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Redazione basket
NBA Preview 2015: Superare il primo turno
24 ott 2015
24 ott 2015
Puntata 3 di 4 in vista della nuova stagione NBA: è la volta delle outsider, per le quali essere eliminate al primo turno sarebbe una delusione, ma che non vanno nemmeno così lontane dalla finale di conference.
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È andato tutto storto. Dovevano essere esteti & profeti del tanking selvaggio, concentrandosi sullo sviluppare l’enorme talento offensivo di Jabari Parker. E invece hanno fatto una stagione con record positivo, agganciando i playoff nonostante il grave infortunio occorso al proprio gioiellino. E così, un anno dopo, di tanking non si parla nemmeno più per sbaglio.

 

Miracoli della mediocrità dell’est, ma pure merito di Jason Kidd, un coach che, dopo un esordio così così, ha tirato fuori una stagione di grandissimo rapporto qualità/prezzo. Del resto, che ne capisse di basket era già chiaro

.

 

Con il rientro di Jabari, la speranza di fare un altro passo avanti è tangibile. Per farlo c’è un roster avanguardistico, versatile all’estremo, dove il potere è in mano a giocatori capaci di coprire due, a volte tre ruoli. Su tutti "

" Antetokounmpo, che ormai suscita più terrore che ilarità, in un settore ali che, con Khris Middleton e John Henson, fa fisicamente paura.

 

Sotto i tabelloni Greg Monroe porta fisicità e presenza in post basso—anche se, rispetto ai tempi di Detroit, avrà presumibilmente meno possessi. È la sua occasione per vedere di essere più di uno sterile accumulatore di doppie doppie. E poi c’è Michael Carter-Williams. Anche lui uno fatto tutto a suo modo, nel bene (braccia lunghe, atletismo, velocità) e nel male (tiro rivedibile, scelte non sempre lucidissime).

 

A piombare sulla Terra da un altro pianeta viene voglia di dire che la squadra è sbilanciata, che i doppioni son troppi. Ma se ha funzionato lo scorso anno, perché dovrebbe andare peggio con un roster qualitativamente migliore? I playoff sono l’obiettivo, superare un turno la speranza. Con il talento e l’atipicità che hanno, restano un avversario contro cui è davvero difficile prepararsi.

 





 



, dicono gli americani.

, diremmo noi. Secondo molti analisti i Wizards si trovano al bivio tra il definitivo salto di qualità, dopo una stagione 2014-15 a tratti esaltante (in particolare nel

) o il ritorno alla mediocrità.

 

In realtà, anche qualora non dovessero confermarsi in termini di risultati, si sono comunque garantiti un solido Piano B:

è in scadenza al termine della stagione, e quindi anche nel peggiore dei casi la loro situazione salariale permetterebbe di mantenere un nucleo solido e dare anche la caccia a

in free agency.

 

Restando al Piano A, i motivi che possono permettere ai Wiz di raggiungere l’agognato quarto posto nella Conference (non più esclusiva dei vincitori di division, grazie al

delle griglie in post-season) si traducono essenzialmente in John Wall e Bradley Beal. Una coppia che di anno in anno continua a crescere e migliorarsi reciprocamente, e può ormai essere legittimamente inserita in qualsiasi dibattito dal tema “il miglior backcourt della lega”. Al netto dei

, che fanno ormai poco testo, Wall si è affermato come stella di livello assoluto e potenziale primo quintetto NBA, e Beal

, dopo aver ancora una volta

quando la situazione lo richiedeva nel corso dei playoff.

 

Questi esplosivi esterni sono perfettamente bilanciati dalla coppia di lunghi Nené-Gortat, non spettacolare, ma solida come pochissime altre, nonché da Otto Porter, che finalmente ha superato il traumatico periodo di adattamento al gioco dei pro ed è ormai un solido, versatile

degno di una maglia da titolare.

 

https://youtu.be/fkwfh_6TG0A

#PlayoffOtto queste cose non le fa più.



