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09 mag 2019
09 mag 2019
10 momenti memorabili di due notte memorabili.
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Le statistiche delle semifinali di Champions vi faranno impazzire

Qualche numero che dovrebbe razionalizzare quello che è successo. Dovrebbe, perché in realtà vi farà uscire fuori di testa ancora di più.

- Liverpool-Tottenham sarà la prima finale del 21esimo secolo tra due squadre che non hanno mai vinto il campionato nel 21esimo secolo (a meno che il Liverpool non vinca la Premier League all'ultima giornata domenica).

- Liverpool-Tottenham sarà la terza finale europea tutta inglese della storia. Le altre due sono: Manchester United - Chelsea (Champions League, 2008) e Tottenham-Wolverhampton (Coppa UEFA, 1972).

- Da quando allena il Liverpool, Klopp è a 10 qualificazioni su 10 nei confronti andata/ritorno nelle coppe europee.

- Alisson Becker ha rimontato uno svantaggio di tre gol al Barcellona in Champions League per la seconda volta in meno di un anno.

- Il primo giugno, al netto di infortuni o altre sfortune, Lloris avrà giocato una finale dei Mondiali e una di Champions League nell’arco di poco più di 10 mesi.

- Prima del 4-0 al Barcellona, Georginio Wijnaldum aveva segnato una sola volta in Champions League con la maglia del Liverpool (contro la Roma, nella semifinale di ritorno della scorsa stagione).

- Ajax-Tottenham è stata la prima volta in cui, in una semifinale di Champions/Coppa Campioni, viene rimontato uno 0-3 nei 90 minuti regolamentari (in realtà nel 1986 c'era già riuscito il Barcellona, che però aveva battuto il Goteborg solo ai rigori).

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In quella partita c'era anche un raccattapalle che si chiamava Pep Guardiola.

- Victor Wanyama sarà il secondo giocatore keniota a partecipare a una finale di Champions League e potrebbe essere il primo a scendere in campo. Il primo in assoluto fu nel 2010 MacDonald Mariga, che però rimase in panchina per tutti i 90 minuti. Mariga è il fratellastro di Wanyama.

- Lucas Moura è il primo giocatore brasiliano della storia a segnare una tripletta in semifinale di Champions League.

- Il piede preferito di Lucas Moura è il destro. Lucas Moura ha tirato solo tre volte di sinistro in questa edizione della Champions League. Tutte e tre le volte contro l’Ajax. Tutte e tre le volte ha segnato.

- L’Ajax ha perso la prima partita della sua storia in Champions League dopo essere passata in vantaggio. Non era mai capitato in 55 precedenti.


Alexander Arnold è un genio, ma anche un uomo baciato dalla fortuna

Il giorno dopo Liverpool-Barcellona si è tentato di dare una spiegazione razionale del calcio d’angolo battuto da Alexander-Arnold da cui è scaturito il 4-0, forse perché il nostro cervello non riesce ad accettare che una cosa così improbabile possa accadere a questi livelli.

La stampa inglese, ad esempio, ha elogiato l’attenzione al dettaglio di Klopp raccontandola storia del raccattapalle che ha restituito la palla al terzino destro del Liverpool. Oakley Cannonier è un 14enne dell’academy del Liverpool che, fa notare l’Independent, a volte si allena con i ragazzi più grandi. Nei giorni precedenti alla partita era stato istruito a restituire la palla il più velocemente possibile ai giocatori di Klopp, perché gli analisti del club si erano accorti che il Barcellona si distraeva per protestare durante i calci piazzati.

In Italia, invece, ci siamo concentrati a cercare lo sporco anche tra le pieghe di questo momento, dibattendo sulla regolarità del calcio d’angolo e rivelando, se ce ne fosse stato bisogno, la nostra ammirazione inconscia per chi trae vantaggio eludendo le regole (per chi se lo stesse chiedendo: il calcio d’angolo di Alexander-Arnold è assolutamente regolare).

L’aspetto più evidente del 4-0 del Barcellona è, però, l’incredibile disattenzione dei difensori del Barcellona. Quando ad Alexander-Arnold viene l’idea di tornare sul pallone e calciarlo, in area ci sono ben otto avversari (più Suarez che è ormai a ridosso) e incredibilmente nessuno sta guardando Origi, che è solo al limite dell’area piccola.

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Lenglet, che stava marcando l’attaccante belga, si gira di spalle e va verso il capannello di uomini intorno alla lunetta.

Sergi Roberto, che è sul lato corto di sinistra dell’area, chiama l’uomo verso Shaqiri, vicino la bandierina, ma poi anche lui si dirige trotterellando verso il centro dell’area, ignorando il pericolo più grande.

