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Foto di Jason Miller/Getty Images
NBA Lorenzo Bottini 17 aprile 2020 6'

La battaglia della NBA per rimanere rilevante

Il torneo di H-O-R-S-E è il contenuto che meglio incarna questo periodo di pallacanestro sospeso nel tempo.

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Siate sinceri: prima che Rudy Gobert toccasse ogni microfono in sala stampa e che la NBA si fermasse a pochi istanti dalla palla a due tra OKC e Utah in quella pazza notte di quasi ormai quaranta giorni fa, avreste mai immaginato che il meglio del basket giocato tra marzo e aprile sarebbe stato Paul Pierce in smanicato che sbaglia tutti i tiri nel campetto di casa? Ok forse non è stato davvero il meglio, ma quello che definisce nel modo più accurato una situazione alla quale nessuno era davvero preparato, né noi a casa, né Paul Pierce che sembra essersi appena alzato dalla sedia a rotelle del 2008, né le massime sfere della lega che si sono dovute inventare una competizione anche piuttosto ridicola pur di mantenere un minimo di rilevanza tra gli appassionati.

 

In un mondo nel quale nessuno riesce ad immaginare cosa succederà domani, la lega guidata da Adam Silver ha avuto due meriti. Chiudere immediatamente appena è arrivata la notizia del primo giocatore positivo e non cercare a tutti i costi di riaprire il prima possibile. Questa sospensione temporale ha creato però una zona grigia di attesa e smarrimento, contro la quale poco hanno potuto le partite storiche caricate su YouTube o i video su TikTok. Abituati a un flusso di immagini e contenuti che sembrava non poter aver mai fine e che non conosceva interruzioni neanche durante la off-season – quando Draft, Free Agency e mercato si succedevano con cadenza marziale scandita dalle Woj Bomb e dalle hot takes di Stephen A. Smith – non riusciamo ad accettare un momento nel quale non succeda nulla. Niente quando scrolli l’app NBA sullo smartphone, niente quando la mattina cerchi la Top-10 della nottata, niente quando ci lanciamo sul divano ed accendiamo la tv. Niente di niente.

 

Un horror vacui terrificante che deve essere in qualche modo riempito, persino con una competizione che credevamo aver abbandonato qualche All-Star Week-end fa con Durant in un parcheggio di Phoenix. Ed invece proprio per la sua natura a specchio che si presta ad essere effettuata a distanza tra professionisti o ex di NBA e WNBA, è stata riesumata in questo momento nel quale ogni contatto è severamente vietato.

 

Una vita di nuovo sgranata

Così siamo entrati nella palestra perfettamente igienizzata di Mike Conley, nei campetti in cemento all’aperto di Zach LaVine e Chauncey Billups in quelli in ciottoli dei vialetti di Allie Quigley e Tamika Catchings. O i canestri dietro il garage della casa di casa di Trae Young e Chris Paul fino ad arrivare a quello con il logo dei Boston Celtics di Paul Pierce. Tutti armati di cuffie bluetooth e di validi aiutanti con videocamere e smartphone per trasmettere le immagini sgranate che abbiamo imparato ad apprezzare con le nostre videochiamate domestiche.

 

La differenza di location ha reso possibile questa sfida a distanza ma l’ha di fatto anche squilibrata. Anche per chi ha un campo da basket in casa la quarantena non è una livella e le differenze si sono subito fatte notare. Molto più comodo tirare al chiuso dentro una vera palestra piuttosto che esposti al freddo e al vento, ed è più semplice realizzare trick shots con dei canestri perfettamente regolati rispetto ad altri piuttosto sbilenchi.

Perché LaVine ha un canestro montato su un palo altissimo all’angolo destro del campo? E perché Paul Pierce ne ha uno sopra un tappeto elastico?

 

Così non è stato complicato per Mike Conley sconfiggere la neo Hall of Famer Tamika Catchings con un raffinato sottomano da dietro il tabellone e per Zach LaVine regolare un Paul Pierce da mettere sulla Treccani sotto la definizione di boomer. Troppa la differenza tra due professionisti ancora nel pieno della loro carriera rispetto ad atleti che hanno concluso la loro attività su un campo da basket ormai da qualche anno: non che ci sia quale sforzo fisico dietro una partita di H-O-R-S-E, ma alla fine la consuetudine e la pratica rimangono fondamentali. Così come lo spirito di competizione.

Chris Paul che sbaglia dei tiri che normalmente segna ad occhi chiusi ma non può imprecare perché i suoi figli lo stanno riprendendo.


Non è quindi un caso che “Mister Big Shot” Chauncey Billups abbia tenuto fede al suo soprannome incorniciato sul bordo del suo campo privato, e tiro dopo tiro abbia costretto alla resa il grande favorito Trae Young. Il giovane playmaker degli Hawks è stato penalizzato dalle condizioni meteo e da un tiro da fuori che non ne sapeva di entrare, mentre Billups si caricava ad ogni canestro come fosse ancora al Palace di Auburn Hills.

 

Ancora più sorprendente la sconfitta di Chris Paul contro Allie Quigley, nella quale ha sbagliato ogni tiro dal midrange che non ha sbagliato durante la stagione regolare, compreso quello da seduto per terra in omaggio a Pete Maravich.

