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Calcio Tommaso Giagni 11 gennaio 2017 7'

Nobiltà obbligata

Daniele Rugani è educato, elegante, modesto. Per crescere ancora, forse, dovrà cambiare qualcosa.

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“Qualcuno è nato fenomeno. Io no. Devo lavorare se voglio un futuro importante”. Daniele Rugani dovrà pure impegnarsi più di chi nasce coi piedi fatati, ma ha già tutta la consapevolezza che occorre.

 

Peraltro questa rappresentazione di sé contrasta con l’etichetta del predestinato che gli appiccicano da anni. Sono molte, in verità, le etichette che deve togliersi di dosso.

 

Ora sta vivendo un momento importante. Alla Juventus viene finalmente impiegato e ha la fiducia dell’ambiente, tanto da essersi appena guadagnato il rinnovo fino al 2021. France Football l’ha inserito nella squadra-rivelazione dell’anno, unico giocatore del campionato italiano insieme a Donnarumma.

 

 

Nobiltà obbligata

 

Se c’è da trovare un punto di svolta per Rugani, non si fatica a individuarlo nella stagione 2014-15, la sua prima in serie A, nell’Empoli di Sarri. Di quel campionato lui gioca ogni singolo minuto, senza neanche una sostituzione. A vent’anni. Per il club che l’ha cresciuto non è più possibile trattenerlo.

 

Nell’estate 2015 si ritrova con la zebra sul petto, nella società che ha vinto gli ultimi tre scudetti, lui che fin da bambino tifa per la Juve e ne ha festeggiato in strada le vittorie. E quando gli viene chiesto se quel salto lo spaventa, lui risponde: «Spaventare non è il verbo giusto. Sono curioso e voglioso di vedere se sono all’altezza».

 

Come sta andando quest’anno.

 

Anche l’immagine del giovane principe è abusata, ma l’anagrafe e l’eleganza sono innegabili. Testa alta quando ha il pallone, sempre pulito nel gioco. Una raffinatezza che viene da fuori dal campo. Una raffinatezza rara, per un calciatore. Rugani è uno che legge La verità sul caso Harry Quebert di Joël Dicker e lo definisce “un giallo deduttivo”.

 

Un giovane principe che non ha bisogno di attirare l’attenzione. All’ultima cena natalizia della Juventus si è presentato con un abbigliamento talmente sobrio, per il contesto, che un commentatore su Instagram l’ha ammonito: «Non sei più a Empoli».

 

Un giovane principe del nuovo millennio. Che tenta di slegarsi da un’immagine di candore assoluto.

 

Quando un giornalista lo provoca: «Ma lei dice mai le parolacce?», risponde: «Ma sì, non esageriamo con la storia del bravo ragazzo». È una storia che evidentemente gli pesa.

 

Nel 2015 riempie mezza intervista a SportWeek con l’elenco dei casini che ha combinato da ragazzino. Rubare con gli amici le biciclette parcheggiate, saccheggiare il borsellino della mamma per giocare a flipper, ordinare dieci pizze e lasciare un indirizzo sbagliato, picchiare un compagno delle elementari che faceva la spia. «Ancora adesso lancio i gavettoni dalla macchina».

 

rugani-empoli

 

 

Scene di vita di provincia

 

Lucca. Anzi, Sesto di Moriano, un migliaio di abitanti. È dove Daniele Rugani nasce il 29 luglio 1994. In paese siamo tutti juventini, diceva lui, prima di firmare col club bianconero. Che in quell’estate ’94 era appena arrivato secondo in campionato, e aveva contemporaneamente Baggio, Vialli, Ravanelli e Del Piero. E Antonio Conte, un mito di suo padre, juventino anche lui.

 

Sesto Moriano dista una cinquantina di chilometri da Empoli. E l’Empoli è stato, prima della Juventus, quasi tutta la sua vita da calciatore. Rugani ci arriva in quinta elementare. Avrà sempre parole di gratitudine per com’è stato seguito, per l’ambiente protetto che lo ha aiutato a mantenersi sobrio. Agli allenamenti, ancora nell’anno della serie A, ci andava in bicicletta.

 

Ha iniziato centrocampista, prima che il mister delle giovanili empolesi, Stefano Cappelletti, lo arretrasse. Da lì, un crescendo: capitano nei Giovanissimi e negli Allievi, brilla nel campionato Primavera 2011/12. Tanto che arriva la Juventus, e pare che a notarlo sia proprio Antonio Conte. Lo stesso tecnico che lo aggregherà in più occasioni alla prima squadra, quell’anno, e che non lo porterà agli Europei 2016.