Piquet, semplicemente, si aggiusta i calzettoni.

Ter Stegen, con l’atteggiamento più tragicomico tra i giocatori del Barcellona, applaude i compagni mentre il disastro sta incombendo alle sue spalle.

In uno degli ultimi frame prima che Origi segni, lo si vede continuare ad applaudire dritto davanti a lui, mentre la palla sta entrando in area.

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È fin troppo facile prendersela con la difesa del Barça - come ha fatto Graeme Souness che molto elegantemente l’ha definita una “squadra di idioti” – e ricordarci quanto sia importante la concentrazione per le fortune di una squadra, quanto il fattore psicologico conti anche e soprattutto a questi livelli, e quanto sia possibile cadere vittima di una sorta di profezia autoavverante, nata dalla paura di poter rivivere l’incredibile rimonta subita l’anno scorso contro la Roma, anche quando fai parte di un club come il Barcellona.

Forse però dovremmo celebrare di più la cosa veramente incredibile: il colpo di genio di Alexander-Arnold, come è stato definito da Klopp e dalla pagina Wikipedia del terzino inglese subito dopo la partita. «Dovevamo fare una partita seria ma avevamo anche bisogno di essere furbi», ha detto l’allenatore tedesco «Il Barcellona avrebbe fermato ogni attacco prevedibile, quindi dovevamo essere imprevedibili».

Subito dopo, però, Klopp ha ammesso che non stava nemmeno guardando quando Arnold ha deciso di calciare il pallone. E la cosa veramente interessante è che neanche gli stessi giocatori del Liverpool stavano guardando. Non lo stava guardando Shaqiri, che è lì a due passi, ma si aggiusta i pantaloncini mentre si avvicina alla bandierina.

E non lo stava guardando nemmeno Origi, che non fa nessun cenno al compagno per chiamare il pallone, nemmeno con gli occhi, e dà uno sguardo di sfuggita poco prima, solo per controllare quello che sta succedendo. Anche lui sembra molto sorpreso, al punto che si prepara al tiro solo all’ultimo momento.

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Come ha fatto notare Daniele Manusia su Twitter, Arnold è stato il giocatore del Liverpool che ha giocato più palloni (81) ma anche quello che ne ha persi di più (30). Il terzino destro del Liverpool segue il suo istinto senza farsi troppi problemi a sbagliare o a non essere capito dai suoi stessi compagni. Quando diciamo che la sua giocata è stata imprevedibile, quindi, dobbiamo intenderlo nel senso più letterale del termine. Perché è mancato pochissimo che il suo cross prendesse di sorpresa anche lo stesso Origi, attraversando tutta l’area e finendo in fallo laterale. E in quel caso, forse, sarebbe stato più difficile chiamarlo colpo di genio.

Nel momento decisivo della partita, però, Origi si è girato in tempo verso la palla ed è riuscito a indirizzare il pallone in porta, qualificando il Liverpool alla finale di Champions League. In questo senso, Arnold, che è diventato uno degli eroi dell’impresa, è tanto fortunato quanto geniale.

Frugando nella biografia di Arnold ho scoperto che la sua carriera è nata quasi per caso. Quando aveva sei anni, la sua scuola fu invitata dal Liverpool a uno stage estivo, ma il numero di posti era limitato. Per la classe di Arnold solo un ragazzo avrebbe potuto partecipare e allora i professori decisero di mettere tutti i nomi di chi voleva andare in un cappello. E da quel cappello è uscito il suo nome.


Due modi diversi di farsi rimontare

Al termine di due rimonte così emozionanti si rischia di dimenticarsi di chi quelle rimonte le ha subite, degli sconfitti. Ma è un rischio che in Italia non corriamo mai, così attenti a trovare il risvolto negativo delle storie. E così ci siamo sforzati di trarre delle lezioni universali di morale dalle sconfitte di Ajax e Barcellona, anche magari per prenderci la rivincita dialettica su chi la settimana prima le aveva esaltate, o magari semplicemente perché in ognuno di noi ribolle un piccolo Savonarola assetato di giustizia morale.

In realtà i due modi con cui Barcellona e Ajax si sono fatte rimontare ci confermano che non esiste un modo universale di vincere, o di perdere, nel calcio. Non esiste a livello strategico, non esiste a livello profondo e filosofico.

Il Barcellona ha perso perché ha rinunciato alla propria identità profonda, quella di squadra che domina le partite attraverso il pallone. Non ci ha rinunciato solo nella partita di Anfield ma ormai da qualche stagione, e cioè da quando Luis Enrique ha smantellato la struttura di calcio posizionale di Guardiola. Valverde ha preferito schierare Vidal al posto di Arthur, e il problema non è stato tanto nella prestazione visto che il cileno ha giocato alla grande sia all’andata che al ritorno, quanto nel tipo di partita che il Barcellona voleva affrontare.

