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Giacomo Detomaso
Piccola guida ai rigori
30 giu 2016
30 giu 2016
Dove e come si tirano, come si parano, chi ne segna di più e quanto sono importanti per vincere le partite.
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Giacomo Detomaso
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La porta, il portiere, la palla sul dischetto. Il tiro dagli 11 metri è calcio nella sua forma più essenziale. Dei rigori si parla poco. Troppo poco se si pensa che il loro esito può determinare il vincitore di un torneo importante come l'Europeo in corso.

 

Finché non si arriva ai supplementari nessuno ci pensa. Si vuole allontanare l'idea stessa che essi sono lì, pronti a intervenire per dirimere brutalmente una questione protrattasi troppo a lungo. I rigori vengono percepiti come ingiusti (da chi perde), spaventano perché non si può controllarne il risultato fino in fondo.

 

Ma la casualità è una componente essenziale di ogni fase della partita. E poi, a ben pensarci, per tirare un buon rigore servono coraggio, altruismo e per certi versi fantasia, ossia proprio ciò da cui, per De Gregori, si dovrebbe giudicare un giocatore. Per quanto semplici, i calci di rigore meritano di essere studiati come e quanto gli altri aspetti del gioco.

 



La prima grande competizione ad essere decisa dagli undici metri risale esattamente a quarant’anni fa. Nel 1976 Repubblica Ceca e Slovacchia erano fuse in un’unica nazione, mentre la Germania era ancora divisa dal Muro. Proprio Cecoslovacchia e Germania Ovest si giocarono a Belgrado la finalissima degli Europei jugoslavi. Le squadre arrivarono stanche all’appuntamento: entrambe avevano avuto bisogno dei supplementari per vincere le rispettive semifinali e la Germania aveva anche goduto di un giorno di riposo in meno. Per salvaguardare la salute dei propri giocatori, la federazione tedesca voleva evitare che, in caso di parità dopo i supplementari, la finale venisse rigiocata. In quegli anni, infatti, i rigori non venivano ancora utilizzati per decretare il vincitore (nell’Europeo del 1968, l’Italia superò in semifinale l’URSS grazie a un lancio di monetina favorevole dopo 120 minuti senza reti, mentre in finale ebbe la meglio sulla Jugoslavia dopo due partite, la seconda vinta 2-0 e disputata 48 ore dopo la prima, conclusa 1-1 dopo i supplementari). La UEFA e la federazione Cecoslovacca accettarono la proposta tedesca di rompere l’eventuale parità con i tiri dal dischetto (che venivano già utilizzati nella Coppa di Germania dal 1970).

 

Puntualmente, i tempi regolamentari si chiusero in parità, 2-2, e nei supplementari non vennero segnate altre reti. Dopo sette rigori realizzati, Uli Hoeness calciò sopra la traversa e regalò alla Cecoslovacchia il match-point. Sul dischetto si presentò Antonín Panenka, il baffuto regista della squadra.

 


La rincorsa lunga faceva pensare ad una conclusione di potenza.


 

Nel momento dell’impatto della sua scarpa col pallone una nuvoletta di gesso si alzò in aria come polvere magica. Ed era una magia quella a cui gli spettatori del Marakana stavano assistendo. Nell’universo bidimensionale dei rigori (si tirava o a destra o a sinistra), Penenka aveva appena introdotto la terza dimensione. Mentre Sepp Maier si tuffava sulla sua sinistra, un morbido pallonetto volteggiava placido e beffardo verso il centro della porta.

 

Ancora oggi, nel gergo calcistico di molte nazioni, “Panenka” è il vocabolo che indica un rigore calciato in quel modo.

 



Quasi per lavare l’onta di aver subito il “Panenka” originale, da quel giorno la Germania non ha più perso dagli undici metri nelle due competizioni più importanti, come mostra questo grafico che riassume i risultati dal dischetto delle maggiori nazionali.

 


Sono prese in considerazione le partite concluse ai rigori nelle edizioni dei Mondiali, degli Europei e della Copa América disputate fino all’estate del 2015.


 

Ne sanno qualcosa gli inglesi, che sia nella semifinale dei Mondiali del ’90 che in quella degli Europei del ’96 sono stati sconfitti dalla Germania ai rigori. Idiosincrasia per i tedeschi a parte, se si esclude il quarto di finale contro la Spagna del ’96, l’Inghilterra ai rigori ha sempre perso.

 


Euro ’96: l’errore di Southgate manda la Germania in finale.


 

Una tradizione negativa simile a quella dell’Olanda, che negli ultimi Mondiali ha creduto, per pochi giorni, di aver esorcizzato i suoi demoni. Ma dopo aver eliminato ai quarti la Costa Rica (grazie al trucco di inserire lo specialista Krul appositamente per parare i rigori), al turno successivo è stata fatta fuori dall’Argentina, sempre dagli undici metri (non c’erano più cambi residui per mettere dentro Krul).

