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Michele Serra
OKC ha vinto le scommesse Williams e Holmgren
06 mar 2024
06 mar 2024
I due sono diventati le spalle perfette per Shai Gilgeous-Alexander.
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Michele Serra
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È convinzione comune nello sport americano che per le squadre in ricostruzione sia piuttosto facile assestarsi su un livello medio e diventare una squadra da playoff in tempi relativamente brevi. Molto più difficile, invece, è il percorso per diventare contender, irto di ostacoli e imprevisti. Gli Oklahoma City Thunder delle ultime stagioni invece sembrano aver saltato la parte intermedia in cui diventano squadra da playoff, passando nel giro di un anno da “squadra in ricostruzione” a “squadra in grado di lottare per il titolo”. Che poi questo si verifichi è tutto da vedere, trattandosi del secondo roster più giovane della NBA dietro ai San Antonio Spurs, ma il rendimento tenuto dalla squadra di Mark Daigneault finora – in lotta per il primo posto a Ovest praticamente da inizio anno – non può essere trascurato. La crescita di Shai Gilgeous-Alexander, ormai assurto al ruolo di credibilissimo candidato MVP, è ovviamente il motivo principale di questo decollo verticale, ma senza il contorno tutto ciò non sarebbe stato possibile. E nemmeno senza le scelte al Draft, la valuta con cui il GM Sam Presti ha assicurato un futuro ai giovanissimi Thunder. Al Draft 2022, OKC aveva due scelte nelle prime 12 chiamate, e con esse hanno sistemato 2/5 del quintetto per un decennio buono: con la seconda scelta assoluta è arrivato Chet Holmgren da Gonzaga e con la 12^ Jalen Williams da Santa Clara. E a quasi tre lustri di distanza da Kevin Durant, James Harden e Russell Westbrook, i Thunder potrebbero tornare ad avere tre All-Star nello stesso roster.Jalen Williams, di anonimo c’è solo il nomeJalen Williams non ha un nome che ti fa dire “questo non può non diventare forte”, ma non c’è nulla di più sbagliato. Nato a Denver, è stato il primo giocatore da Santa Clara a essere scelto al Draft NBA dopo Steve Nash: era il 1996 e “J-Dub” non era forse nemmeno un’idea nella mente dei suoi genitori. E non era nemmeno così tanto sui radar dei valutatori del Draft almeno fino a poche settimane prima della notte delle scelte, risalendo vertiginosamente i Mock Draft grazie a prestazioni strepitose soprattutto alla Combine – alla faccia di chi dice che non servano più a niente.Pur non essendo un freak atletico, Williams rappresenta in pieno l’idea di giocatore versatile e multi-posizionale che tanto è richiesto nella NBA attuale e che a OKC perseguono ormai da quando è terminata l’era Westbrook. Alto 196 centimetri, il numero 8 dei Thunder occupa prevalentemente tre ruoli - o quattro, come ala grande in quintetti piccoli - tanti quanti quelli che può marcare. Uscito dall’high school senza la fila di college interessati, Williams è il classico late bloomer: siti specializzati nella valutazione dei prospetti liceali lo consideravano un prospetto 3 stelle su 5, e solo nell’anno da junior è riuscito a farsi notare per la propria alma mater. Dopo avere chiuso la stagione da rookie ai Thunder con 14 punti in 30.3 minuti di media, ed essere arrivato secondo nella lista per il premio di Matricola dell’Anno mettendo pressione a Paolo Banchero negli ultimi mesi di regular season, nella sua seconda stagione tra i pro “J-Dub” sta avendo più minuti (ma neanche troppi di più, 32 di media) e, soprattutto, ha alzato e non di poco il rendimento: sono 19.2 punti di media con un’efficienza al tiro ai limiti del ridicolo, pari al 54.4% dal campo e il 45.3% da 3.Nonostante il ruolo teorico di Williams sia quello di guardia/esterno, il sophomore dei Thunder è anche quello che gioca di più il pick and roll in squadra (35.8% di frequenza contro il 31.% di SGA), producendo 1.02 punti per possesso. Come detto sopra, Williams non è un mostro di atletismo e, oltre a non avere un primo passo bruciante, quando tenta l’incursione in area preferisce concludere con un floater o con un fadeaway. Non sappiamo se sia l’influenza di Gilgeous-Alexander, eccellente in questo fondamentale, ma Williams è un vero califfo quando c’è da tirare buttandosi indietro, come testimoniano le cifre.