Il pallone era l’unico mezzo che i blaugrana avevano per raffreddare la trance agonistica del Liverpool, e hanno invece preferito cercare di gareggiare sull’intensità e la verticalità, e alla fine hanno perso. Sia chiaro, hanno perso con lo stesso approccio con cui nella partita d’andata avevano vinto - magari in maniera bugiarda, magari fortunata, ma avevano vinto. Lasciando sfogare il Liverpool e attaccandolo negli spazi.

A voler essere estremamente fatalisti si può anche dire che il Barcellona ha perso perché Messi, sullo 0-1, ha sbagliato un controllo al limite dell’area che non avrebbe sbagliato nessuna versione di Messi possibile. Neanche il Messi che ci sarà tra 15 anni e che non giocherà più a calcio. Ma in ogni sconfitta, in fondo, è possibile trovare il piccolo dettaglio che non l’avrebbe resa tale.

Se il Barcellona ha perso perché ha rinunciato alla propria identità, l’Ajax ha perso perché l’ha abbracciata fino in fondo. Ten Hag prima della partita lo aveva messo in chiaro: «Non dobbiamo pensare al risultato dell’andata ma giocare come sappiamo». Poi lo ha messo ancora più in chiaro quando ha deciso di sostituire l’infortunato Neres con Dolberg.

L’Ajax ha seguito questa idea senza compromessi: ha attaccato senza preoccuparsi delle conseguenze, con la creatività da orchestra free jazz che abbiamo imparato ad amare, con l’entusiasmo dei ventenni. E stava anche pagando, perché trovarsi dopo quasi un’ora avanti di due gol in casa dopo aver vinto il ritorno in trasferta 1-0, beh, è il migliore dei mondi possibili.

L’Ajax ha continuato a farlo tutta la partita, sfiorando più volte il terzo gol, ma a un certo punto gli episodi hanno cominciato a girare a suo sfavore. Anche la mossa di Pochettino di inserire Llorente trasformando la partita in un duello fisico e aereo ha contribuito ad aumentare il caos della partita. L’Ajax quindi ha perso perché non è riuscito a controllare la partita, e ha scelto di continuare ad applicare fino in fondo le idee che l’avevano portata fin là, non adattandosi alla nuova equazione che il Tottenham gli aveva messo davanti.

È inutile sostenere idee assurde, tipo che se ci fossero ancora delle difese “all’italiana” una rimonta del genere - tre gol in un tempo - non sarebbe stata possibile. Se l’Ajax ha perso non accettando compromessi sulla propria identità, il Barcellona ha perso compromettendola troppo. Non esiste una lezione, una morale, neanche quella secondo cui basterebbe difendere meglio, visto che le squadre con le fasi difensive più celebrate in Europa (Juventus, Atletico) sono state eliminate ancora prima di arrivare in semifinale.

Questa Champions ci ha mostrato due modi diversi di farsi rimontare in modo clamoroso e perdere, ricordandoci ancora che la bellezza del calcio che guardiamo al giorno d’oggi sta nella sua diversità, e le strade per il successo e il fallimento spesso finiscono per confondersi tra loro.


Tutti i momenti in cui l’Ajax avrebbe potuto chiudere la partita

Si può sostenere che se l’Ajax si fosse barricata nella propria area di rigore a difendere il vantaggio, non avrebbe subito la rimonta? Ma allora, allo stesso modo, perché non chiederci come avrebbe fatto a costruire un vantaggio così importante da dilapidare se si fosse chiusa fin dall’inizio dentro la propria area per difendere il vantaggio dell’andata?

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La squadra di ten Hag, anche quando il Tottenham ha cambiato modo di giocare, ha continuato ad applicare il suo piano, forse perché è l’unico che conosce e ci si può fidare solo di ciò che si conosce. Un piano che sulla carta ha funzionato: sono diversi i momenti in cui l’Ajax avrebbe potuto sigillare l’accesso alla finale facendo il terzo gol, assicurandosi il viaggio a Madrid.

Momenti in cui, se il Dio del calcio fosse stato più clemente o i giocatori più lucidi, si sarebbe definitivamente chiusa la disfida. Momenti che se fossero andati in maniera solo millimetricamente differente oggi ci farebbero esaltare ancora di più la scelta di continuare ad attaccare, nonostante tutto.

