La prima volta che il nome di Christopher Nkunku è apparso sui giornali era l’estate del 2015. Sulla panchina del PSG c’era Laurent Blanc, Thiago Motta era ancora un calciatore e guidava il centrocampo della squadra parigina, e il Manchester United aveva appena firmato un assegno da 60 milioni di euro al Monaco per assicurarsi il nuovo Thierry Henry: Anthony Martial. Nkunku doveva ancora compiere 18 anni ma era stato già notato da Blanc, che l’aveva aggregato alla prima squadra per le amichevoli estive e l’International Champions Cup negli Stati Uniti (vi ricordate?). «È un giocatore interessante», aveva dichiarato Blanc «E anche se non è ancora pronto per un’intera stagione in Ligue1 lo faremo lavorare con noi. Questo è il ruolo del PSG». Nkunku si era detto «sorpreso e felice di sentire queste parole da un grande allenatore» e di ispirarsi a Marco Verratti, «che come me non è molto grande ma sa bene come utilizzare il proprio corpo». A quel tempo, come Verratti, Nkunku giocava da mezzala sinistra.
Nato a Lagny-sur-Marne, lo stesso comune della periferia parigina che ha donato al calcio francese Paul Pogba, Nkunku si era trasferito al PSG solo tre anni prima. Una scelta strana dato che non era certo un club famoso per puntare sul vivaio - non come il Lens, il Le Havre e il Monaco con cui pure aveva fatto dei provini - ma che gli permetteva di rimanere vicino al famoso centro di Clairefontaine, dov’era cresciuto e dove a 14 anni aveva conosciuto Kylian Mbappé, più giovane di un anno ma già sulla bocca di tutti. Poche delle promesse fatte quell’estate, in cui per un momento Nkunku è sembrato più vicino a una carriera di alto livello tra i professionisti di Mbappé, verranno però mantenute. Blanc lo farà esordire a inizio dicembre addirittura in Champions League, facendolo entrare al posto di Lucas Moura negli ultimi minuti di PSG-Shakhtar Donetsk, ma per il resto non lo impiegherà quasi mai, appena 300 minuti in campionato spalmati su cinque partite.
A fine stagione finisce l’era Blanc e inizia quella Emery ma per Nkunku le cose non cambiano molto. Settimane di spezzoni di partita, di cambi negli ultimi minuti, di standing ovation ai giocatori dei quali si prende il posto. Nel marzo del 2017 Nkunku sembra quasi in dovere di giustificarsi per non essersi ancora preso il posto in prima squadra. «Non sono così talentuoso. Il mio primo anno con l’Under 17 è stato molto difficile. Ero molto magro e giocavo con le riserve. È stato uno shock per me. Sono stato persino declassato nell’Under 16 per una partita. Da quel giorno do sempre tutto sul campo, ovunque giochi. Non sai mai chi sta guardando». Ma effettivamente nessuno guarda oppure è lui a coltivare ancora la speranza che prima o poi riuscirà a sfondare in quella squadra di stelle. Dopo un altro anno di panchine si fa scappare una frase orwelliana: «Una squadra è fatta di giocatori che sono più importanti di altri». Anni più tardi racconterà di quando Ibrahimovic gliela fece pesare per aver perso una partitella d’allenamento per colpa di un suo errore. «Il giorno dopo Ibra mi ha guardato negli occhi e mi ha detto “Ieri ho perso”. Non sapevo cosa dire: era serio. Rideva ma era serio. Mi ha fatto capire che sarebbe stata la prima e ultima volta che avrebbe perso. Dopo quel momento mi si è avvicinato Matuidi e mi ha detto: “Ecco, adesso sai cosa ci si aspetta da te in allenamento. Qui da noi non si perde”». Dopo essere stato eliminato per la seconda volta consecutiva agli ottavi di finale di Champions, il PSG esonera Unai Emery, e Nkunku si toglie qualche sassolino dalle scarpe nella speranza che con un nuovo allenatore finalmente le cose cambieranno. «Quando un allenatore ti mette in panchina è difficile conviverci. E non ho mai ricevuto alcuna spiegazione per questo». Con Tuchel però l’ala francese il campo lo continua a vedere poco: e come potrebbe essere altrimenti? Davanti a lui oltre a Neymar e Di Maria da un paio d’anni c’è anche Mbappé, e Nkunku nelle interviste a volte è ridotto a recitare il ruolo dell’amico di infanzia del prodigio. «Conosciamo il suo talento, sappiamo ciò di cui è capace: non mi sorprende affatto che sia arrivato a questo livello».
