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Redazione basket
Old World Order
22 ago 2016
22 ago 2016
Team USA è ancora la squadra più forte del mondo.
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Sì, sì e ancora sì. Se nel quadriennio 2002-2006 il mondo si avvicinò e superò gli Stati Uniti fu soprattutto per motivi organizzativi, motivazionali e mentali, ma mai davvero tecnici. Quando poi USA Basketball ha spinto non solo per riportare in squadra i big, ma anche per riportarli motivati, ecco che non c'è stata più storia. Certo, abbiamo avuto partite combattute e magari decise all'ultimo tiro (vedi Serbia la scorsa settimana): ma poi alla fine della fiera a salire sul gradino più alto del podio sono sempre stati loro, gli yankee. Questo perché possono essere “poco squadra” quanto vogliamo, ma tecnicamente restano dalle due alle cinque spanne sopra le altre. Anche a Rio è andata così: girone sonnacchioso con piede sull'acceleratore quando serviva e poco più, e una volta passati alla fase finale tanti saluti alla compagnia. Bravi argentini e spagnoli, per carità; però per vincere contro questi mostri non basta essere bravi: bisogna essere perfetti in 12 per 40 minuti. Tanti auguri.

 



Magari non nella misura della disfatta dei serbi, che oggettivamente dopo un inizio incoraggiante si sono completamente disuniti, però sicuramente il divario è ancora piuttosto ampio. Se consideriamo gli assenti di Team USA (Westbrook, James e Curry sopra tutti) il risultato finale è ancora più significativo. Spero inoltre che questo torneo olimpico abbia contribuito a smontare in maniera definitiva quel mare magnum di luoghi comuni sugli Stati Uniti

. Credo che l’intimidazione difensiva portata da DeAndre Jordan, capace di spazzare via letteralmente la Spagna dalla partita, l’onnipotenza offensiva di Durant e la difesa di George su Teodosic siano prove sufficienti per far detonare i luoghi comuni.

 


Sotto la voce “onnipotenza” appare questo Vine qui



 



Non sono stato un grande fan di questa versione di Team USA, che non mi è piaciuta per come è stata gestita da Coach K e dallo scarso

- soprattutto difensivo - con cui entrava in partita. In una squadra di alto livello questi due aspetti sarebbero stati letali nella corsa non dico all’oro ma anche solo a una medaglia. E invece loro hanno, come dice giustamente Dario, sonnecchiato per gran parte del torneo e quando hanno spinto sull’acceleratore non c’è stato scampo per nessuno. Direi che questo basta per capire quanto ampio sia il divario, soprattutto se si pensa alle varie defezioni.

 



Per me invece il divario non è così ampio come si è visto nel +30 finale sulla Serbia. O meglio: è così ampio nel momento in cui gli Stati Uniti portano il loro “

”, cioè quando si impegnano sul serio sui due lati del campo (soprattutto quello difensivo), cosa che però nel corso del torneo si è vista sostanzialmente solo in finale. Tuttavia è bastato e avanzato per chiudere il decennio di Coach K con un record di 88-1 (di cui le ultime 76 consecutive) che lascia poco spazio al dibattito: gli Stati Uniti hanno imparato dai loro errori e hanno lasciato le briciole al resto del mondo. Che piaccia il loro modo di giocare oppure no.

 

 



 



Enormi. Questa è la Sua Nazionale, la Sua squadra. L'ha plasmata lui con le sue idee e il suo carisma, partendo dal lavoro fatto nel 2013 da Ivkovic ma aggiungendo tanto di proprio. Sa pilotarla con giudizio, sa richiamare i suoi all’ordine quando perdono la retta via, sa capire quando è necessario e serve davvero alzare i toni: penso a come - sia al Mondiale 2014 che a questi Giochi - la Serbia abbia cambiato totalmente faccia passando dalla fase a gironi al tabellone, quando è entrata in modalità

. Credo che emblematica in tal senso sia la crescita esponenziale che ha avuto Teodosic, che merita un capitolo a parte, oppure il ruolo da architrave a tutto campo che ha invece assunto Raduljica. Si vede lontano un miglio che i giocatori sono pronti a fare tutto quello che Sale dice loro: perché lui è Sale Djordjevic e se dice una cosa è Legge.