Se Schone si fosse fatto gli affari suoi (o Onana, dipende dalla vostra visione della vita) - 58:00

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Quante volte nella vostra vita avete visto un portiere fare una parata (magari non così eccezionale come quella di Onana su Llorente) per poi avventarsi nel recupero del pallone rimasto nella sua disponibilità?

E quante volte un difensore fa lo stesso riuscendo però a fermarsi un attimo prima, fungendo solo da scudo per il portiere; o, al contrario, è il portiere a fermarsi e il difensore ad intervenire spazzando?

A Onana e Schone il giochino non è riuscito. Cercare il colpevole in questa situazione è ridicolo, un collegamento telepatico che non ha funzionato. Tutti e due provano a rendersi utili (e forse se c’è un colpevole è la voglia, la fretta, la necessità) finendo per accavallarsi e far ritornare il pallone tra i piedi di Lucas, che dopo un dribbling riesce a trovare l’unico angolo di porta aperto con il piede debole.

Se invece di Blind avessero comprato Nainggolan - 61:56

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Vabbè, questa era improbabile.

Se Ziyech non avesse osservato il Ramadan (parte 1) - 62:36

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Il continuo movimento di Ziyech è stato una spina nel fianco per il Tottenham, come lo era stato per il Real Madrid e la Juventus. Ziyech ha questa abilità di comparire al posto giusto nel momento giusto, staccarsi dalla marcatura, eludere le coperture. Il gol del 2-0, quello che pensavamo avrebbe chiuso la contesa, arriva grazie ad un suo movimento elaborato che lo porta ad anticipare la difesa del Tottenham e scaricare una bomba di sinistro.

Una situazione che si ripete simile anche pochi minuti dopo il 2-2: Ziyech parte da destra per tagliare tutta l’area di rigore ed offrire a Tadic una linea di passaggio dall’esterno. Il cross gli arriva perfettamente sulla corsa e il giocatore dell’Ajax deve calciare praticamente “un rigore in movimento”, che però esce di pochi centimetri alla sinistra di un Lloris immobile.

Se Tagliafico fosse stato più reattivo - 70:34

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De Ligt tira fortissimo quasi dalla linea di fondo, Lloris respinge verso il centro, Tagliafico letteralmente a due metri dalla porta si fa passare il pallone tra le gambe.

Se Ziyech non avesse osservato il Ramadan (parte 2) - 78:35

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Situazione simile alla prima, ma non in movimento. Ziyech riceve al limite dell’area, finta il tiro, se lo sposta leggermente in avanti e calcia un rasoterra incrociato. La traiettoria risulta imperfetta di pochi centimetri andando a griffare il palo della porta di Lloris.

Se Tadic fosse stato più lucido - 90:19

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3 contro 4, la difesa del Tottenham collassa, Ziyech è libero sul secondo palo, ma Tadic preferisce servire il taglio di De Jong.


E se fosse questo il momento in cui l’Ajax l’ha persa?

Come detto, qualcuno si è sentito di poter accusare l’Ajax di ingenuità, di essere stato poco smaliziato. Se solo l’Ajax avesse avuto nel suo DNA l’arte della perdita di tempo, della bandierina, dei crampi al momento giusto…

C’è un momento che, in questo senso, può rivelarsi addirittura decisivo: è appena iniziato il recupero, De Jong strappa un pallone dai piedi di Lamela e lancia il contropiede, Tadic invece di tenere il pallone sulla trequarti o servire Ziyech più laterale, prova a chiudere il triangolo con De Jong che si sta inserendo centralmente. Il pallone è un po’ lungo ed il centrocampista dell’Ajax deve arrivarci in spaccata, riuscendo però a guadagnare calcio d’angolo.

A questo punto sono passati circa 30 secondi dal 90esimo e ne mancano ancora 270 prima del fischio finale. Le telecamere inquadrano Tadic che fa segno di rallentare, aspettare. Proprio lui che pochi secondi prima aveva preferito rischiare anche quando poteva scegliere una giocata più conservativa.

https://gph.is/g/Zrb1LPZ

Ziyech va a battere il calcio d’angolo, Tadic gli va incontro e si fa dare il pallone. L’idea era di tenerlo “sulla bandierina” per perdere più tempo possibile, ignorando anche il compagno vicino. La gestione del serbo è però sciatta e il pallone gli scivola da sotto la suola, finendo fuori. L’Ajax perde appena un paio di secondi invece di provare a mettere il pallone in mezzo, nonostante tra quarti e semifinali avesse segnato 2 gol da calcio d’angolo.