 

La rotazione era già buona ed è stata ulteriormente migliorata, sostituendo i deludenti Kevin Seraphin, Rasual Butler e Will Bynum con i più talentuosi e versatili Jared Dudley, Alan Anderson e Gary Neal, oltre al grezzo rookie Kelly Oubre.

 

Dove potrebbero annidarsi i problemi? Innanzitutto

, arma tattica determinante per l’improvviso passaggio al “4 fuori” adottato da Randy Wittman durante gli scorsi playoff: la sua esperienza e la sua glaciale efficacia nei

saranno difficili da sostituire.

 

Il problema principale, però, sarà quello di restare sani: Beal non gioca una stagione intera dal college, e viene dalla sua

; Wall non è estraneo agli stop ripetuti, a causa del suo stile arrembante; Nené nella sua carriera ha saltato grossomodo una partita su quattro; Dudley e Martell Webster inizieranno la stagione a scartamento ridotto, dopo essere andati sotto i ferri in estate.

 

Durabilità ed esperienza: gli unici aspetti che possono tarpare le ali a una squadra per il resto abbastanza completa, talentuosa e affiatata per dare fastidio a chiunque.

 





 



Forse nessuna squadra quest’anno parte con un

e un

tanto distanti tra loro: con le informazioni a nostra disposizione, possiamo immaginarci i Miami Heat in finale di Conference, quanto vederli uscire al primo turno. Questo perché l’intrigante squadra messa in piedi da Pat Riley porta con sé tante speranze di gloria sulla carta quanti dubbi sulle reali possibilità di vederla poi funzionare in campo.

 

Le speranze arrivano dal valore dei vari giocatori a disposizione di Spoelstra, uno dei migliori allenatori della lega: un gruppo con due futuri Hall of Famers in Dwyane Wade e Chris Bosh; un’ottima point guard titolare in Goran Dragic; la scelta di poter schierare l’esperto Luol Deng o il rookie-candidato-Steal of the Draft Justise Winslow; un centro titolare che ha fatto impazzire tutta la lega sul finale della scorsa stagione in Hassan Whiteside e tre ricambi di livello per l’est come McRoberts, Chalmers e Green dalla panchina.

 

Praticamente Miami, nel best case scenario, può presentare un quintetto titolare secondo solo a Cleveland a est e che sulla carta dovrebbe poter soffrire solo gli Atlanta Hawks versione-gennaio-da-17-W-consecutive in vista della Finale di Conference. Dragic e Wade hanno passato il training camp a cercare di migliorare l’intesa di una coppia a suo modo unica, vista la diversità nello stile di gioco tra il siluro che punta il canestro (Dragic è probabilmente la migliore point guard a segnare nel pitturato) e il versatile Wade.

 

Bosh e Whiteside rappresentano un grattacapo per qualsiasi difesa, potendo contare al contempo su un giocatore in grado di allargare il campo in Bosh e su un mostro da rimbalzo offensivo in Whiteside, ma con entrambi capacissimi di giocare il pick and roll. In difesa poi Whiteside è ottimo nel proteggere il ferro e Bosh non è secondo a nessuno nel fare la cosa giusta anche senza apparire negli highlights. Senza dimenticare che Winslow è già un ottimo prospetto anche dal punto di vista difensivo, per certi versi superiore al declinante Deng.

 

https://youtu.be/lWWXfJDmGek?t=15s

Il best case scenario prevede QUESTO Whiteside.



 

Tutto questo ovviamente prescinde dai tanti dubbi attorno al roster che potrebbero facilmente far naufragare tutto. La difesa della coppia Dragic-Wade dovrebbe ondeggiare da “appena decente” a “incubo”, e con il solo Winslow a dannarsi l’anima tra gli esterni, Whiteside rischia di versi arrivare gli avversari da ogni parte. Anche le spaziature potrebbero essere un problema, visto che nessuno degli esterni brilla nel tiro da tre. Singolarmente poi, a che livello potrà rendere Bosh dopo tanta inattività? E Wade quante partite sarà costretto a saltare per logorio fisico? E che Whiteside giocherà, quello dominante dell’ultima stagione o quello cancerogeno del resto della carriera?