Il 7 aprile del 2019 tutta la storia del suo rapporto con il PSG sembra cristallizzarsi in un momento. Al Parco dei Principi arriva lo Strasburgo per quella che sembra un’innocua partita di campionato. Al 27esimo, sul risultato inaspettatamente combattuto di 1-1, Dani Alves serve Nkunku per un taglio in profondità eseguito con tempismo perfetto. L’attaccante francese sente l’uscita del portiere avversario, accelera sugli ultimi passi e poi alza il pallone scavandolo con la punta. Il pallone scavalca dolcemente il portiere dello Strasburgo, che pure lo sfiora con il palmo della mano senza però riuscire a deviarlo significativamente. Sarebbe gol se non fosse che Choupo-Moting, che aveva seguito l’azione fino in area piccola, sulla linea di porta mette inspiegabilmente il piede tra la porta e il pallone, lasciandolo lì, sull’orlo di ciò che sarebbe potuto accadere. Il giorno dopo tra le possibili spiegazioni di quel gesto assurdo, Emanuele Atturo, tra il serio e il faceto, ipotizza che forse inconsciamente Choupo-Moting volesse proprio impedire a Nkunku di segnare: “Nkunku ha 8 anni meno di Choupo-Moting: è giovane, forte e non è detto che a Choupo-Moting questa cosa stia bene. Magari non gli stava bene che Nkunku mettesse la ciliegina sulla torta della stagione del PSG, con quel pallonetto così dolce, così ben eseguito”.
È una teoria che per assurdo spiega bene il momento di Nkunku, che a 22 anni si ritrova a giocare per una squadra che fa di tutto per tarpargli le ali. Forse non è un caso quindi se poche settimane dopo decide finalmente di cambiare aria, accettando l’offerta nemmeno così consistente del Red Bull Lipsia (13 milioni di euro). In Germania Nkunku trova Julian Nagelsmann, il più famoso dei laptop manager tedeschi, e quindi anche un’attenzione maniacale ad ogni aspetto del suo gioco. «Con me cercava la perfezione», ha dichiarato una volta Nkunku «Utilizzava tanta videoanalisi per aiutarmi. Me ne ricordo una in particolare che mi ha impressionato dopo una partita contro il Manchester United. Mi ha detto: “Ok, eri in buona posizione: ma la posizione migliore era due metri più a destra”. Questo è Nagelsmann». Nelle due stagioni con l’allenatore tedesco cambia ruolo spesso, ma non gioca quasi mai sul fronte centrale d’attacco: spesso da ala, a volte torna al suo ruolo originario da centrocampista, addirittura da vertice basso. Di conseguenza la sua crescita è più lenta e meno spettacolare di quanto ci aspetterebbe. Che poi è sempre tutto relativo, se pensiamo che in due anni realizza tra Bundesliga e Champions League 12 gol e 21 assist.