Tadic è un giocatore tecnico e nessuno mette in dubbio la sua capacità di tenere il pallone vicino ad una bandierina mentre viene pressato. Tuttavia il suo fallimento sembra strettamente collegato all’incapacità dell’Ajax di snaturarsi anche solo per un momento. La distanza tra questo episodio e il gol di Lucas non rende possibile considerare l’uno causa diretta dell’altro, eppure questo calcio d’angolo è il primo momento in cui l’Ajax ci appare come una squadra impaurita che non ha idea di come gestire il finale di partita.

Un minuto dopo, Tadic avrà di nuovo l’opportunità di scegliere: dopo una parata di Lloris su un tiro di Ziyech, il pallone gli arriva tra i piedi sul lato destro dell’area di rigore, non ha compagni liberi o una linea di tiro pulito, ma ha dalla sua il cronometro. In questa circostanza però sceglie di fregarsene e rientrare sul sinistro per provare un difficile tiro a giro. Il pallone esce di parecchio e da quel momento l’Ajax toccherà poco o nulla il pallone, se non in azioni difensive, ribattute, spazzate, o con controlli sbagliati o giocate.


Lucas Moura, eroe per caso ma non del tutto

Foto di ADRIAN DENNIS/AFP/Getty Images

Lucas Moura ha ancora 27 anni. Lucas Moura ha già 27 anni.

Sono passati in un lampo almeno gli ultimi 6, da quando cioè si è trasferito in Europa. Ma al tempo stesso sembra ieri che un altro Lucas, con la faccia levigata come un sasso appena raccolto dal bagnasciuga e un tappetino uniforme di capelli sulla fronte, dominava in lungo e largo la finale del sudamericano under 20 tra Brasile e Uruguay, finita 6-0, con quel Lucas che ha segnato 3 gol e realizzato un assist.

Sono stati anni difficili, in cui Lucas, oltre ad aver perso i capelli e ad essersi stropicciato la faccia come una foto portata troppo a lungo in tasca, ha soprattutto perso l’innocenza. E noi, guardandolo, abbiamo perso quel senso di attesa che accompagna i grandi calciatori, la sensazione che sta per succedere qualcosa di eccezionale, di fuori dal comune.

Per capirci: questa qui sotto è la sua finale del Sudamericano U20 del 2011 (Neymar indossava la 7, Oscar la 11, Lucas la 10).

Quel Lucas aveva una velocità pura fuori scala, per cui girava semplicemente intorno ai difensori, allungandosi la palla come nei primi PES. Ma aveva anche un’agilità che negli spazi stretti gli faceva toccare la palla giusto un attimo prima che ci arrivassero i suoi avversari. Era anche un giocatore del tutto istintivo, che improvvisava ogni movimento, e magari si allungava la palla oltre il fallo laterale. Se però doveva andare dritto con spazio davanti diventava imprendibile, anche su un campo accidentato come quello dello Estadio Monumental Virgen de Chapi di Arequipa, in Perù.

Il suo secondo gol rappresenta il meglio di quello che offriva Lucas a 19 anni: prende palla a metà campo e sprinta a testa bassa fino all’area di rigore, passando in mezzo a due centrocampisti e aggirando un difensore, poi dalla destra fa partire un diagonale pazzesco sul secondo palo.

Prova a segnare il terzo gol in modo ancora più assurdo, al 76’: parte dal fallo laterale destro, accelera verso il centro e salta così un primo avversario, poi va troppo veloce per un secondo avversario che prova ad affiancarlo e salta secco un terzo uruguagliano che gli si piazza davanti, poi fa passare la palla alla destra di un quarto avversario mentre lui gli gira intorno a sinistra. Alla fine non riesce a saltare anche il portiere, peccato. Pochi minuti dopo segna la sua tripletta, con una bomba di destro a incrociare.

Quel dominio, quel controllo con la palla sui suoi avversari, Lucas non lo avrebbe più avuto, se non per rarissimi momenti, tipo il quasi-gol di 5 anni fa contro l’Olympique Marsiglia. Anzi, diciamo le cose come stanno: quando è finito al Tottenham, Lucas sembrava già sulla via del tramonto. Lo scorso anno, arrivato a gennaio, Pochettino gli ha fatto fare solo 6 presenze, ma quest’anno ha più di 2000 minuti in campionato, e anche con Kane e Son davanti ha giocato da titolare 24 partite: nonostante ciò, e nonostante la tripletta della Johann Cruijff Arena, in pochi oggi scommetterebbero su un ritorno di Lucas - che ha 1 sola presenza in Nazionale dal 2016 - ai massimi livelli.

https://twitter.com/ChampionsLeague/status/1126242623600103427

Almeno per una sera, però, Lucas è tornato il giocatore che era. Più veloce, più agile, più reattivo, forse anche più sensibile sulla palla di chi lo circonda. Nel primo gol, dopo aver controllato un lancio di Rose, approfitta del tentativo di dribbling di Dele Alli arrivando sulla palla come se fosse appena uscito dall’elastico di una fionda gigante, recuperando con tre passi tutto il vantaggio che su di lui aveva Schone. Nel secondo sembra l’unico essere umano in un museo delle cere, il calcio inglese sembra aver aggiunto alla sua capacità di improvvisare una frenesia nuova, un nervosismo da disperato, dribbla come se si stesse salvando la vita e calcia senza vedere la porta, con mezzo Ajax davanti, in apnea da quando ha recuperato palla.