 

La Primavera con mister Baroni, la sua prima esperienza in una difesa a tre, la vittoria della Coppa Italia di categoria. Un anno di prova, che comincia con la formula del prestito e si conclude con l’accordo tra Juve ed Empoli per una comproprietà. Nella stagione che segue, Rugani torna in Toscana, stavolta in prima squadra: tutt’altro che destabilizzato, all’esordio tra i professionisti è un leader. L’Empoli viene promosso in serie A.

 

rugani-bambino

Con la maglia dell’Atletico Lucca, prima di andare all’Empoli.

 

 

La razionalità prima di tutto

 

Rugani si mette in posizione e segue il corso del fiume. Non anticipa il tempo, né lo lascia passare invano.

 

Nel percorso da calciatore ha saputo aspettare, senza fare un fiato nei primi mesi in bianconero, quando era chiuso e giocava a singhiozzo, nonostante quell’etichetta da predestinato.

 

Rugani legge il gioco e lo asseconda: anche quando arriva in anticipo, e succede spesso, si direbbe che tocchi il pallone al posto dell’avversario. In campo non arrischia scivolate, non rompe il ritmo del flusso: impone la sua presenza e recupera il pallone continuando a rispettare i movimenti dello spartito.

 

Sono significativi i mesi all’Empoli in A, dove non ha mai ricevuto un’ammonizione. Prima aveva rimediato solo tre gialli, fra i professionisti (“Ma ne meritavo uno solo” puntualizzerà a distanza di tempo). Se oltre al percorso in Toscana si considera il primo segmento in bianconero, Rugani tocca le 53 gare consecutive senza essere sanzionato.

 

Tutto questo non significa che sia tenero o distratto nella marcatura, al contrario. «Cerco sempre interventi ragionati”» spiega. Un paio d’anni fa, qui si osservava un esempio perfetto in questo senso: l’intero Empoli-Atalanta in cui Rugani vince tutti i duelli aerei contro Denis.

 

La pazienza sembra un’eredità, a considerare la storia di suo padre: ciclista, due volte campione d’Italia dilettanti, poi rappresentante di materiali da pesca. La bicicletta e la pesca, quasi una rappresentazione didascalica del saper attendere.

 

Nel Juventus-Roma di poche settimane fa, una partita d’importanza cruciale, Rugani è tra i migliori in campo. Qui, in particolare, il dominio da arte marziale con cui rende impossibile a Fazio spingere in rete il pallone, pur così vicino. Dopo la vittoria dirà che la Juve ha dimostrato di essere superiore “a livello mentale”.

 

«Sono razionale. Uso il cervello più dell’istinto» dice. Un’altra volta parla dell’attenzione di Barzagli, l’agonismo di Chiellini, la personalità di Bonucci, e di sé dice: «Tendo a essere riflessivo».

 

La sua fidanzata, Michela Persico, vuole diventare giornalista e sogna di intervistare Daniele: “Mi incuriosisce vedere se anche di fronte a me sarebbe così impostato e rigido come in tutte le interviste”.

 

Negli ultimi mesi qualcosa è cambiato. 5 ammonizioni da aprile a oggi, le prime due addirittura in gare consecutive, come una liberazione.

 

La teoria dello stesso Rugani è che questo inasprimento del suo gioco sia un passo avanti. Dice di averci lavorato e lascia intendere che c’entra con l’esperienza e col coraggio: “Dovevo essere più determinato, rischiando l’intervento, perché dovevo metterlo nel mio bagaglio”.

 

Secondo Maurizio Sarri, il tecnico che ha accelerato la sua maturazione, a Empoli dimostrava dieci anni in più, a livello di testa. E anche Pirlo si è esposto, lo ha definito serio, escludendolo dal suo ragionamento sulla penuria di giovani davvero professionisti. E lui, oltre a ritenerli i «complimenti più belli», conferma: «Da calciatore sento di avere molti anni in più».

 

Se il campo racconta di attitudini e psicologie, bisogna notare come una sua caratteristica sia la lucidità nelle scelte da compiere e in generale una visione complessiva che sembrerebbe prerogativa dei più esperti.

