
Se quest’annata di Premier League può essere paragonata a una serie TV per la suspence e la trama che sembra scritta a tavolino, allora sarò costretto a spoilerarvi il finale di questa trentottesima puntata: Ranieri ha portato via dall’Old Trafford il punto che voleva; e lo United di van Gaal è ancora la stessa squadra di ottobre. È stata, cioè, una di quelle puntate di passaggio in cui non succede niente in apparenza ma si creano i presupposti per il grande season finale.
Il Leicester è sceso in campo con lo stesso undici che gli aveva regalato la vittoria per 4-0 contro lo Swansea una settimana fa. La velocità di Schlupp (preferito ad Albrighton) aveva compensato la fisicità statica di Ulloa, chiamato a rimpiazzare lo squalificato Vardy. In quella partita il Leicester era rimasto più alto, con la linea di difesa sulla propria trequarti a spingere i centrocampisti e gli attaccanti in pressing sugli avversari. Contro lo United, invece, la squadra di Ranieri ha adottato un atteggiamento fin troppo conservativo, e, sempre senza la velocità di Vardy squalificato, i metri da attaccare da un’area all’altra sono diventati decisamente troppi. Così il Leicester si è ritrovato senza armi per far male all’avversario.
Il Manchester United di van Gaal, invece, non ha cambiato il suo solito stile: quella circolazione di palla sempre troppo lenta e troppo periferica contro avversari schierati a protezione dell’area di rigore (il 68% dei palloni è stato giocato dallo United sulle fasce). Al di là dell’intensità della prima parte della partita, e di un maggior interscambio delle posizioni soprattutto tra le coppie di attaccanti Martial-Rashford e Lingard-Fellaini, sono state poche le note positive per i Diavoli Rossi. Insomma, tutto normale all'interno di una stagione non entusiasmante.
Il che non significa che la partita non abbia dato spunti di riflessione interessanti.
Intensità inglese
Nella partita di andata (finita 1-1) l’intensità aveva permesso al Leicester di creare maggiori pericoli allo United, con ripetuti tentativi di ripartenza che però ne compromettevano la tenuta difensiva, al punto da concedere le occasioni più ghiotte agli avversari sul contro-break.
Ieri, invece, è stato il Manchester United a determinare l’andamento della gara fin dai primi secondi, con un piano di gara cucito a pennello sugli uomini di Ranieri. Anzitutto sistemandosi, nei rari frangenti che ha giocato senza avere il pallone tra i piedi, con un 4-1-4-1 in cui i compiti difensivi assegnati al triangolo di centrocampo hanno annullato il potenziale del Leicester, con Rooney e Fellaini che da mezzali marcavano Kanté e Drinkwater, i due uomini che gestiscono tempi e spazi della manovra nella squadra di Ranieri. Carrick, alle loro spalle, provava a schermare la difesa da eventuali imbucate in verticale verso le due punte, Okazaki e Ulloa.
Una copertura superflua, quella offerta dal numero 16 dello United, almeno nei primi 35 minuti di gioco, quando tutti Reds avevano energia a sufficienza per pressare gli avversari in ogni zona del campo. I giocatori in maglia blu non hanno mai avuto il tempo di ragionare e hanno commesso molti errori: alla fine del primo tempo, la percentuale di passaggi riusciti per il Leicester era del 56%; mentre alla fine dei novanta minuti, è risalita fino al 62.2%.
La pressione dello United, comunque, non ha prodotto sostanziali pericoli, (se si esclude un errore di Simpson in palleggio che ha mandato Lingard in campo aperto verso la porta). E forse una ragione è che il tipo di dispositivo di pressione adottato era tipicamente inglese, ovvero basato sulla volontà individuale e piuttosto disorganizzato, mirato alla distruzione del gioco avversario con l’agonismo, piuttosto che sulla costruzione del proprio attraverso il recupero alto. Alla fine della partita, i palloni recuperati dal Manchester nella metà campo avversaria saranno solo 14 sui 64 recuperati in totale.