 

Miami non è assolutamente una scommessa sicura, ma forse anche per questo è la mina vagante per eccellenza a est.

 





 



I Pelicans si presentano ai nastri di partenza dopo aver speso un quinto di miliardo di dollari per confermare una frontline che l’anno passato li ha portati solamente a essere la 22.esima difesa della lega.

 

Ovviamente nessuno ha osato perplimersi nemmeno un po’ di fronte alla firma di Anthony Davis per 145 milioni di dollari in 5 anni, e probabilmente nessuno avrebbe avuto da ridire nulla nemmeno se i soldi fossero stati il doppio. Il problema è che New Orleans aveva una succulenta occasione per rinforzare parecchio la squadra, e la presenza del Monociglio sembrava quantomeno essere un motivo di interesse per i free agent. Invece i Pellies hanno incatenato Asik con un sanguinoso contratto da 60 milioni di dollari in cinque anni—meno, ad esempio, di quanto prenda Robin Lopez a NY, uno che loro avevano sotto contratto in un passato nemmeno tanto remoto.

 

Sebbene il centro turco sia fortemente limitato in attacco, New Orleans spera di utilizzarlo per la maggior parte come protettore del ferro. Il fatto è che anche sotto quell’aspetto Asik è regredito parecchio, concedendo più del 51% al tiro al diretto avversario nei pressi del canestro (contro il 46.8% registrato nell’ultimo anno a Houston). A causa di quelle spesa e del rinnovo di Alexis Ajinca a 20 milioni in 4 anni, la squadra è stata completata con la sola aggiunta di Alonzo Gee, assolutamente insufficiente a farle fare il salto di qualità. La svolta più interessante però è certamente in panchina: Alvin Gentry riprende il ruolo di capo allenatore dopo le esperienze da vice e l’anello conquistato l’anno passato con Golden State.

 

https://youtu.be/-auYzCs9YyI

Già, e lo ha festeggiato con un messaggio inequivocabile.



 

Gentry è un allenatore di scuola D’Antoni, meno geniale del maestro, ma possibilmente molto più malleabile nella gestione di una panchina. Sarà interessante vedere quanti minuti Anthony Davis passerà a fare il centro in quintetti piccoli, con la capacità che ha sia di difendere qualunque posizione che di allargare il campo in attacco. Ma soprattutto gli occhi saranno puntati all’attacco, perché i Pelicans rischiano di essere una corazzata offensiva con pochi pari.

 

Già Holiday, Gordon ed Evans erano riusciti a dare solidi risultati dal punto di vista offensivo, specialmente il secondo, tornato ai fasti dei suoi giorni ai Clippers. Ma con la mano di Gentry la squadra potrebbe segnare sui 110 punti a partita

nelle giornate storte al tiro. Se gli infortuni non li frenano come stanno già iniziando a fare, una conferma serena ai playoff dell’anno scorso potrebbe essere nelle corde. Per il resto, tocca a AD.

 





 



“E ora vedremo se era veramente

”. Questo, senza troppi veli, è l’approccio di molti tifosi alla vigilia della prima palla a due, convinti che il cambio di panchina sia un test sufficiente per capire cosa è andato storto nelle ultime stagioni. La realtà è ovviamente più complessa. Ci sono stati infortuni, incomprensioni, sfighe assortite. Senza dimenticare, semplicemente, le partite giocate male. Ma, nella miriade di fattori in gioco, il cambio di allenatore è solo uno dei tanti, anche se quello più lampante.

 

Fred Hoiberg porta due cose: libertà d’azione in attacco e mentalità aziendalista con i piani alti, anche e soprattutto nel rispettare le restrizioni sui minuti. Due ingredienti che, nelle stagioni pur vincenti d Thibodeau, erano mancati. Ai giocatori godere di libertà ormai dimenticate, sia a livello tattico che di regime di lavoro, ha fatto piacere. Ma è troppo presto per valutare le conseguenze del nuovo approccio. Intanto, resta un gruppo profondo, ben assortito, con talento.