 

Non molto migliore è il rapporto tra gli Italiani e il dischetto, leggermente addolcitosi negli ultimi tempi dopo l’incubo degli anni ’90, quando i rigori posero fine ai tornei del ’90, del ’94 e del ’98.

 

Se le grandi sudamericane vantano tradizionalmente un discreto feeling con gli undici metri, della Spagna si può dire lo stesso solo di recente: prima dei quarti di Euro 2008 avevano perso 3 sfide su 4; da quella partita con l’Italia ne hanno vinte 3 di fila.

 

Passando ad analizzare i singoli rigori calciati e subiti dalle Nazionali nelle maggiori competizioni, otteniamo indicazioni piuttosto in linea coi risultati complessivi delle sessioni.

 


Nel grafico sono riportate le percentuali di trasformazione dei rigori calciati a fine partita dalle stesse nazionali e dai rispettivi avversari. La media di realizzazione nei tornei internazionali corrisponde circa al 78% (linea rossa tratteggiata).


 

La Germania vince perché ha una pazzesca percentuale di trasformazione: mette a segno il 93% dei rigori che calcia, nettamente sopra la media del 78%; di contro, i suoi avversari riescono a convertirne solo il 69%. L’Inghilterra perde perché non riesce a segnare più di 2 rigori su 3 e i suoi portieri si fanno superare dall’83% dei rigori che sono chiamati a parare (cifre simili a quelle dell’Olanda).

 

Nel fondamentale libro

, Ben Lyttleton si è chiesto se per caso l’abilità di calciare i rigori sia insita nel DNA di alcuni popoli. Attraverso lo studio di un campione di oltre 4.000 rigori calciati negli ultimi anni nei maggiori campionati e nelle coppe europee, ha scoperto come i calciatori inglesi nelle loro squadre di club siano molto più efficaci (82%) rispetto a quando indossano la maglia della nazionale (66%). Per i tedeschi avviene il contrario (il loro 93% con la “Mannschaft” cala fino a un più “umano” 76% con le squadre di club).

 

Ovviamente il paragone non è tra dati della stessa qualità, poiché buona parte dei rigori calciati nelle squadre di club sono assegnati nel corso della partita: emotivamente sono meno probanti e, per di più, a incaricarsene è lo specialista. Inoltre la mole di dati disponibile per le sfide tra Nazionali è minore. Tuttavia, c’è chi, come lo psicologo norvegese Geir Jordet, crede nell’influenza del cosiddetto “circolo della sconfitta”: le probabilità che un calciatore ha di trasformare un rigore scendono fino al 57% quando la sua squadra ha perso le due sessioni precedenti, anche se quel calciatore non fosse stato presente in tali sconfitte. L’abitudine alla sconfitta si radica nel subconscio e rende più difficile convertire dal dischetto per la propria nazionale. «Più si perde, più si perde».

 


Euro 2004: Ricardo segna il rigore decisivo per il Portogallo dopo aver parato a mani nude quello del ventiquattrenne Darius Vassell.




Molti allenatori, soprattutto in passato, erano convinti assertori della teoria secondo la quale allenarsi sui rigori non abbia alcuna utilità, vista la difficoltà di riprodurre in allenamento una situazione di stanchezza e, soprattutto, di tensione paragonabile a quella di una partita da dentro-fuori protrattasi per 120 minuti.

 

Tuttavia, la ripetizione costante di un gesto atletico può permettere di acquisire un livello di memoria muscolare in grado di ridurre il margine di errore sotto stress. Ma come si calcia il rigore perfetto?

 


 Così.


 

Per la scienza, il portiere può coprire in tuffo solo il 72% della porta, motivo per cui un tiro indirizzato con la giusta forza nel restante 28% è teoricamente imparabile.

 



 

Ovviamente, mirare esattamente all’angolino basso aumenta le probabilità di calciare fuori; probabilità che raddoppiano qualora si miri al sette poiché si corrono due rischi: sia sull’asse delle ordinate che su quello delle ascisse.

 

Ecco come calciano realmente i giocatori, nella ricostruzione grafica di SportsMatrix, che prende in considerazione oltre 60.000 rigori.

 



 

Si nota una leggera prevalenza nel mirare alla destra del portiere, dovuta al fatto che la maggioranza dei calciatori sono destrorsi. Infatti la maggior parte dei rigori (circa il 60%) vengono calciati verso il cosiddetto “lato naturale” del tiratore, ossia incrociando, poiché in tal modo è più facile imprimere più forza.

 

Una tendenza simile a quella dei portieri, che si buttano a destra nel 52,32% dei casi, a sinistra nel 45.60% e restano al centro poco più del 2% delle volte. Secondo uno studio dell’economista Israeliano Bar-Eli, pubblicato sul

, la ricorrente scelta degli estremi difensori di tuffarsi è correlata al fenomeno dell’action bias, cioè “propensione all’azione”: «poiché il sentimento negativo del portiere in seguito a un gol subito risulta amplificato se è rimasto fermo al centro della porta, preferisce tuffarsi da uno dei due lati anche quando questa non risulta essere la soluzione ottimale».