Nei tiri definiti come “fadeaway” (cioè buttandosi indietro) dal sito ufficiale NBA, Williams tira con il 52% dal campo – una percentuale eccellente considerando che sono quasi tutti tiri contestati.

A vedere il modo in cui va al ferro assomiglia davvero a SGA, per la pazienza che ha nell’attaccare il difensore e nella capacità di arrestarsi in qualsiasi momento per liberare il tiro dalla media distanza. Del suo illustre compagno non ha ancora la capacità di lucrare tiri liberi (quando si butta in area, ne tenta un quarto di media rispetto a lui), ma rimane comunque un attaccante difficile da fermare quando tira delle sue mattonelle, anche grazie alla braccia particolarmente lunghe. “J-Dub” poi contribuisce all’assalto verso il ferro che sono le partite dei Thunder, numero 1 in NBA per penetrazioni a partita con 63.3 (i secondi, gli Indiana Pacers, si fermano a 56.3). Di quelle 63.3, ben 12.6 appartengono a Williams, che in quelle situazioni produce 7.8 punti di media.L’atletismo nella media, più fisico che rapido, si nota quando Jalen deve crearsi un tiro da solo. Non è un grande giocatore di isolamento in termini di frequenza (8.5% del suo attacco), pur traendo il massimo da questa situazione (1.09 punti per possesso, nel 77° percentile di Lega). Non ha un primo passo particolarmente esplosivo, né andando sulla sua mano forte, la destra, né su quella debole: in questo caso, il classe 2001 non riesce ad arrivare fino in fondo e deve limitarsi al tiro. Anche quando il difensore fa un buon lavoro, però, Williams riesce a prendersi una conclusione o in arretramento o, semplicemente, tirandogli in testa. È anche un eccellente tiratore da 3, nonostante un numero ridotto di triple a partita tentate (3.3), sia in catch and shoot (41.7%), che dal palleggio (un irreale 52.5%). I suoi avversari non sembrano rispettare troppo la sua capacità di segnare le triple, soprattutto quando un lungo finisce su di lui dopo un cambio. Spesso le difese gli concedono ampi spazi, e lui ripaga segnando le triple wide open (sono 2.3 a gara) con il 47.3%.

Nonostante la ridotta esperienza, il suo utilizzo del fisico per creare spazio è notevole. Qui Harden gli si para davanti, ma lui riesce a separarsi usando proprio il corpo (e non è che Harden sia fisicamente debole)

