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Daniele V. Morrone
Difendere su Shai Gilgeous-Alexander ti fa venire il mal di testa
02 mar 2023
02 mar 2023
Il giocatore più imprendibile di questa stagione NBA.
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Daniele V. Morrone
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Melissa Tamez/Icon Sportswire
(foto) Melissa Tamez/Icon Sportswire
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Ogni mattina un appassionato della NBA si sveglia e, come prima cosa, usa il suo smartphone, tablet o pc per spulciare i box score della notte americana, recuperando gli highlights della partita più chiacchierata sui social mentre sorseggia il primo caffè della giornata. Il basket è uno sport di squadra, ma tra gli sport di squadra è forse quello in cui il singolo può avere un maggiore impatto, sia per la grandezza del campo e i numero di giocatori, che per la natura stessa del gioco: alla fine la palla dentro il canestro la mette il singolo. Per questo guardare chi ha segnato più punti in una partita è la prima cosa che viene naturale fare spulciando i tabellini, e anche se chi conosce il basket sa che è un dato che non va più in là della curiosità, rimane un riflesso immediato irresistibile. In questa stagione tra i nomi che tornano più e più volte scorrendo i boxscore c’è quello di Shai Gilgeous-Alexander. Che per quanto sia un nome bellissimo dall’immaginario creolo, per facilitare la lettura da questo momento in poi abbrevierò utilizzando soltanto Shai (alcuni utilizzano il bruttino acronimo SGA, ma sembra una ditta di consegne e quindi ho preferito evitare). In campo Shai è immediatamente riconoscibile: ha l’aura del giocatore ormai abituato a stare sotto i riflettori. Appare sempre curatissimo, con la barba finemente tagliata per far risaltare baffi e pizzetto sottili. Le treccine lunghe tanto da scendere all’altezza del mento a contornarne il viso, tenute da una fascia ampia dal colore abbinato alla canotta indossata. Lo stesso della mezzamanica sul braccio o sulla gamba opposta, i pantaloncini tenuti ben sopra le ginocchia, e le scarpe Converse perché, dice lui, gli danno più libertà nelle combinazioni di stili e colori. Quando si parla del suo stile in generale, dove da tempo eccelle tra i giocatori più creativi e ricercati negli outfit, il nome è subito uno e uno solo, Allen Iverson. «Era uno che infrangeva le regole, un pioniere» dice Shai. Da lui ha preso lo stile baggy fuori dal campo che tanto utilizza presentandosi al palazzetto. Una strana coincidenza che abbia raccolto il testimone di Russell Westbrook non solo come giocatore franchigia, ma anche come giocatore appassionato di moda in una delle località meno associabili allo stile come Oklahoma City.

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Un post condiviso da Shai Gilgeous-Alexander (@shai)

Erede quindi della figura di Westbrook, il valore di Shai è stato già riconosciuto dal mercato, quando OKC ha scambiato Paul George con i Clippers nel 2019, perché in cambio non arrivavano solo le tante scelte al Draft e il contratto di Danilo Gallinari, ma anche e soprattutto lui. Le notizie di quei giorni parlano di come fino all’ultimo i Clippers abbiano provato a proporre chiunque altro non fosse Shai, senza di lui però lo scambio per OKC non si sarebbe fatto. Sam Presti, lo storico plenipotenziario di OKC, è famoso soprattutto per il fiuto per i talenti (è lui che ha scelto tre futuri Hall of Famer in Durant, Westbrook e Harden in sequenza al Draft), e in Shai aveva visto il potenziale per poter essere un elemento fondamentale della OKC che da lì a breve avrebbe voltato pagina avviando la prima vera rifondazione della sua breve storia. Arrivato a 21 anni e avendo giocato pochissimo alla sua seconda stagione e meno di 60 partite alla sua terza, aveva comunque mostrato che l’intuizione di Presti era stata giusta. Ora che a 24 anni è alla sua quinta stagione nella NBA e alla quarta a OKC però ha proprio cambiato marcia: è a tutti gli effetti una delle giovani stelle della lega. A cadenza più o meno settimanale arriva la sua partita che si aggira attorno ai quaranta punti: tornando indietro ci sono i 37 punti contro Sacramento e i 37 contro Philadelphia a gennaio, i 44 contro New Orleans e i 42 contro Dallas a dicembre, i 37 contro Boston e New York in back-to-back a novembre, dove sono arrivati anche i 42 contro Washington, i 39 contro Milwaukee e i 37 contro Denver, risalendo fino alla prima da 38 punti per battere Dallas ad ottobre rispondendo ai 31 di Luka Doncic. Solo Washington può essere considerata una partita “facile”, un avversario sulla carta inferiore ad OKC, a dimostrazione del fatto che è proprio nelle sfide in cui sente di dover dare qualcosa in più, solitamente, quel qualcosa arriva. Sono solo tre le partite “toppate” da Shai della cinquantina giocate fino ad ora in stagione: nella sconfitta contro i Bucks privi di Giannis ad inizio novembre ha chiuso con “solo” 18 punti tirando col 44% dal campo; nella sconfitta contro Memphis sempre a novembre ha chiuso con 15 punti tirando col 33% dal campo; e nella sconfitta contro Phila di fine dicembre ha chiuso con 14 punti tirando col 27% dal campo. Tre partite in cui ha tirato male e in cui non a caso sono arrivate tre sconfitte per OKC, giornate storte che capitano anche ai fuoriclasse e di cui ci ricordiamo proprio perché sono un evento raro. Sono le uniche partite sotto i 20 punti, e come avrete notato sono molto meno rispetto a quelle sopra i 35 punti. Questo perché, per come gioca Shai, il suo stile di gioco si incastra con la direzione che ha preso la NBA in modo tale che, a meno di una giornata nerissima al tiro, gli viene quasi impossibile chiudere una partita con meno di 20 punti.