Ma è indubbio che il salto di qualità definitivo lo abbia fatto quest’anno, per paradosso con l’allenatore con cui il Red Bull Lipsia più è sembrato in difficoltà negli ultimi anni: Jesse Marsch. Prima di essere esonerato venendo sostituito da Domenico Tedesco, l’allenatore statunitense rimane in Germania appena quattro mesi lasciando il Lipsia all’11esimo posto ma anche con l’intuizione che cambia la carriera di Nkunku. Un 3-4-3 che è utilizzato ancora oggi da Tedesco e che gli lascia la libertà di dividersi tra le ricezioni sulla trequarti e l’attacco della profondità alle spalle della difesa avversaria, agendo ora da trequartista ora da seconda punta accanto a Poulsen o ad André Silva. Con l’allenatore statunitense segna alcuni dei gol più importanti della sua stagione e forse anche della sua carriera. Un gol al Borussia Dortmund, all’andata, che è una miniatura di tutti i suoi punti di forza: il sapersi nascondere all’interno del lato cieco del diretto marcatore, il tempismo nell’attacco della profondità, la freddezza davanti al portiere, saltato fintando il tiro di interno e dribblandolo dall’altro lato. Poi una tripletta al Manchester City, seppur in una partita persa 6-3, muovendosi in area con l’astuzia del polpo che cambia colore per confondersi tra la sabbia, facendo passare il povero Aké per il pesciolino che gli passa ingenuo sopra la testa. E infine il secondo gol al PSG della sua carriera, affondando come una lama incandescente nel burro tra Marquinhos e Kimpembé, e battendo Donnarumma con un colpo di testa sul secondo palo. La chiusura di un cerchio?
L’esplosione di Nkunku, che pochi giorni fa è diventato il primo giocatore della Bundesliga in questa stagione ad andare in doppia cifra sia di gol che di assist, pone domande interessanti su cosa determini e su cosa significhi il successo e il fallimento dei giocatori a tutti i livelli: è stata l’intuizione di Marsch a far sbocciare l’istinto realizzativo di Nkunku? O è stato il lavoro di Nagelsmann a forgiare le caratteristiche dell’attaccante francese, un maestro nel sapere dove e quando muoversi, dove e quando ricevere? E quanto hanno contato gli anni di allenamento al PSG con alcuni dei migliori attaccanti al mondo nel renderlo un giocatore glaciale davanti al portiere? Quando lo si vede giocare è difficile scegliere una cosa invece di un’altra, perché Nkunku sembra esattamente il risultato di tutto il suo percorso tortuoso. Lui, ad esempio, dice che aver giocato in molti ruoli diversi lo ha aiutato. «Adesso so cosa un giocatore penserà in questa o quella posizione, o in questa o quella situazione. Ti aiuta a scoprire altri angoli, altri modi di posizionare il tuo corpo, altre zone del campo. Quando sei giovane e giochi dovunque ti dici che è difficile. Ma ai giovani giocatori vorrei dire: vi servirà più avanti. Adesso ho la maturità per dirmi: l’allenatore ha un piano gara stabilito, cerca di adattarti. E in ogni posizione in cui ho giocato sento di aver dato il massimo».
Guardando giocare Nkunku non si rimane abbagliati dal talento, non sempre almeno: rimane comunque un giocatore capace di prendere l'angolo più lontano della porta dopo aver fatto due veroniche in area. I suoi gol, però, vanno rivisti più di una volta per apprezzare l’intelligenza sottile con cui se li è procurati, cresciuta per lenta accumulazione, anno dopo anno (forse qualcuno direbbe: fallimento dopo fallimento), come combustibili fossili nascosti sotto il deserto. Il gol segnato al Bayern Monaco circa due mesi fa, ad esempio, a prima vista sembra un’incredibile invenzione di Laimer, che lo mette davanti a Neuer con un passaggio che taglia la difesa di Nagelsmann (!) precisamente a metà.
Rivendendolo con più attenzione, però, si noterà che lo spazio in cui Laimer mette il pallone è stato creato negli istanti precedenti da Nkunku, che con il suo gioco di movimenti e angolazioni del corpo ha avvoltolato Pavard nella sua rete come un ragno. Prima lo sposta verso l’interno fintando un taglio in diagonale, poi quando quello si è spostato gli si nasconde alle spalle chiamando il passaggio in profondità: è solo a quel punto che Laimer lo serve e Pavard, che non poteva vederlo senza distogliere gli occhi dal pallone, sembra quasi stupito del fatto che dietro di lui ci sia Nkunku tutto solo che aspetta: com’è potuto succedere? Ma questa è solo la preparazione e a nulla servirebbe senza il finale: e cioè i due controlli di esterno con cui si aggiusta il pallone e poi la freddezza da giocatore di minigolf con cui decide di tirare tra le gambe di Neuer, uno dei più grandi portieri della storia del calcio a parare con i piedi.