Williams si fa apprezzare nei movimenti senza palla, soprattutto in contropiede o semi-transizione: non a caso, i Thunder sono la prima squadra in NBA per frequenza di utilizzo (20.6%) di questa situazione di gioco. La sua volontà nel muoversi senza palla è particolarmente apprezzata soprattutto quando la difesa avversaria non è schierata; Williams preferisce accompagnare il contropiede tagliando verso canestro - come nella più classica delle “trecce” in allenamento - invece di appostarsi oltre l’arco per una tripla: non è una novità di quest’anno, già l’anno scorso OKC sfruttava abbondantemente i taglianti in situazioni di contropiede. La prima idea è sempre quella di mettere pressione al ferro, anche per liberarsi spazio per lo step back.La stessa “pesantezza” che Williams si porta nei piedi quando ha palla in mano la ritroviamo, inevitabilmente, anche in difesa. Fa un buon lavoro nel navigare sui blocchi, ma contro giocatori più rapidi va in difficoltà. È indubbiamente più a proprio agio contro giocatori che gli assomigliano fisicamente che contro i play; tuttavia, la conformazione del roster dei Thunder lo pone spesso e volentieri davanti a un equivoco. Jalen, infatti, finisce spesso contro i “4” avversari, che lo puntano spalle a canestro. La presenza di uno stoppatore come Chet da questo punto di vista è una risorsa preziosa, ma ci arriveremo tra poco. A meno di due mesi dalla fine della stagione regolare, possiamo tranquillamente dire che Jalen Williams sia uno dei candidati più accreditati al premio di Most Improved Player of The Year. A volte tendiamo a dare per scontato che un giocatore salga di rendimento dal primo al secondo anno tra i professionisti ma, nel suo caso, stiamo parlando di un ragazzo che ha saputo aumentare la propria media punti ogni singolo mese da quando è entrato in NBA (ha chiuso febbraio a 22.3 a partita) e sempre più spesso i compagni si affidano a lui nei quarti periodi: è 11° in NBA per punti segnati nel quarto quarto (7.2), con il 58.1% dal campo e il 58.8% da 3. Pietra angolareBen prima che Chet Holmgren mettesse piede in NBA, il suo nome era accompagnato da tanta attesa ma anche da tanto (poco giustificato) scetticismo. La sua evidente magrezza aveva alimentato i più classici discorsi su una presunta inadeguatezza alla fisicità del gioco NBA e la frattura al piede subita nell’estate del 2022 durante un torneo estivo ha gettato ulteriore benzina sul fuoco. Ebbene, i primi mesi da giocatore NBA del nativo di Minneapolis hanno fugato ogni dubbio riguardo la sua adattabilità sin dal primo giorno. Forse a contribuire alla scarsa popolarità del giocatore ci ha pensato lui stesso, con la spavalderia tipica dell’età e degli atleti professionisti, che spesso non difettano di autostima. Nei classici video pre-Draft realizzati dalle varie pagine sportive sui social, alla domanda «Chi è il miglior giocatore in NBA attualmente?», Holmgren ha risposto: «Io, tra due mesi». La faccia e la tranquillità da veterano con cui Chet gioca però ha già trasformato molte delle critiche in elogi. Uno dei più particolari è arrivato da JJ Redick a inizio stagione: «Potete dire che Holmgren giochi con spirito competitivo, io dico che è uno stronzo: questo mi dà speranza che diventi un giocatore All-NBA». In attesa dei riconoscimenti pesanti, la seconda scelta assoluta al Draft 2022 sta giocando come il favorito - assieme a Victor Wembanyama - per il premio di Rookie dell’Anno. Se prima abbiamo definito Jalen Williams come uno dei tanti giocatori della NBA attuale a rifuggire l’inserimento in un ruolo predefinito, questo discorso vale a maggior ragione per Chet. Il numero 7 dei Thunder utilizza in abbondanza il pick and roll (20.4% di frequenza), situazione in cui produce 1.28 punti per possesso. In realtà la frequenza sarebbe probabilmente ben più alta se includessimo anche situazioni di pick and pop, con il lungo che sfrutta la gravity generata da Gilgeous-Alexander per aprirsi oltre l’arco e tentare la tripla. Molto spesso poi Chet arriva con calma in semi-transizione per sfruttare il blocco di un piccolo per tirare libero da pressione: 4 dei suoi 4.3 tiri da 3 tentati di media arriva in catch and shoot e sono convertiti con il 42%.

Tutta la versatilità di Holmgren in quattro azioni. Nelle prime due OKC usa lo Spain pick and roll, un blocco sul bloccante che può essere effettuato per il tiratore che si apre oltre l’arco oppure, come in questo caso, per liberare il taglio di Chet in area. Nella terza spara in semi-transizione senza pensarci un secondo per punire le scelte della difesa. Nell’ultima clip, invece, vediamo la capacità di giocare con i compagni, passando da un gioco a due abortito con SGA a uno con J-Dub suggellato da un un ottimo “ghost screen”, un finto blocco a seguito del quale Chet si butta nello spazio che si è venuto a creare.

Al di là del tiro da fuori (ha il 39% abbondante nelle triple in stagione), quello che rende Holmgren un "unicorno" è la mobilità nello stretto e la capacità di mettere palla per terra nonostante le dimensioni. Il giocatore degli OKC utilizza gli isolamenti solo nel 5.3% dei propri possessi offensivi, producendo però 1.14 punti per possesso in questa situazione (nell’86° percentile della lega), facendo pensare che ci sia un aspetto del suo gioco non ancora esplorato visto che questi Thunder non ne hanno poi così tanto bisogno. Il rookie combina atletismo, mobilità di piedi e anche un pizzico di faccia tosta: la summa di tutto questo si è tradotta nella schiacciata remix, resa famosa da Tracy McGrady, ed eseguita durante la partita contro i Clippers.

Forse definirla “signature move” è prematuro, ma quella virata sul perno è probabilmente la mossa offensiva preferita di Chet quando deve produrre in proprio. Il modo in cui batte Vanderbilt iniziando il palleggio lontano da canestro e calibrando i passi lo fa sembrare sinistramente simile a Giannis Antetokounmpo. Certo, lo strapotere fisico del greco aiuta, e di questo ancora Chet è sprovvisto, ma stiamo pur sempre parlando di due ‘sette piedi’ in grado di mettere palla per terra come se fossero alti 30 centimetri in meno.