 

Atto finale

La All-Star delle Chicago Sky Quigley ha dovuto affrontare l’atletismo di Zach LaVine, con l’esplosività e la flessibilità in aria del giocatore dell’altra squadra di Chicago alla fine fanno la differenza, sfoggiando una serie di lay-up passandosi la palla sotto le gambe come in una gara delle schiacciate ma molto più noiosa.

 

Nell’altra semifinale invece Mike Conley ha regolato Chauncey Billups sfruttando la sua abilità con entrambe le mani e costringendo il suo avversario a tirare con la mano debole, per poi chiudere la pratica con un tiro libero da sotto alla Hanamichi Sakuragi.

 

In finale quindi si sono affrontati i due giocatori che hanno dimostrato di saper sfruttare il proprio vantaggio competitivo e un campo di gioco almeno appropriato. Conley è andato subito in vantaggio grazie ad uno scoop shot da dietro la schiena e un tiro libero ad occhi chiusi, ma appena LaVine ha potuto usare le sue gambe di gomma per creare acrobazie sotto il ferro la partita si è riaperta.

Non perdetevi neanche un canestro!

 

Il regista degli Utah Jazz però conosce i suoi punti di forza e con i suoi canestri con la mano teoricamente debole (Conley, mancino in campo, nella vita fa tutto con la mano destra) ha messo varie lettere di disanza tra lui e il suo diretto avversario. Alla fine si è inventato due soluzioni estremamente creative, la prima facendo roteare il pallone sul dito prima di spingerlo dentro la retina e la seconda con un terzo tempo da dietro il tabellone, per incorniciare l’incontro.

 

Una vittoria meritata, e resa possibile dal suo splendido campo indoor nella sua casa in Ohio, mentre Zach si doveva riscaldare le mani con il fiato prima di ogni tentativo nel suo campo all’aperto adornato dai colori dei Seahawks sotto l’inclemente cielo di Seattle, dal quale ovviamente è cominciata a cadere la classica pioggerellina di Emerald City.

 

Non rendersi conto dei privilegi

Anche dall’H-O-R-S-E in streaming arriva lo stesso messaggio che sentiamo martellato da ogni dove: bisogna rimanere chiusi in casa, magari meglio se si ha anche un parquet su cui allenarsi aspettando che ricominci la stagione. Lo scarso entusiasmo generato da questa competizione infatti, a cui possiamo aggiungere quello per il torneo di NBA 2K20 vinto da Devin Booker, racconta quanto poco ci interessi ogni altro aspetto collaterale al basket giocato. D’altronde siamo in un’epoca nella quale viviamo un rapporto conflittuale con le celebrità: le vediamo troppo per apprezzarle davvero e le loro comodità in questo momento di crisi ci risultano eccessive, quasi fastidiose.

 

Allo stesso modo però non possiamo immaginare di restare senza contenuti da seguire e da giudicare, ovviamente seguendo un metro severissimo, perché non è tempo per le risate questo. Da qui la difficoltà della NBA nel dover continuare a creare interesse attorno a se stessa e ai suoi interpreti per restare rilevante in un discorso globale che purtroppo ora conosce un solo argomento. E se questo H-O-R-S-E vi è sembrato inutile o ridicolo, pensate solo cosa può aspettarci nel prossimo futuro se davvero non si troverà un modo per concludere la stagione interrotta a marzo.

 

Nonostante ci sia la voglia dei giocatori e la necessità di proprietari e detentori dei diritti televisivi di tornare in campo, da Adam Silver e i suoi collaboratori non sono ancora uscite proposte concrete su come portare a termine i playoff in piena pandemia. C’è chi fantastica di un isola segreta nel Pacifico, con il DNA degli All-Star conservato nell’ambra; o di una Las Vegas steampunk, per un NBA con squillo di lusso e blackjack; o ancora di un Disney World convertito a parco giochi delle superstar NBA. L’amara verità è che in questo tunnel per ora non si intravede la luce, e immaginare di tornare a godersi ogni notte lo spettacolo che per decenni il basket ci ha donato ora ci fa quasi piangere.

 

Pensare che non ci potremo gustare il derby di Los Angeles o la caccia al titolo di Giannis Antetokounmpo è peccaminoso ora che dobbiamo gestire una situazione così critica per noi e i nostri cari, ma è solo una conferma di come lo sport ci aiuti a stare bene, e di quanto ora ne avremmo disperatamente bisogno. Invece ci toccherà ancora questo basket in videoconferenza, con spaziature che fanno invidia ai migliori Golden State Warriors, per non si sa quanto tempo. Con la speranza che un giorno non così lontano torneremo alle nostre abitudini di sempre e le considereremo per quello che sono state finora: dei privilegi dei quali non ci rendevamo conto. E forse non ci lamenteremo più dei New York Knicks in prima serata.

 

 

Tags : chris paulmike conleyZach LaVine

Lorenzo Bottini nasce nel 1989 a Roma. Si laurea in Storia del cinema interessandosi soprattutto dei rapporti con i nuovi media. Folgorato sulla via di Detroit dai due Wallace, ritiene lo sport uno dei pochi modi rimasti per creare modelli comunitari.

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