La lucidità da giocatore navigato con cui Nkunku legge il gioco è stupefacente per un giocatore di nemmeno 25 anni e si spiega solo alla luce del fatto che nel calcio il tempo scorre più velocemente e si possono vivere molte vite nell’arco di poche stagioni. Con il tempo Nkunku è diventato meno egoista, meno ansioso di dover dimostrare qualcosa e questo lo sta rendendo anche più creativo, più disposto a dare qualcosa ai compagni. «Prima voleva sempre la palla sui piedi. Adesso corre nello spazio e riceve alle spalle della linea difensiva avversaria. Sta diventando sempre più pericoloso e sempre più completo», ha detto di lui il suo compagno di squadra Yousuf Poulsen. Nkunku non è dovuto diventare più egoista per segnare di più, non è diventato uno di quei giocatori che tira da qualsiasi posizione (2.6 tiri totali per 90 minuti, Lewandowski ne realizza 5 per intenderci), e ha mantenuto intatta quella vena creativa che da sempre lo contraddistingue. Quest’anno gli assist, tra campionato e Champions League, sono già 12 e non è un caso: per Expected Assist Nkunku è nel 93esimo percentile tra i giocatori dei cinque principali campionati europei secondo le statistiche fornite da Stats Bomb, per shot-creating actions (che includono tutte quelle azioni che portano a un tiro, come passaggi chiave, dribbling o falli guadagnati) è nel 91esimo.
Nkunku è freddo anche nel senso che raramente si fa prendere dalla concitazione dell’azione ed è sempre lucido nel capire qual è la scelta ottimale in ogni occasione. Il suo percorso lo ha portato ad essere talmente cosciente di questo suo lato, che oggi ne parla come un allenatore o comunque come qualcuno che è già passato oltre la sua carriera da calciatore o che è arrivato alla sua fine e si sta voltando indietro a fare le ultime considerazioni a freddo. «Non cerco di fare qualcosa di appariscente, ma la cosa migliore, la più efficiente, e nel momento giusto - quella cioè che fa avanzare l’azione, che crea spazio, e che alla fine ci farà segnare. Il calcio moderno è tutto statistiche. Ma puoi fare la differenza anche con una corsa, prendendo un fallo, con un’espulsione. Tante volte mi hanno detto: “Ma perché non hai tirato?”, e io rispondo sempre la stessa cosa: “Perché c’era qualcuno in una posizione migliore della mia”».
Nkunku sa utilizzare la sua tecnica in maniera geniale per servire un compagno, ma nei suoi gesti non c’è mai compiacimento: il suo calcio è calcolo non sensualità. Guardate ad esempio come in questa partita contro l’Hansa Rostock con la coda dell’occhio veda Dani Olmo corrergli al lato.
Dite la verità: vi aspettavate che lo avrebbe servito sulla corsa in area utilizzando l’esterno del destro con la dolcezza con cui si affonda nel gelato con il cucchiaio per farne una pallina? Eppure Nkunku compie questo gesto come se stesse passando una scartoffia da firmare al compagno di ufficio. Una volta trovata la soluzione, l’attaccante francese cerca sempre il modo più efficiente per realizzarla: nessun ricamo. Per la stessa ragione è difficile trovare un suo gol davvero spettacolare: che senso ha forzare un tiro difficile se si può compiere una scelta più intelligente, come servire un compagno in posizione migliore? Per questa ragione si potrebbe arrivare a pensare che Nkunku non abbia una tecnica di calcio eccezionale, ma la verità è che davanti la porta cerca solo l’efficienza.
È possibile che la prima, traumatica, esperienza al PSG abbia portato Nkunku a sottovalutarsi, e quindi a compensare con l’intelligenza un gap tecnico che in realtà aveva solo con i migliori giocatori del mondo. Nkunku non è Mbappé, ma il percorso che ha iniziato a partire da questa dolorosa presa di coscienza lo ha portato oggi ad essere più completo, più maturo di qualsiasi altro giocatore in circolazione della sua età e del suo livello. Magari ci ha messo più del previsto, ma non è detto che gli anni passati per arrivare a questo punto siano da considerare tempo perso.