e restando sui Mondiali, scegliere il proprio miglior calciatore come quinto è un rischio, soprattutto se si calcia per secondi: nelle 30 partite che si sono risolte ai rigori da Spagna ‘82 a Russia ‘18, solo in 13 casi – meno della metà – il decimo rigorista è arrivato al suo turno (diventano 24 – l’80% – i casi in cui calcia almeno il nono). D’altra parte però, l’ultimo rigore è riconosciuto come quello che porta con sé più pressioni, da cui non c’è ricovero (l’ha scoperto a sue spese Bukayo Saka, colpevole di aver sbagliato il quinto rigore contro l’Italia nella finale di Euro 2020), quindi si potrebbe pensare che ha senso affidarlo al giocatore più carismatico, quello a cui le gambe non dovrebbero tremare. Il quinto rigorista, soprattutto se è l’uomo più in vista della squadra, vive il paradosso di Schroedinger: lo tira e lo segna, è un leader disposto a caricarsi sulle spalle i destini di una Nazione (o di un club); lo tira e lo sbaglia, e verrà accusato di non reggere la pressione. Quando non lo tira da quinto, invece, il discorso è ancora più subdolo. È stato l’allenatore a decidere? È lui che ha voluto scalare verso la fine nella speranza tutto si decidesse prima? O magari per prendersi la fetta più grande della gloria?Il non-rigore di Neymar non è certo l’unico tra i rigori mai calciati. Nessun dubbio che l’ultimo rigore (mai avvenuto) tra Portogallo e Spagna nella semifinale dell’Europeo 2012 toccasse a Ronaldo. Salah avrebbe dovuto calciare il quinto nella finale di Coppa d’Africa 2021 contro il Senegal, che però vincerà prima. Due mesi dopo, nella partita decisiva per qualificarsi a Qatar 2022, sempre contro il Senegal, e sempre ai rigori, memore della beffa si presenterà per primo – il primo in fondo tira sempre – ma lo sbaglierà.

In alcuni casi la verità viene svelata a posteriori. Il rigore non calciato da Falcao nella finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool è spesso tirato fuori come l’unico rimpianto del grande periodo del brasiliano con la Roma. Falcao si è sempre difeso dicendo che non sarebbe stato in grado di tirare per il dolore al ginocchio. In ogni caso, a lui sarebbe toccato l’ultimo, come quella volta che con il suo quinto decise la finale di Coppa Italia con il Torino. Falcao, quindi, non sarebbe arrivato comunque mai a tirare: la rete di Kennedy risolse prima la questione.In altri casi aleggia il mistero, tra i vincitori quanto tra i vinti: chi avrebbe dovuto calciare il quinto dell’Argentina nella semifinale mondiale del ’90 con l’Italia? Chi il quinto della Francia, nella finale del 2006, se Grosso l’avesse mandata sopra la traversa? E chi della Francia contro l'Argentina pochi giorni fa anche considerando che nel corso della partita avevano fatto sette cambi? A chi sarebbe toccato l’ultimo rigore nella finale di Istanbul tra Milan e Liverpool, Gerrard o Xabi Alonso? Visto il risultato, penso che a nessuno dei due importi niente, ma il dubbio ci rimane: un piccolo sottoinsieme di tutti futuri possibili a cui il nostro universo ha chiuso le porte.Solo i protagonisti possono saperne qualcosa in più: quello della scelta dei rigoristi è un evento affascinante, un segreto nascosto in piena vista davanti a migliaia di persone, una lista compilata a mano su un foglietto, cinque nomi da inventare, tra chi lo deve calciare e chi magari se la sente o pensa di sentirsela, il tutto mentre noi provano a intuire quale potrà essere l’ordine dei tiratori.Quel momento, nonostante i tentativi di intrusione del racconto mediatico, resta tutto sommato ancora intimo, privato. Come molte cose del calcio, lo conosciamo soltanto attraverso i racconti di chi l’ha vissuto: un allenatore fa la conta guardando i suoi calciatori negli occhi nella speranza di trovare una risposta, un altro ha già deciso di testa sua, qualcuno delega ai giocatori stessi, come accaduto alla Spagna agli ottavi di finale di Qatar 2022, dove si è visto Sergio Busquets con una penna e un foglio sparso rivolgersi ai propri compagni, compilando la lista.

Non è andata bene, la Spagna ha sbagliato tutti i suoi rigori (Tnani Badreddine/DeFodi Images via Getty Images).

Sono scene a cui ci siamo abituati, soprattutto durante i grandi tornei, dove non è così raro che le sfide a eliminazione diretta possano finire ai rigori, sono scene relativamente recenti, che esistono dagli anni ‘70 a livello internazionale (da ancora prima a livello nazionale), da quando cioè è stato deciso che sarebbero stati i rigori a risolvere una situazione di pareggio dopo i tempi supplementari, evitando così partite infinite, crudeli lanci di monetine per decretare una vincitrice o la ripetizione della partita.Da questo punto di vista bisogna vedere la lotteria dei rigori come quello che è, ovvero un accessorio funzionale, nient’altro. La scorciatoia necessaria per quando non è più possibile decretare un vincitore giocando a calcio e, si sa, le scorciatoie devono essere brevi, altrimenti non sono scorciatoie. Cinque rigori, più l’oltranza se necessario: è in questa serie che una squadra deve scegliere come organizzare i suoi calciatori, come distribuire il suo talento. Non è stato però sempre così: nei primi anni di utilizzo dei rigori, accadeva pure che la serie di rigori si completasse in ogni caso, anche quando la vincitrice non poteva più essere raggiunta. È il caso, ad esempio, di un Roma-Lazio di Coppa Italia nel 1962, quando il biancoceleste Longoni calciò l’ultimo rigore nonostante l’eliminazione fosse già sancita (per la cronaca: se lo fece parare). L’usanza di battere i rigori ininfluenti rimase in Italia per circa un decennio, e appartiene a una serie di convenzioni via via abbandonate nel tempo, che oggi ci sembrano talmente assurde da chiederci se cinquant’anni fa non fossimo tutti cretini, come fumare in aereo o guidare senza cintura. Tra le altre: sei rigori per squadra invece che cinque, la possibilità per uno stesso giocatore di calciare più rigori nella stessa serie e, fuori dall’Italia, anche la decisione di far tirare tutti i propri rigori alla prima squadra, prima di farli calciare tutti alla seconda.

In quella sfida Manfredini segnò sei rigori su sei calciati, alla Francia avrebbe fatto comodo fare lo stesso con Mbappé.

Oggi, l’idea di calciare rigori inutili ci sembrerebbe un gesto di tortura verso lo sconfitto, né gratificherebbe particolarmente il vincitore, che preferirebbe di gran lunga festeggiare il prima possibile.E quei rigori che mancano? Rimangono lì, appesi a una realtà a cui non saranno mai consacrati, tensione in potenza che si risolve nella vittoria o nella sconfitta prima ancora di diventare atto. Una delle due squadre ha matematicamente vinto, non c’è altro da dire, nient’altro da chiedere a questo spettacolo. I rigori mai calciati possono andarsene al diavolo, noi siamo stufi.

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