Della stagione di Shai e dei Thunder si è parlato anche in Air Vismara, il podcast di Fenomeno sulla pallacanestro NBA.

In modo molto basico si può dire che Shai è passato da una stagione all’altra da essere un giocatore da 25 punti a un giocatore da 30 punti a partita (pur avendo aumentato solo di 1 minuto di media in più la presenza in campo rispetto alla scorsa stagione), una differenza non così sottile come può sembrare visto quanti pochi alla fine sono riusciti a mantenere quella media nella storia della NBA. Anche in questo momento storico in cui il rendimento offensivo si è alzato, sono solo sei i giocatori con 30 o più punti di media. E se si guarda i punti totali segnati fino ad ora, cioè si arriva al nocciolo di chi sta facendo più canestri in questa stagione, solo Doncic e Jayson Tatum ne hanno di più. Questa è la base di partenza della sua convocazione al primo All-Star Game della sua carriera e soprattutto alla candidatura al premio di Giocatore più Migliorato della stagione. Guardando i vincitori passati del premio (facendo gli ultimi nomi: Ja Morant, Julius Randle, Brandon Ingram, Pascal Siakam) il fatto di aumentare il proprio impatto offensivo almeno di 5 punti di media in più è da considerare da sola giustificazione sufficiente per riceverlo. Quando gli chiedono come ha fatto a fare questo scatto di status lui dice che è solo una questione di crescita naturale: «Non credo che sia solo quest'anno. Penso che ogni anno sono in grado di imparare e crescere. È solo un accumulo di tutti gli anni passati e spero che continui. Il mio obiettivo è continuare a migliorare ogni anno, imparare dall'anno scorso e migliorare, ed è l'unica cosa su cui mi concentro». Ma la cosa interessante di Shai non è soltanto quanto stia segnando, ma il modo in cui arrivano i punti. Innanzitutto per dare un’idea forse si può partire col dire che in questa stagione è dietro solo a Joel Embiid, Giannis Antetokounmpo e LeBron James per numero di tiri dentro l’arco segnati a partita (9.3 per la precisione), a cui si possono aggiungere i 9.6 tiri liberi segnati a partita dove è secondo dietro solo ad Embiid. Le percentuali sono sopra il 50% da due (53.4%) e sopra il 90% ai liberi (90.8%). E il bello arriva adesso: segna meno di un canestro da 3 a partita, su 2.6 tentativi, che per capirci è nel range proprio di Embiid e Giannis (1.0 su 3.1 tentativi e 0.8 su 2.9 tentativi), mentre i pari ruolo dello stesso status stanno tutti sopra i 5 tentativi (dai 5.2 di Morant agli 11.3 di Lillard). Shai è quindi a tutti gli effetti un realizzatore per certi versi vintage, il cui grosso del gioco si esprime nel mid-range e nel pitturato, spesso arrestandosi dopo aver penetrato dal perimetro (24.4 penetrazioni a partita, primo in NBA con oltre tre di vantaggio su Ja Morant). Le difese NBA sono costrette a lasciare più spazio lì per gestire squadre che aprono il campo in modo massiccio, in cui il tiro da tre è una minaccia costante. Shai è diventato sempre più bravo a puntare le difese lì dove sono meno preparate, alternando tiri dalla media a cavalcate fino al canestro.

Basta che il difensore gli dia un dito e lui si prende tutto il braccio.