Gli ultimi esperimenti di van Gaal
Quando dovevano imbastire l’azione partendo dalla propria area, gli uomini di van Gaal ruotavano le loro posizioni per costruire una sorta di 3-3-4. Carrick si abbassava ad impostare tra i due difensori centrali; i due terzini salivano fino a posizionarsi con Rooney alle spalle della prima linea di pressione avversaria; Fellaini finiva sulla linea di Rashford, Martial e Lingard per ingaggiare duelli uomo contro uomo con i quattro difensori del Leicester.
Fellaini e Rooney più di ogni altro sono indispensabili al Manchester United, ora come ora. Fellaini ha compiti da mediano quando la sua squadra non ha la palla e agisce da attaccante quando lo United è in possesso. Posizionato sul centro-destra, ha sempre garantito presenza in area, uno dei problemi storici di questa squadra, e i compagni lo cercano spesso: la maggior parte dei 29 cross giocati dallo United provenivano dal lato sinistro, proprio per il belga piazzato sul secondo palo.
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Rooney da mezzala in qualche modo surrogava il ruolo dell’infortunato Bastian Schweinsteiger, assumendone i compiti di collegamento tra i reparti. La sua presenza e quella di Carrick in mediana è consequenziale ad un’intuizione tattica di van Gaal: l’allenatore olandese ha previsto un Leicester molto più conservativo del solito (il baricentro medio della capolista è stato di 42.5 metri), con la difesa bassa e le linee strette e vicine, attento a non scoprire la zona centrale. Rooney e Carrick, grazie alla loro tecnica di calcio, hanno cercato di continuo il cambio di gioco, per avvantaggiarsi dei lenti scivolamenti in orizzontale del Leicester. Una tattica che si è rivelata particolarmente efficace quando lo United ha provato ad attaccare il fianco destro del suo avversario, dove Rojo saliva in supporto di Martial con i tempi giusti e Mahrez non lo seguiva con costanza.

La tattica di van Gaal era chiara e, fino ad un certo punto, funzionante. Ma poi ha finito per penalizzare lo United: i due giocatori deputati a fare gioco non hanno mai ricercato la verticalità.
Proprio sul lato dell’ala algerina, tanto fantasiosa col pallone tra i piedi quanto notoriamente pigra nei ripiegamenti difensivi, è arrivata l’azione del gol che ha sbloccato la partita già dopo 8 minuti.
Da un fallo laterale battuto da sinistra, la palla è giunta centralmente a Carrick, sul quale Kanté ha mancato per una volta l’anticipo. Sul successivo cross da destra Martial, libero sul secondo palo, ha battuto il sorpreso Schmeichel. Il francese non era marcato né da Simpson, che aveva dovuto stringere al centro per coprire la diagonale lunga di Rashford, né da Mahrez appunto, che si era attardato nella metà campo avversaria.

Le contromosse di Ranieri
Una volta in svantaggio, Ranieri ha provato a chiudere la falla sul lato destro: Mahrez si è alzato di punta dove, difensivamente parlando, poteva arrecare meno danni; Okazaki è scivolato sull’esterno sinistro, mentre Schlupp è passato sul lato destro.
Questo nuovo assetto ha garantito al Leicester maggiore stabilità difensiva ed è stato tenuto fino all’intervallo. Il gol del pareggio, arrivato comunque 9 minuti dopo quello dello United, è frutto di almeno un errore individuale: Huth, come un carro armato, trascina Smalling dentro l’area di rigore, oltre la linea che i giocatori dello United tentavano di tenere prima della battuta di Drinkwater. Morgan ha tratto vantaggio dell’elusione del fuorigioco e ha messo il corpo tra il suo marcatore, Rojo, e la palla.

Nel secondo tempo, il Manchester United, già sembrato in calo sul finire della prima frazione, non è riuscito a tenere alto il livello dell’intensità: così il Leicester ha potuto avanzare il proprio baricentro sul campo.
La strategia offensiva del Leicester era la solita: uno dei due laterali allargava il fronte, mentre l’altro veniva in mezzo per cercare delle combinazioni veloci con i due attaccanti. Peccato che Ulloa sia un giocatore completamente diverso da Vardy e la sua riottosità nella ricerca della profondità ha finito per aiutare i difensori del Manchester United, in grado di controllare i tre attaccanti avversari in uno spazio grande come un fazzoletto.