 



Concordo con Dario: sul Sasha allenatore aggiungo che la sua ancor giovane carriera come coach finora non ha mai portato i risultati attesi durante le stagioni con i club (Milano, Treviso, Panathinaikos, nel 2016-17 sarà al Bayern Monaco). Djordjevic, anche con giocatori di nazionalità e culture cestistiche differenti da quella serba, ha sempre cercato di impostare le squadre a sua immagine e somiglianza, ma i suoi precetti hanno avuto successo (finora) solo con un team - la Serbia, appunto - cresciuto nel mito dell’incredibile precedente generazione dei 90’s (Simonovic, la chioccia del gruppo, aveva 10 anni quando la Jugoslavia di Sasha venne battuta da Team USA alle Olimpiadi di Atlanta). Unità d’intenti rappresentata anche da un gruppo compatto che, al termine della premiazione, ha supportato Nemanja Bjelica, la stella della squadra non presente per infortunio, mostrando il nome e il numero 8 scritto su magliette e bandiera. È un limite fisiologico e comprensibile per un coach agli inizi e per un ex-giocatore con quel temperamento e quel carisma, ma non è un caso che Milos Teodosic, come sottolineava Dario, abbia sempre dato il meglio con Sasha alla guida, quasi azzerando i passaggi a vuoto che l’avevano reso “celebre” suo malgrado al Cska Mosca.

 


Il clinic di Teodosic che è valso l’argento



 



Il modo in cui Djordjevic ha studiato il meraviglioso attacco dell’Australia e l’ha disinnescato smontandolo un pezzo alla volta rimane il capolavoro tattico di questa Olimpiade. Certo, avere degli atleti come quelli della Serbia - che sono in grado di impedire qualsiasi ricezione anche a uno come Patty Mills - aiuta, ma l’abnegazione e l’esecuzione di quei compiti difensivi è stata eccellente. Chiudo citando anche il lavoro fatto su Nikola Jokic, sempre partito dalla panchina ma alla fine determinante in campo: tenere sempre sul pezzo un giocatore meraviglioso ma “ondivago” come il giovane lungo dei Denver Nuggets è stato un piccolo capolavoro nel capolavoro. Ho un hype esagerato per la S02 di Nikola in NBA.

 

 



 



Nel precedente articolo mi ero immaginato una semifinale dai ritmi alti, dove la Spagna avrebbe sfidato Team USA sul tiro e sulla capacità di fare canestro. Ne è invece venuta fuori una prova difensiva magistrale per il team di Scariolo, che è riuscito a limitare Cousins e Durant almeno nel primo tempo. La coperta però è risultata troppo corta, e nella metà campo offensiva hanno pagato dazio a livello di percentuali dall’arco, anche con quei giocatori in grado di mettere canestri piedi a terra con continuità. Paradossalmente questa è stata l’occasione più ghiotta degli ultimi 8 anni di battere gli statunitensi, forse anche più di Pechino e Londra, dove abbiamo visto partite molto più spettacolari. Come ha scritto Dario R. all’inizio dell’articolo la condizione necessaria -  e forse non sufficiente - per battere Team USA è quella di essere perfetti per tutti i 40 minuti.

 



La Spagna può incolpare soltanto se stessa per il terzo argento olimpico consecutivo mancato (e ci si dimentica spesso che ad Atene 2004 era lanciata verso traguardi simili): partire in sordina - esordio troppo indolente contro la Croazia, con il Brasile è stato un incubo degno del miglior Goya - ha portato al secondo posto nel Girone B e al conseguente accoppiamento con Team USA prima della finale. Contro gli statunitensi le percentuali disastrose sui tiri aperti ci hanno purtroppo tolto la possibilità di vedere un vero finale tirato: l’82-76 mente sul reale equilibrio dell’ultimo quarto, con gli spagnoli mai arrivati a meno di due possessi di distanza dagli avversari. Forse dare qualche minuto “importante” a un veterano come Calderón non sarebbe stata una cattiva idea, così come ad un tiratore puro come Abrines, limitato - dicono - da dei fastidi al ginocchio sinistro. Va ricordato comunque che al posto di Willy Hernangomez ci sarebbe dovuto essere Marc Gasol (omaggiato con la canotta nelle foto di rito finali dai compagni insieme a San Emeterio, altro storico assente), che avrebbe dato a coach Scariolo tutt’altra pericolosità e fisicità, anche se con quelle percentuali da fuori nemmeno il fratello minore di Pau avrebbe potuto fare molto. Rimane dunque la quasi certa conclusione del clamoroso ciclo di una generazione di cestisti, quella spagnola nata negli 80’s, forse irripetibile e a quanto pare più antipatica (forse perchè più vincente) della

argentina, considerata l’indifferenza con cui è stata “salutata” sui social al termine di queste Olimpiadi.