 

La testa, ma anche il corpo. Rugani è descritto da tutti come un perfezionista, su questo piano, se non un maniaco. A Empoli si fermava a lavorare da solo in sedute aggiuntive, per concentrarsi sul mancino che è il suo piede debole. A diciassette anni rinunciava alla Coca-Cola, senza fare sgarri negli anni seguenti. «Un’adolescenza passata a giocare a calcio» la definisce.

 

I suoi amici dicono che a volte è noioso. Raccontano che da ragazzino saltava le feste di compleanno per non far tardi e potersi allenare. I suoi compagni alla Juve l’hanno costretto, durante la festa scudetto del 2015, a ballare musiche sudamericane davanti a tutti.

 

Con l’Empoli e l’Under 21.

 

Antonio Conte non l’ha portato agli Europei 2016: c’erano Bonucci, Barzagli e Chiellini. Per lo stesso motivo Allegri lo impiegava poco nei primi mesi, ma Rugani commentava: “Normale”. Sapeva che davanti, in entrambi i casi, aveva un blocco difensivo forte e collaudato.

 

Poteva diventare un’ossessione, la BBC. Invece è stata una palestra, un trio di capomastri dai quali apprendere preziosità. D’altronde, «Io sono uno che parla poco ma ascolta molto» dice.

 

Dopo aver guidato la difesa dell’Under 21 accanto a Romagnoli, a farlo debuttare in nazionale maggiore è Ventura. 1º settembre 2016, Rugani sostituisce Barzagli. Un passaggio di consegne simbolicamente forte, col più anziano fra i mastri della BBC.

 

Nella Juventus, la stagione scorsa è stata d’ambientamento, questa ha segnato un cambio di marcia. 10 presenze dall’inizio, ben 3 reti, Benatia scavalcato nelle gerarchie. Certo, non è un titolare, non ha soppiantato quei tre, è ancora un apprendista. Ma qualcosa è cambiato. Rugani riconosce quest’evoluzione e spiega che ha avuto origine, prima di tutto e ancora una volta, dalla testa.

 

rugani-nazionale

 

Proprio perché la predestinazione non esiste, forse è bene concludere focalizzando i pericoli che Rugani può incontrare lungo la strada. Una strada luminosa e baciata dai migliori auspici, ma non per questo ovvia.

 

I pericoli hanno le ingannevoli fattezze dei punti di forza.

 

Intanto l’umiltà, la convinzione di poter migliorare sempre. Rugani la dimostra coi fatti, la rivendica con le parole: «La presunzione è devastante». Dopo ogni partita si riguarda i novanta minuti registrati, «per capire cosa ho sbagliato. Sono i dettagli a fare la differenza». Nell’estate 2015 diceva: «Sono ambizioso, mai sazio». Ecco, l’insaziabilità può essere una catena.

 

Un altro pericolo sta nelle attese del mondo. Rugani questo, palesemente, non lo ignora. Anni fa, da figura-chiave dell’Under 21, diceva: «La parte più difficile è confermare le aspettative». Poche settimane fa, commentando il suo percorso nella Juve, spiegava che la differenza tra questa sua stagione e la precedente sta nel “saper gestire le pressioni”. E già negli ultimi giorni a Empoli si lamentava: «Il campione si vede quando sbaglia una partita e reagisce pensando già a quella successiva. Io non riesco a farmi scivolare le cose addosso, ci metto giorni a metabolizzare la delusione».

 

C’è un ultimo pregio che può rovesciarsi in difetto: la razionalità. Anche di questo Rugani sembra da tempo consapevole, pronto a trovare contromisure: «Dovrei essere più istintivo, invece di ragionare su tutto» confidava appena prima di trasferirsi alla Juventus. I cinque cartellini che ha collezionato dalla primavera scorsa, perciò, sembrano gialli uccelli benauguranti.

 

 

Tags : Daniele Ruganidifensoriempolijuventusnazionale italiana

Tommaso Giagni (Roma, 1985) ha pubblicato da Einaudi i romanzi L'estraneo (2012) e Prima di perderti (2016). Tra le antologie a cui ha partecipato: Voi siete qui (minimum fax, 2007) e La caduta dei campioni (Einaudi, 2020). Scrive per «L'Espresso», «Avvenire» e «l'Ultimo Uomo». Il suo ultimo romanzo è I tuoni (Ponte alle Grazie, 2021).

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