Una volta chiarito da dove arrivano i suoi canestri, parliamo del come. La sua capacità di arrivare al canestro è migliorata di stagione in stagione con la progressiva raffinatezza nelle scelte che compie con la palla in mano e con l’aggiunta di tono muscolare: ora Shai ha più forza fisica per reggere i contatti ed esplosività per aumentare un primo passo non particolamente rapido, ma difficilissimo da leggere e contenere. Ora al suo talento nel trovare l’angolo del corpo con cui scontrarsi col marcatore si aggiunge la capacità di respingere al mittente l’opzione della forza bruta sotto canestro. Andare col fisico a fronteggiare il suo avanzare verso il canestro fa rimanere Shai impassibile dopo lo scontro: è semplicemente in grado di aggiustare la dinamica del tiro senza perdere minimamente efficienza. La stessa massa muscolare gli dà anche maggiore capacità di incidere nel ritmo e nell’ampiezza dello spazio coperto dei suoi passi. Lo stile di gioco è lo stesso di quando ha iniziato nella NBA, ma entrare nel picco della carriera per Shai significa proprio questo. È un giocatore sommamente tecnico, per questo riesce a portare sul campo conclusioni impensabili per il difensore, ma con lo sviluppo appieno del suo corpo ha aggiunto una dimensione atletica in più. Arrivando a poter essere considerato uno di quei pochissimi giocatori che, se prendono una decisione, a volte è impossibile fermarli: bisogna solo sperare che sbaglino loro. Dice il suo compagno di squadra Lu Dort: «Sinceramente mi dispiace per i giocatori avversari che devono difendere Shai. Ha il pacchetto completo. Non sai cosa farà: se andrà a canestro, se darà la palla ai lunghi o se tirerà da tre, quindi puoi solo tirare a indovinare e fare del tuo meglio».

Come cercare di fermare le onde del mare a mani nude.

Basta guardarlo per la prima volta ed è evidente il suo vantaggio fisico rispetto ai pari ruolo, cosa che poi l’ha reso un difensore in grado di avere un impatto fin dal primo anno nella NBA. Sembra strano pensarlo ora, ma a inizio carriera era quasi uno specialista difensivo, una cosa più comune tra le ali poi diventate grandi realizzatori (come Kawhi Leonard o Jimmy Butler) ma meno tra le point guard con punti nelle mani. Non è soltanto l’altezza rispetto al ruolo teorico (196 centimetri), ma le braccia lunghissime (211 di apertura alare), un vero albatros in grado di incidere sia in marcatura singola, che scendendo in picchiata in aiuto. Provando a quantificare il suo impatto in questa stagione: è ottavo per palle rubate tra tutti i giocatori con 1.6 di media e primo per stoppate tra le guardie con 1.1 di media (21esimo tra tutti i giocatori, sta davanti a Giannis Antetokounmpo, Bam Adebayo e Draymond Green tra gli altri). La motivazione principale è evidentemente il suo atletismo sottovalutato, perché anche senza avere un primo passo bruciante, il sensazionale controllo di un corpo dinoccolato fa la differenza. Klay Thompson dice che per un tiratore quello che conta veramente per facilitare un canestro sono le spalle: la giusta predisposizione del corpo a seconda di come e dove si riceve il pallone per lui fa la differenza. Questo è vero per i tiratori anche perché idealmente ricevono il pallone dopo essersi liberati dell’avversario e poi tirano contestualmente alla ricezione. Quando si aggiungono all’equazione i palleggi o la ricezione con l’uomo addosso vicino al pitturato, però, può anche non essere più vero. Specialmente per giocatori che arrivano alla conclusione partendo con l’idea di dover battere l’avversario diretto per arrivare al canestro, quello che conta veramente sono gli angoli e il tempo con cui si muove il corpo nel movimento di tiro. E sia gli angoli che il tempo arrivano unicamente attraverso il lavoro fatto con i piedi. Se per un tiratore come Klay si può parlare di uno stile di gioco “meccanico” nel senso più positivo del termine, ovverosia dettato da movimenti precisi e calcolati, per uno come Shai non si va molto lontani dal poter parlare di una danza in campo con l’avversario come involontario compagno di ballo.