Lucas è l’eroe per caso della semifinale del Tottenham, ma non è del tutto casuale che abbia fatto quello che ha fatto. Non è più un numero 10 in grado di mangiarsi mezzo campo palla al piede gettando nel panico centrocampisti e difensori avversari (quello, oggi, lo fa molto meglio di lui Mbappé), ma è perfettamente a suo agio nel caos che il Tottenham di Pochettino è capace di creare.

Chi lo avrebbe detto che il meglio del calcio europeo sarebbe stato rappresentato dal talento imprevedible, caotico, impreciso, decadente e irrazionale di Lucas Moura? Chi lo avrebbe detto che Lucas Moura, come i pantaloni a zampa di elefante, sarebbe rimasto in giro abbastanza a lungo da tornare di moda?


Tutti i dettagli del terzo gol di Lucas

Dopo un colpo di testa di Llorente finito alto su un calcio d’angolo battuto da Eriksen allo scadere del quarto minuto minuto di recupero, che aveva spinto anche Lloris ad abbandonare la porta per andare in area, la Johan Cruijff Arena esulta come a un gol.

A quel punto, infatti, la finale sembra davvero a un passo. Alla fine della partita manca appena un minuto e Onana può far passare molti secondi battendo con tutta calma la rimessa dal fondo.

In effetti Onana impiega quaranta secondi prima di calciare più lungo che può e quando finalmente Son controlla la palla nel cerchio di centrocampo, dando al Tottenham un’ultima occasione per arrivare nella trequarti dell’Ajax, mancano solo nove secondi alla fine del quinto minuto di recupero.

Son però viene pressato alle spalle e non può girarsi, e quindi appoggia all’indietro a Sissoko, che fa l’unica cosa possibile in quel momento: lancia la palla in avanti, ma controllando il movimento della gamba per dare al pallone una traiettoria alta e lenta, in modo da non colpire Tadic davanti a lui.

Il lancio, anche se è un po’ corto e cade a una ventina di metri dalla porta, è comunque preciso e arriva nella zona di Llorente, il cui ingresso per fare da riferimento sui palloni alzati da dietro era stato fondamentale per cambiare la partita dopo l’intervallo. Alle spalle di Llorente c’è però de Ligt, che prende posizione spostandosi alla sinistra dello spagnolo e lo anticipa alzando la gamba.

L’intervento di de Ligt non interrompe l’azione del Tottenham, anzi il suo tocco avvicina la palla al limite dell’area e si trasforma in un passaggio per Dele Alli. Prima che Alli tocchi la palla, però, Magallán scivola e concede al numero 20 degli “Spurs” quel secondo di vantaggio che gli permette di arrivare per primo sul pallone.

A quel punto Alli fa una giocata eccezionale. In mezzo a Magallán e Blind, colpisce la palla con l’esterno destro in controbalzo e la fa passare mettendola nello spazio tra de Ligt e Tagliafico sulla corsa di Lucas. Il brasiliano arriva prima di de Ligt, che forse sporca la conclusione toccando la palla, e tira di prima a incrociare col sinistro. Il pallone passa di fianco a Tagliafico e si infila alla sinistra di Onana, che non ci può arrivare.

La combinazione di talento e coincidenze che hanno trasformato in gol un lancio senza pretese di Sissoko a sei secondi dalla fine - l’anticipo di de Ligt che diventa un passaggio per Alli; la scivolata di Magallán; l’assist difficilissimo di Alli; lo scatto di Lucas per arrivare sulla palla un attimo prima di de Ligt; il suo tiro a incrociare col piede debole, il sinistro - racchiude l’andamento incredibile delle due eliminatorie contro il Manchester City e l’Ajax che hanno portato il Tottenham alla sua prima finale di Champions League.