 

I rigori, vista la loro staticità, sono uno degli aspetti del calcio che meglio si presta ad un approccio analitico. Lo studio delle tendenze di tiro dei singoli rigoristi e di tuffo dei portieri può offrire un sottile ma potenzialmente decisivo vantaggio competitivo alle squadre. In

si racconta di come Simon Kuper, noto giornalista e membro fondatore di Soccernomics (un’importante agenzia di consulenza calcistica), pochi giorni prima della finale dei Mondiali 2010 tra la sua Olanda e la Spagna avesse chiesto a un membro della nazionale “orange” se fossero interessati ad un’analisi dettagliata dei rigoristi e dei portieri spagnoli. Visto l’interesse mostrato dallo staff tecnico olandese, il professore della London School of Economics Ignacio Palacios-Huerta lavorò al computer una notte intera e riuscì a consegnare in tempo il suo report. Chissà come sarebbe andata se Iniesta non avesse deciso di vincere la partita al 116’.

 



Se il modo in cui si calcia è fondamentale, anche il momento in cui si va dal dischetto ha la sua importanza. Persino una fase preparatoria generalmente ritenuta insignificante come il lancio della monetina può risultare fondamentale. Palacios-Huerta, analizzando 212 sessioni di rigori ha notato che la squadra che calcia per prima vince nel 61% dei casi, probabilmente perché la maggior parte degli avversari soffre la pressione di dover inseguire.

 

Nate Silver, giornalista e statistico americano noto per l’accuratezza delle sue previsioni elettorali, in vista della Coppa del Mondo del 2014 aveva realizzato per il suo sito

(insieme a Ritchie King) uno schema per seguire in tempo reale come variano le probabilità di vittoria delle squadre nel corso di una sessione dagli undici metri.

 

Chiaramente si tratta di uno strumento ancora valido, da stampare e tirar fuori quando si arriva alla lotteria. Prima dell’inizio entrambe le squadre hanno le stesse possibilità di vittoria. Partendo quindi dalla prima casella in alto (“50%”), si può seguire la variazione delle probabilità delle due squadre di aggiudicarsi la serie, scendendo nel grafico una riga per volta dopo ogni penalty calciato: quando la squadra A (quella che tira per prima) segna bisogna spostarsi nella casella in basso a sinistra; quando è la squadra B a segnare ci si sposta in basso a destra; in caso di errore si passa alla casella sotto in senso perpendicolare, senza spostamenti orizzontali.

 


Questo diagramma parte dall’idea che le squadre siano equamente dotate nel tirare i rigori. Su FiveThirtyEight ci sono anche le mappe da utilizzare qualora una sia più efficace dell’altra.


 

Arrivati al rigore che potrebbe risultare decisivo ci conviene per un attimo lasciar perdere questo grafico e tener presente quest’altro.

 



 

Il dottor Jordet, dopo aver raccolto dati sui rigori di Mondiali, Europei e Champions League ha scoperto che la percentuale di trasformazione dagli 11 metri è del 92 % quando il rigore assicurerebbe la vittoria alla squadra del tiratore, ma crolla al 62% quando un errore ne sancirebbe l’eliminazione: «Di base, ci fa capire meglio quanto sia grande la forbice tra il potere del pensiero positivo e quello del pensiero negativo quando li relazioniamo alle conseguenze di un’esecuzione di questo tipo».

 



«Mo je faccio er cucchiaio».


 

Nel nuovo secolo il “Panenka” ha vissuto una seconda giovinezza. Restando ai campionati europei, dopo Totti contro l’Olanda nel 2000, l’hanno usato Postiga contro l’Inghilterra nel 2004, Pirlo sempre contro gli inglesi nel 2012 e Sergio Ramos contro il Portogallo nello stesso anno. Tutti sono riusciti a segnare e le loro squadre si sono poi aggiudicate l’incontro. Potrebbe non essere un caso. Un rigore trasformato in quel modo mina la sicurezza degli avversari, accrescendone il nervosismo. Proprio Pirlo, nel 2012, ha spiegato la sua scelta diceno che avrebbe voluto "far abbassare la cresta" ad Hart, fino a quel momento apparsogli "troppo sicuro".

 

Subito dopo il cucchiaio di Postiga, Vassell si è visto parare il suo rigore; nel turno immediatamente successivo allo scavino di Ramos, Bruno Alves ha colpito la traversa; stessa sorte per il tiro di Ashley Young successivo al tocco morbido di Pirlo.

 


Se però il portiere non si tuffa...


 

Se i rigori segnati sono tutti uguali, un rigore firmato col cucchiaio è più uguale degli altri. È un po’ come nel basket: una gran schiacciata in faccia a un avversario vale due punti, quanto un appoggio al tabellone, ma l’impatto sul morale degli avversari non è nemmeno lontanamente paragonabile.

 

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