 

 




Dalla dedica alla mamma di Ricky Rubio scomparsa in primavera (per il dolore Rubio aveva messo in dubbio addirittura la sua carriera) al tweet di un Fernando San Emeterio commosso dopo essere stato ricordato da Sergio Llull e dai suoi compagni, è stata una medaglia olimpica più emozionante del solito per lo storico gruppo spagnolo


 

 


 



Giusto il giorno dopo averne tessuto le lodi per il livello e la bellezza di pallacanestro offensiva mostrata a Rio, gli Aussie sono incappati nella peggior prestazione possibile contro la Serbia di Djordjevic. A onor del vero c’è da fare tanto di cappello all’ex-play della Fortitudo per come ha preparato la partita difensivamente, cercando di adottare più soluzioni per non permettere al collega Lemanis facili aggiustamenti per rimettere la partita in carreggiata e usando uno strepitoso Nikola Kalinic come free-safety difensiva. Questo ha mandato completamente in tilt i Boomers che si sono trovati per la prima volta nel torneo a inseguire senza aver mai avuto il minimo contatto, scioccati dalla partenza bruciante dei serbi e minando quella fiducia nella loro idea di gioco che nel torneo non si era ancora palesata, neppure con il Team USA. Quello contro la Serbia è sembrato comunque un giro a vuoto più che una crisi d’identità, considerando anche come hanno affrontato la Spagna nella finalina per il Bronzo, in cui sono riusciti ad infliggere ben 88 punti a una squadra difensiva come quella messa in piedi da Scariolo. Una medaglia sfumata -

- che sarebbe stato un risultato storico per un movimento che è in costante crescita e che ci si aspetta che in futuro, soprattutto con l’aggiunta di Ben Simmons e Dante Exum, manterrà il ruolo di protagonista in questi eventi.

 



Piccolo intermezzo: 6 secondi per rivedere questa sassata di Brock Motum sulla testa della Spagna intera



 



Il passaggio a vuoto con la Serbia però è stato bello grosso, e con il calo di rendimento contemporaneo di Bogut e Dellavedova sono emersi tutti i limiti di creazione di tiro di questa squadra, che ha un solo giocatore con punti nelle mani in Mills. È un po’ il lato oscuro del movimento di palla: quando funziona al suo massimo è il sistema di gioco più divertente da vedere ed efficiente nella creazione dei tiri, ma se vengono inseriti dei granelli nei suoi ingranaggi si ferma tutta la macchina (4/31 da tre!), anche per l’incapacità di guadagnarsi quei viaggi in lunetta così sottovalutati nell’economia di una partita. Solo un’ultima cosa: giù il cappello davanti a David Andersen, ultimo degli immortali.

 

 



 



È un ballottaggio tra Teodosic e Mills. Il primo, come accennato, ha vissuto un torneo che ha consacrato il suo status internazionale. Soprattutto ha ulteriormente dimostrato che ormai è totalmente un giocatore al servizio del gruppo e che quando cerca la giocata lo fa nell’interesse della squadra, risultando così devastante. 10 assist contro la Croazia, 22 punti contro l’Australia: fa quello che serve, non forza quello che è dannoso. Mills è stato semplicemente WOW! A

che è stato già detto su di lui, aggiungo che ha chiuso con 21.3 di media e il 47% dal campo: è stato il tocco in più in un collettivo da applausi.