Nella gestione dei secondi successivi alla rimessa dal fondo di Onana c’è poi la descrizione perfetta dei principi di gioco della squadra di ten Hag, che ha continuato a difendersi in avanti, pressando e rompendo le linee per cercare il recupero della palla invece di proteggere la porta accumulando giocatori vicino all’area, in grado di darsi copertura reciproca sull’ultimo tentativo degli “Spurs”. Invece, sul lancio di Sissoko la linea difensiva a quattro accetta la parità numerica con i giocatori del Tottenham e perde tutti i duelli successivi, se si esclude l’intervento in anticipo di de Ligt su Llorente, che comunque fa finire la palla sui piedi di Alli. Non aver tradito fino all’ultimo secondo la propria identità è costato all’Ajax una finale di Champions League.


La lunga strada di Wijnaldum

Foto di Shaun Botterill/Getty Images

Georgino Wijnaldum ha detto due cose dopo la partita. La prima è che era “un po’ arrabbiato, e deluso” del fatto che Klopp lo avesse messo in panchina. La seconda che Klopp era pieno di fiducia e che quando lo ha fatto entrare gli ha detto che lui era la loro “arma segreta”.

Magari Klopp già sapeva tutto, o voleva solo motivare Georgino Wijnaldum che aveva visto incazzato in panchina, ma lasciateci sottolineare la stranezza della cosa: l’arma segreta del Liverpool, per rimontare altri 3 gol al Barcellona (il punteggio era già sull’1-0), era un giocatore che forse meno della metà del pubblico italiano poteva dire conoscere anche solo minimamente, recuperato poco meno di tre anni fa dal Newcastle appena retrocesso (come ha fatto il Tottenham con Sissoko, tra l’altro).

Certo deve essere triste il mondo di chi critica Lionel Messi e ha dovuto guardarsi due semifinali decise da calciatori oscuri, minori, come Origi, Lucas e, appunto, Georgino Wijnaldum. Chi lo conosceva già, però, non ha potuto non provare piacere nel vederlo svettare sopra Piqué.

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Lo scorso anno, in emergenza, Klopp aveva fatto giocare Wijnaldum persino in difesa. Nel corso della sua lunga carriera (ha esordito in prima squadra a 16 anni) “Gini” Wijnaldum ha giocato quasi in tutti i ruoli e ai tempi del Feyenoord ha dovuto insistere, mettendo in mezzo l’agente, per far capire che non si sentiva un trequartista esterno ma un centrocampista. Il fatto che qualcuno lo avesse scambiato per un dribblomane è emblematico, se non altro, della tecnica di base di Wijnaldum, che usa anche quando gioca davanti alla difesa.

Contro il Barcellona, però, è entrato per fare la mezzala dinamica, pulendo ogni pallone che gli passava tra i piedi, con una tecnica e una difesa del pallone che hanno in pochi, ma anche buttandosi negli spazi vuoti creati da Origi e pressando a morte Sergio Busquets e Arthur. E lo ha fatto alla grande, in una serata di quelle in cui tutto sembra già scritto.

Wijnaldum è uno di quei calciatori di cui si parla sempre e comunque troppo poco. Anche dedicargli questo contributo due giorni dopo la partita: troppo poco. Al tempo stesso è difficile parlare di Wijnaldum in modo esaustivo, e per conoscerlo non basta certo una partita perché ha modellato nel tempo il proprio talento intorno alle esigenze che aveva davanti, cambiando poco a poco ma continuamente.

Per ora basti dire che la calma e il controllo con cui gestisce i momenti di maggiore caos sono fondamentali per sopravvivere nel calcio inglese di alto livello. E che l’intelligenza con cui si è adattato ai vari ruoli è la qualità che gli ha permesso di arrivare in anticipo sulla palla del primo gol, e di prendere la posizione perfetta per staccare libero sul secondo, bellissimo (tra l’altro, prima di questi due gol, segnati nell’arco di due minuti, ne aveva segnato solo un altro in Champions League, contro la Roma).

È strano ma è anche bello che una partita così importante sia stata decisa da un cambio tattico cervellotico (Wijnaldum è entrato per prendere il posto di Milner, a sua volta scalato a terzino al posto di Robertson infortunato). Ma non c’è niente di strano che sia stata decisa da un giocatore come Georgino Wijnaldum.


Un’altra brutta serata per Kasper Dolberg

Sebbene non fosse una buona notizia per l’Ajax, la sostituzione di Neres per Dolberg nell’undici titolare a pochi minuti dall’inizio della partita era anche piuttosto eccitante. Uno dei talenti più entusiasmanti degli ultimi anni - forse il giovane centravanti dalle prospettive più promettenti - finalmente aveva un palcoscenico in cui dimostrare il suo valore, dopo due anni davvero grigi.