Per Shai tutto deve essere fatto a un ritmo sincopato, in cui nei rallentamenti e nelle accelerazioni dati dal suo lavoro di piedi sta la capacità di fintare e rendere imprevedibile ogni conclusione. Per questo il suo gioco funziona così bene in situazioni di isolamento, in cui i compagni sono partecipi ma a una distanza e con un atteggiamento tale da lasciare Shai a torturare il suo avversario senza che il raddoppio sia così facile da portare. Lì, in una dimensione sospesa in cui viene messo il marcatore, inizia la danza. Per questo il suo miglioramento fisico è quello che maggiormente spiega lo scollinamento dei 30 punti di media a partita. La danza di Shai non sono i palleggi sul posto o spalle a canestro di Harden e Doncic (gli unici giocatori di tutta la lega che segnano quanto o più dei suoi 6.3 punti da isolamento a partita) o l’esplosione improvvisa verso il ferro di Morant e Giannis, ma un insieme di tutte queste cose: sono palleggi e avvitamenti avvicinandosi a canestro che rendono impossibile leggere esattamente cosa farà Shai prima che sia troppo tardi per poter andare a contestargli il pallone. Shai mette l’avversario diretto davanti alla questione di doversela sbrigare da solo, senza però dargli alcun vantaggio di sapere se andrà subito a canestro, con quale altezza o velocità. Il marcatore non può muoversi prima perché spesso significa fargli fallo (è il quarto giocatore che tenta più liberi in NBA), né indirizzarlo perché verrà aggirato. Sta nel momento in cui rallenta il punto più complicato per il marcatore, perché lì Shai ruba il tempo e allo stesso tempo fa credere che con la reattività giusta si possa leggere il tiro e provare l’intervento. Lì arriva la finta, che porta al tiro o al fallo subito e quindi ai liberi. Il marcatore, che già per natura è in una situazione in cui deve essere pessimista e attendersi l’esecuzione migliore possibile da dover contrastare, si ritrova ad avere l’annoso problema di non poter scegliere prima quale azione fare. Deve reagire ai movimenti di Shai e sperare di essere abbastanza fortunato che la sua reazione non solo coincida con la scelta che aveva preso Shai in quel momento, ma che nel mentre un altro avversario non si sia liberato e messo in posizione di poter ricevere con spazio il pallone, così da non dargli la possibilità di correggere in corsa scaricando su di lui.

Una delle sue migliori partite stagionali, con tanto di canestro della vittoria.

La facilità con cui segna diventa ancora più evidente nel momento in cui si arriva all’ultimo tiro ed è lui a prenderselo. Su ESPN in stagione sono arrivati a chiedersi se non sia il giocatore più “clutch” in circolazione e se non si sia già assicurato il nuovo premio al giocatore più “clutch” della stagione (dedicato a Jerry West). Con clutch in USA si intende qualcosa di fatto bene nei momenti decisivi di una partita, che siano gli ultimi cinque minuti di una partita con uno scarto ravvicinato o proprio gli ultimi secondi o direttamente l’ultima conclusione a disposizione per poter pareggiare o vincere la partita. In quella situazione, quando la palla scotta tra le mani, il suo stile di gioco fatto di un ventaglio di soluzioni offensive enorme in uno contro uno si esalta. Shai sembra un predestinato nel contesto in cui più avviene la linea di demarcazione tra i buoni giocatori e quelli che ti fanno vincere le partite.

In questo canestro ad esempio è marcato da Aaron Gordon, uno dei migliori difensori di questa stagione, e si può vedere tutto il lavoro di manipolazione sia prima di riceverla e poi al momento della conclusione. La freddezza con cui finta il tiro e lo manda completamente fuori strada, così da poter tirare al tabellone senza opposizione, è da giocatore che vede il gioco prima che accada. 

Ma è un altro canestro che è già un classico del suo repertorio nel clutch: quello della vittoria contro Portland.

In questo canestro riceve il pallone di spalle, con un marcatore addosso, uno in raddoppio e 3 secondi sul cronometro. L’unico modo per arrivare a canestro è andare verso la linea di fondo e Shai lo fa con una virata che ruba totalmente il tempo al marcatore. La forza delle gambe gli permette di ricavare ulteriore spazio tirando buttandosi verso la linea di fondo. A quel punto la palla esce morbidissima dalle mani e non tocca neanche il ferro.

Shai ha la capacità di fare canestro contro chiunque e nei momenti che contano di più. La parabola sembra segnata e da All-Star solo i risultati di squadra possono impedirgli di entrare nel novero almeno del secondo quintetto All-NBA e da lì, progressivamente, alla candidatura al ruolo di MVP. Intanto ha firmato in estate un rinnovo quinquennale da giocatore franchigia. La prossima stagione OKC farà sul serio visto il possibile debutto della seconda scelta assoluta Chet Holmgren, ma di ogni ricostruzione il pezzo fondamentale è sempre il giocatore franchigia. E questa stagione dimostra che OKC lo ha trovato in Shai: «Penso che saremo una buona squadra molto prima di quanto pensi la gente. Per me è abbastanza facile. Vedo la crescita ogni giorno. E sono super elettrizzato». Shai Gilgeous-Alexander sembra avere tutto per essere considerato tra i 10 migliori giocatori della lega nel prossimo lustro, ma già da adesso è uno dei più peculiari e per questo dei più interessanti da seguire sera dopo sera, o appena ci si risveglia al mattino.

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