Un aspetto del proprio gioco offensivo in cui deve crescere è la fisicità sotto canestro. Essere aggressivo e saper usare il fisico esula dalla costituzione corporea (tradotto: non serve essere grossi per “giocare grossi”) e lui deve ancora imparare ad attaccare il ferro con maggiore cattiveria, soprattutto contro avversari che non gli rendono centimetri o chili.Se già il suo gioco offensivo è decisamente avanzato per un ragazzo della sua età, è nella metà campo difensiva che Holmgren ha già un impatto devastante e decisivo per OKC. Il rookie da Gonzaga è terzo in stocks (rubate + stoppate) con 3.32 a partita dietro un giocatore generazionale come Wembanyama e Anthony Davis, serissimo candidato al premio di difensore dell’anno. È anche ottavo in defensive win shares, una stima della vittorie a cui un giocatore contribuisce grazie alla propria difesa ed è già uno dei migliori rim protector della Lega; è secondo in NBA per conclusioni difese al ferro (9.1), situazione in cui concede il 53.5%, uno dei primissimi dati del campionato in relazione a numero di partite e minuti di media giocati.

Vi ricordate quanto detto prima sui matchup scomodi tra Jalen Williams e i lunghi avversari? Ecco a cosa serve Holmgren. La sua capacità di “anticipazione” di quello che succederà è tra le più avanzate che si ricordino per un rookie, specialmente per uno che gioca stabilmente da 5.

La sua doppia capacità di proteggere il ferro e segnare da fuori gli ha permesso di diventare la prima matricola di sempre a registrare 150 stoppate e 100 triple. Nella storia della NBA solo Raef LaFrentz, Brook Lopez e Jaren Jackson Jr. ci sono riusciti, ma non alla sua età.Per la culturaMolti parlano dei Thunder di “dinastia in divenire”, per l’età media del roster e la qualità già presente al suo interno, oltre alla pletora di scelte al Draft che il GM Sam Presti ha accumulato negli anni. È tutto molto prematuro, in realtà, e gli stessi Thunder ci forniscono un ottimo esempio: una dozzina di anni fa, la OKC di Durant, Westbrook e Harden veniva accreditati come il futuro della NBA; invece dopo una finale nel 2012 non è più riuscita a ripetersi, e sappiamo tutti come è andata a finire la storia. Quello che sembra essere incontrovertibilmente vero è che i giovani Thunder di Mark Daigneault hanno tutte le carte in regola per essere, nella peggiore delle ipotesi, una squadra che verrà ricordata negli anni anche solo per le personalità a roster. Shai Gilgeous-Alexander è ormai assurto al ruolo di superstar e protagonista della NBA, per quanto sta facendo in campo ma anche fuori. Sui social spopola per le frasi con cui accompagna i propri post di Instagram - tanto da indurre il suo ex compagno Tre Mann a credere che dietro di esse ci sia la mano del connazionale Drake - ma anche per i look con cui si presenta alle partite (è uno dei preferiti della pagina Instagram LeagueFits affiliata a SLAM, la nota rivista di basket). Da questo punto di vista, Jalen Williams sta seguendo le orme del compagno: anche lui è presenza frequente sulle pagine Instagram che si occupano degli outfit di atleti NBA, ma neanche Chet scherza. La sua personalità, il suo modo di esprimersi in campo e fuori è una diretta conseguenza del mondo in cui è cresciuto. In una intervista rilasciata ad Andscape - sito di cultura black affiliato a ESPN - il nativo di Minneapolis ha raccontato di essere cresciuto in un quartiere multietnico, tra bianchi, neri, ispanici, somali e giamaicani: «Ho imparato ad apprezzare diversi tipi di cibo, musica e di vestire. Lo si vede dalla musica che ascolto, dai piatti che mangio e dai vestiti che indosso». Qualche mese fa, una foto di Chet Holmgren con in testa un durag è diventata virale; si tratta infatti di una sorta di foulard tipico della cultura afroamericana, utilizzato in origine dalle donne per raccogliere i capelli mentre lavoravano nei campi, poi come strumento per trattamenti ai capelli degli uomini e, infine, come simbolo ufficioso della cultura hip-hop, spesso indossato anche da LeBron James in conferenza stampa o durante gli allenamenti.Williams e Holmgren sono già da ora due giocatori estremamente importanti in una squadra che ha in Gordon Hayward e Bismack Biyombo - arrivati solo poche settimane fa dal mercato - gli unici veterani. La crescita dei Thunder da squadra promettente a contender passa per forza dalle loro mani, dal loro sviluppo come giocatori e dai loro errori; a seconda della serata, sono già loro i Robin per il Batman SGA, ma il rapporto di forza potrebbe diventare paritario più prima che poi.

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