La salita del pallone da parte dello United avveniva senza patemi, soprattutto per l’atteggiamento rinunciatario del Leicester. Quando le Foxes hanno deciso di attaccare l’inizio del possesso avversario, hanno creato più di qualche pericolo. Questa è stata l’unica azione marchio di fabbrica giocata dal Leicester in 90 minuti.
Inoltre, come già accaduto all’andata, per quanti problemi il Leicester è riuscito a creare allo United, altrettanti ne ha avuti quando ha compromesso la propria forma difensiva.
Per sfruttare i maggiori spazi tra le linee che si sono venuti a creare nel secondo tempo, van Gaal è passato ad un più canonico 4-2-3-1 con l’ingresso di Ander Herrera per Fellaini e con Rooney stabilmente sulla stessa linea di Carrick.
Ma né l’ingresso di Depay, che ha aumentato il tasso tecnico della sua squadra, né l’espulsione di Drinkwater hanno permesso allo United di prendere il bottino pieno. Ranieri invece, com’è solito fare, non ha stravolto la sua tattica attraverso i cambi, mantenendo invariati i compiti per ciascuno dei tre subentrati.
Come lacrime nella pioggia
Il più grande successo di van Gaal, nei due anni passati al Manchester United, è legato al miglioramento della rosa, che non è passato solo attraverso le sanguinose campagne acquisti. Il consolidamento delle prestazioni di Smalling e di Lingard, così come l’esplosione di Rashford, gli esordi di Borthwick-Jackson, Varela, Fosu-Mensah sono merito esclusivo da attribuire all’allenatore olandese.
Inoltre, è indubbio che in due anni Van Gaal abbia dotato il Manchester United di una forte strutturazione, non solo tattica e legata al campo ma anche organizzativa in senso più ampio, sulla quale la squadra potrà costruire i successi futuri.
Restringendo l’ambito al gioco espresso nei novanta minuti, però, sembra chiaro che van Gaal abbia poco da aggiungere. A questa squadra, ma forse anche al Calcio in generale. Il gioco dello United è cocciutamente ripetitivo, oltre che improduttivo: contro il Leicester, ha avuto il 70.4% di possesso palla e un vantaggio territoriale del 59%, eppure ad un certo punto del match l’unica arma possibile era il tiro dalla distanza. Una dinamica già vista in tanti, troppi match nell’ultimo biennio.
Van Gaal ha, oggi, una percentuale di vittorie sulla panchina di Manchester del 51.5%, inferiore a quella del bistrattato Moyes, 52.9%. Per le qualità che van Gaal ha, non è un’eresia pensare che l’allenatore olandese possa convertire il suo ultimo anno di contratto da allenatore in uno da direttore tecnico: in questo caso staremmo assistendo a un lungo addio di van Gaal, anche se la risposta la conoscono solo il suo cuore e quello di Ed Woodward, vice presidente esecutivo dello United.
A Ranieri invece mancano solo 2 punti per trasformare i sogni, come lui ama dire, in realtà. Ripensando alla stagione del tecnico italiano, mi è tornato in mente un vecchio adagio di Arrigo Sacchi: una squadra è la somma del talento degli undici giocatori; ma se questi adottano un’organizzazione tattica rigorosa, condivisa da tutti e capace di esaltare le qualità di ognuno, ecco che si ottiene la moltiplicazione del talento.
La magia di Ranieri e della stagione del Leicester è in fondo tutta qui: l’allenatore italiano è riuscito a trovare un sistema di gioco e un’assegnazione dei compiti che permettesse di ricavare il meglio dai propri giocatori, nascondendo le loro debolezze con la compattezza e la determinazione del collettivo.
Ieri al Leicester è sfuggita la matematica certezza del titolo, che potrebbe comunque arrivare oggi se il Tottenham non riuscisse a battere il Chelsea. Come mi aveva fatto notare uno dei nostri autori, Flavio Fusi, la squadra operaia avrebbe potuto laurearsi campione nel Workers Day.
Ma forse la misura della retorica sarebbe stata colma, persino per la “favola” del Leicester.