 

Gasol, dopo l’estate da dominatore a EuroBasket, ha fatto vedere di avere ancora cartucce da sparare. Noah pare fisicamente rinato. Butler è pronto all’ennesimo salto di qualità. E Rose, Se e Quando sano, rimane un’arma importante, anche se è utopistico aspettarsi che ritorni ai livelli di un tempo. Attorno ci sono giocatori con ruoli precisi ed esperienza. Se arrivano fisicamente integri la finale di conference è un obiettivo realistico. E anche arrivare oltre potrebbe non essere impossibile, a patto di colmare una differenza con i Cavs, che, lo scorso anno, è apparsa ben più netta del 2-4 finale.

 

https://youtu.be/KbPNM6t8Mmk

Anche se questo tiro ha cambiato tutto.



 

Resta la curiosità di valutare l’adattamento di un gruppo che, nel bene e nel male, sarà costretto a rivedere molti dei propri principi base ai due estremi del campo. Una sfida per certi versi strani per un nucleo che gioca assieme da tempo. E proprio per questo ancora più intrigante.

 





 



Per una squadra che nella scorsa stagione è arrivata all’incredibile traguardo delle 60 vittorie e il primo posto nella Eastern Conference, il fatto di trovarsi in questo tier ha il sapore dello sberleffo. Come se tutto quello che è successo fino a questo punto fosse una mosca bianca, una serie di fortunati eventi e fatalità che li hanno portati alla vetta. Ovviamente non è così, anzi la squadra di Budenholzer è probabilmente una delle meno soggette a questo tipo di caduta: hanno una forte identità di gioco, ma non per questo si chiudono nelle loro idee, e hanno un gruppo nel quale i giocatori più importanti entrano nel loro prime tecnico. Anche Kyle Korver, nonostante i 34 anni, sta migliorando con il passare del tempo, diventando sempre più centrale nel

anche tirando solo 8 volte a partita.

 

E allora come mai non li troviamo nel gruppo principale, quelli che come obiettivo hanno ben più del semplice passaggio del primo turno? Quanto fatto vedere sotto i tabelloni negli scorsi playoff contro una Cleveland incerottata non è stato certo di buon auspicio e la dirigenza (senza il dimissionario Danny Ferry,

) è corsa ai ripari prendendo quasi gratis Tiago Splitter da San Antonio, lungo con una storia clinica non certo eccelsa, ma tatticamente fatto dal sarto per giocare la pallacanestro di coach Bud, e quindi facilmente integrabile in un sistema ben rodato.

 

Nel momento in cui è arrivato il centro brasiliano, in free-agency hanno però dovuto dire addio a DeMarre Carroll, tassello fondamentale per le caratteristiche da perfetto 3 & D che gli hanno permesso di firmare un contratto da 60 milioni in 4 anni a Toronto e messo gli Hawks alle strette in cerca di un sostituto che non è mai stato trovato. Il suo posto verrà verosimilmente occupato da Thabo Sefolosha—alle prese con una stagione piuttosto pesante, sia dentro che

—in chiave difensiva e da Tim Hardaway Jr. in quella offensiva, ovvero due facce distinte di quella che lo scorso anno era una sola moneta.

 

Se i dubbi della scorsa stagione riguardavano l’assenza di un go-to-guy (nel quale si sta lentamente trasformando Jeff Teague), ora il grosso punto interrogativo riguarda il “quinto elemento”, il giocatore che deve chiudere le partite con Teague, Korver, Millsap e Horford.

 

Un ruolo che può essere ricoperto anche dalla crescita degli elementi più giovani—e in tal caso Dennis Schröder è tornato da EuroBasket con un carico di esperienza notevole—oppure sperando in una breakout season di quelli che fino a ieri erano considerati giocatori di contorno, come Kent Bazemore e Justin Holiday, che hanno le caratteristiche per essere i perfetti

nella corsa al sostituto-di-Carroll. Se riescono a superare questo ostacolo, per il primo tier ci sono anche loro.

 
 

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