 



A mio modo di vedere un serio candidato lo possiamo trovare sempre nel Team USA, e mi riferisco a quel Paul George che è sembrato la versione cestistica del Mr. Wolf di Pulp Fiction. Gli americani hanno faticato molte volte nell’approccio alla partita, ma ogni volta che l’ala di Indiana entrava in campo (in collaborazione anche con un solidissimo Kyle Lowry) i valori venivano ristabiliti grazie all’impatto difensivo che portava. Credo non ci sia stato un

determinante come lui nel torneo. Segnalo anche io Teodosic, che quando affiancato a un

riesce a tirare fuori il meglio di sé con meno possessi, ma giocati ad un livello altissimo di pallacanestro. E questa nuova dimensione, finalmente accettata, sta dando dei grandi frutti, vedi al CSKA con Jackson-DeColo e con la nazionale protetto da Markovic e Bogdanovic.

 



Teodosic, Mills e Gasol sono tutti nomi più che validi, con Paul George e Klay Thompson a tratti eccellenti, però permettetemi due righe su DeAndre Jordan, che nella partita più importante - la semifinale con la Spagna - ha dominato la gara sotto i tabelloni con 16 rimbalzi (record eguagliato in area FIBA) e 4 stoppate (senza contare i tiri alterati) in 27 minuti. E chi si ferma solo alle infrazioni di passi in campo aperto - che poi, provateci voi con quel corpo - o al “sa solo schiacciare e stoppare!!11!1” si perde un giocatore che ha un impatto enorme ogni volta che scende in campo.

 

 



 



Teodosic-Mills-Durant-Gasol-Jordan

 



Teodosic-Mills-Bojan Bogdanovic-Durant-Gasol

 



Teodosic-Mills-George-Durant-Gasol

 



Teodosic-Mills-Bojan Bogdanovic-Durant-Gasol

 



Teodosic-Mills-Durant-Gasol-Jordan

 

 



 



Se il torneo del 2008 era stato comunque contrassegnato da Kobe e quello del 2012 da LeBron, questo del 2016 è la definitiva consacrazione di Kevin Durant a livello FIBA - non fosse altro che per il momento storico in cui è arrivato, con il passaggio ai Golden State Warriors di inizio luglio. Doveva essere

è così è stato, anche se non esattamente nel modo in cui se lo era immaginato lui o i tifosi degli Oklahoma City Thunder. Questa medaglia d’oro chiude idealmente la prima parte della sua carriera e ne apre un’altra, sia che continui a difendere i colori di Team USA (è il secondo miglior marcatore di sempre dietro Carmelo Anthony, che ha già

che la sua carriera internazionale è finita) oppure che si concentri solo sulla caccia a quel titolo NBA che finora gli è sempre sfuggito. Ad ogni modo, è stata l’estate di Kevin Durant.

 




Nota a margine: 74.5% di percentuale (ir)reale.


 



Se da un lato questo torneo ha palesato ulteriormente come il divario tra USA e resto del mondo si stia mantenendo sui consueti standard, dall’altro il livello medio di tutte le partecipanti si è alzato in maniera considerevole. Stiamo assistendo con un certo numero di anni di ritardo a quel livellamento verso l’alto che abbiamo osservato con il calcio sul finire del secolo precedente. Questo torneo ha dimostrato che ormai le migliori squadre del continente africano, ed in parte anche quelle del continente asiatico, sono degli avversari credibili per le migliori del vecchio continente, a conferma di una tendenza palesatasi con i mondiali spagnoli del 2014. Nota dolente forse viene dal Sud America, che con la chiusura del ciclo argentino e di quello brasiliano farà fatica a presentarsi ai margini del podio nei prossimi anni.

 



Parlare di arbitri e arbitraggi è una delle cose che odio di più quando c’è da commentare una partita di qualsiasi sport, ma quanto visto in queste tre settimane di Giochi mi lascia particolarmente sbigottito. Non sto parlando di singole chiamate - nonostante il fischio finale di Spagna-Australia che ha deciso il bronzo gridi ancora vendetta - ma in generale dell’atteggiamento della terna arbitrale in ogni singola partita, mostrando grandi limiti nel mantenimento del metro di giudizio e in alcuni casi anche una superbia che ha quasi minato il corso di alcune partite. Un esempio lampante sono i 5 tecnici fischiati dalla terna capitanata dal greco Christodoulou nei primi 15 minuti della semifinale USA-Spagna, rischiando di rovinare una delle partite più attese del Torneo. Queste uscite non sono sicuramente una novità in ambito FIBA, ma in un evento del genere doversi soffermare sul pessimo lavoro dei grigi credo sia sintomo di un problema che va affrontato con urgenza.

 

 

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