Dolberg due stagioni fa era un sogno. Un ragazzo di vent’anni con un corpo costruito per fare il centravanti e la tecnica per fare più o meno qualunque cosa volesse. 16 gol in 26 partite e la sensazione che potessero essere solo un primo assaggio di un talento dai confini ancora da decifrare. Da due anni Dolberg si è spento come quelle persone che a un certo punto sembrano troppo delicate per riuscire nel calcio ad alti livelli. Quest’anno ten Hag, dopo averlo fatto partire titolare, lo ha sacrificato sull’altare di un’idea più grande di lui. Quella della fluidità, dello spazio, di Tadic che può muoversi dove la sua sensibilità tecnica gli suggerisce.

Ieri l’Ajax è tornato a una punta più tradizionale per fare spazio a Dolberg, che da parte sua ha giocato così male che si può dire che la sua colpa più grande è non aver lasciato che Tadic giocasse al suo posto. Il talento serbo, relegato sulla fascia sinistra, si è sbattuto molto ma è diventato più prevedibile; mentre Dolberg, al suo posto, ha sbagliato tutto.

Il danese ha effettuato il 67% di passaggi riusciti - la percentuale più bassa fra i giocatori dell’Ajax, e comunque troppo bassa in assoluto - e perso un numero non ricostruibile di palloni. Nonostante lo abbiamo conosciuto come un attaccante dai piedi e dalle letture raffinate, Dolberg ieri non sembrava in grado di parlare la stessa lingua calcistica dei suoi compagni. Questa sconfitta, per sua sfortuna, rimarrà legata alla sua immagine più delle vittorie che l’Ajax ha conquistato durante il suo percorso.


5 foto incredibili di Mauricio Pochettino

A fine partita Pochettino percorre 5 metri dentro al campo con una faccia talmente sconvolta che sembra quasi dispiaciuto. Poi si toglie dall’abbraccio dei suoi giocatori per andare a stringere la mano al quarto uomo. Uno di quei momenti in cui concederti un attimo di calma forse aumenta il piacere per quando potrai lasciarti andare. Quindi va a fare i complimenti a ten Hag e allo staff dell’Ajax. Poi entra in campo e fa il pazzo. Ecco 5 foto incredibili di Mauricio Pochettino sul campo della Johann Cruyff Arena alla fine della partita. Guardate quante facce ha la felicità.

Così sconvolto che sembra gli sia capitata una cosa brutta

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Indicando sé stesso con gli occhi da pazzo dell’Enrico IV di Pirandello

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Aizzando la folla soprattutto con una dentatura perfetta

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Facendo la Haka

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Distrutto

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I gol e le rimonte hanno ucciso il calcio, ed è colpa del capitalismo.

“Quanto è bello il calcio!”, una frase che negli ultimi giorni abbiamo sentito ripetere talmente tante volte che si è svuotata di significato. L’eccezionalità può essere considerata ancora eccezionale una volta che diventa la normalità? Se prendiamo gli ultimi tre anni, ad esempio, è più difficile trovare una partita dall’andamento regolare e con pochi gol, di una rimonta pazza fra due squadre che continuano a farsi gol a vicenda. Sarà un caso? O forse c’è dietro la volontà di qualcuno?

In teoria il calcio è uno sport a basso punteggio, gli eventi significativi sono rari, agognati, rappresentano dei brevi intervalli di luce intensa dentro una sostanziale oscurità. Fare gol dovrebbe essere molto difficile! Quando gridiamo: “Quanto è bello il calcio!” al termine di partite finite 4-0, 2-3, 4-3 ci stiamo entusiasmando per uno spettacolo diverso, bello finché raro, ma ormai è diventata un’esperienza così frequente da essersi ormai inflazionata.

La frequenza con cui arrivano le rimonte e i gol ci sta mandando di traverso i gol e le rimonte, cioè due fra le ragioni principali per cui guardavamo il calcio. Molto appropriato, del resto, nell’epoca di Netflix e Spotify, della disponibilità illimitata, del capitalismo che serializza e mercifica l’arte come lo sport. Chi ci dice che non c’era una sceneggiatura ben precisa, dietro le rimonte di Liverpool e Tottenham?

Le semifinali che abbiamo guardato sono sembrate così precise nella loro drammaturgia da sembrare artefatte, come quelle serie di Netflix costruite per non far mai scemare la nostra attenzione. Non c’era niente di quella tensione, di quel dramma autentico delle vere rimonte. In questo senso Ajax-Tottenham sta ad Italia-Germania 4-3 come la carbonara sta alla carbonara con la panna. Hanno distrutto anche il nostro bellissimo gioco.

No, non è vero, ma ormai siamo abituati a sentire talmente tante opinioni tossiche che non sarebbe poi così incredibile leggere una cosa del genere. Cerchiamo di goderci questo momento storico di calcio, non diamolo per scontato.


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