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Chris Graythen/Getty Images
NBA Nicolò Ciuppani 5 luglio 2018 8'

Chi ha paura di Boogie Cousins?

Il passaggio di DeMarcus Cousins ai Golden State Warriors cambia davvero così tanto gli equilibri della NBA?

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La grande sorpresa di questa free agency, il colpo più inaspettato di tutti, è stata sicuramente la firma di DeMarcus Cousins con i Golden State Warriors.

 

Le voci di LeBron James ai Los Angeles Lakers erano ormai insistenti da più di un anno e persino il rinnovo di Paul George agli Oklahoma City Thunder non era un’ipotesi scartabile, ma 12 mesi fa (o anche solo 12 giorni fa) nessuno si sarebbe mai minimamente azzardato a pensare che la macchina da guerra di Golden State potesse arruolare nella sua falange un giocatore come Cousins.

 

E se le circostanze fossero normali non avrebbe mai neanche potuto farlo, ma così come per Kevin Durant anche la firma di Boogie è causa sia di scelte societarie di notevole successo, sia di una serie di congiunzioni astrali pressoché irripetibili. Fino a pochi mesi fa Boogie era al fianco di Anthony Davis a formare una frontline d’assalto senza eguali, e la produttività di Cousins era arrivata a livelli celestiali oltre che vincenti. Ma a mozzare sul nascere i sogni di guadagni facili per Boogie ci si è messa la sorte: prima facendo prosciugare il mercato in seguito all’aumento istantaneo del cap di due anni fa e a tutti quei contratti che ancora annegano mezza lega; poi per via dell’infortunio subito al tendine di Achille a fine gennaio, uno dei più devastanti per la carriera di un giocatore NBA; infine per via di una vera e propria invasione di centri nelle prime posizioni dell’ultimo Draft, che hanno fatto desistere molte delle squadre in fase di ricostruzione dal cercare il proprio lungo di riferimento in free agency.

L’ultima versione pre-infortunio.

 

Cousins aveva rifiutato una presunta ipotesi di rinnovo offertagli dai New Orleans Pelicans per due anni a 40 milioni totali, un’offerta che prima dell’infortunio poteva sembrare quasi offensiva, ma che era stata recapitata dopo il crack contro Houston (e che con il senno di poi avrebbe fatto bene ad accettare). Arrivati a lunedì sera, infatti, pare non ci fosse alcuna offerta sul suo piatto, e a quel punto Boogie ha chiamato il suo agente dicendogli di contattare tutte le squadre con una Mid Level a disposizione, incluse Golden State e Boston. I campioni in carica si sono dimostrati i più rapidi a premere il grilletto, formulando un’offerta e assicurandosi per la prossima stagione l’ex centro di Kings e Pelicans utilizzando la Tax Mid-Level Exception da 5.3 milioni.

 

Come ogni volta che Golden State opera sul mercato per rinforzare la propria squadra non manca una sollevazione popolare di sdegno e incredulità, invocando i bei tempi passati dove nessuna squadra ha mai dominato la NBA per più anni di seguito – ignorando (volontariamente o meno) tutte le dinastie che ormai ciclicamente appaiono in NBA una volta ogni 10 anni, o ignorando pure il fatto che 5 squadre su 30 detengono il 70% dei titoli della storia della lega.

 

La firma di Cousins ha richiamato episodi nefasti del passato, come il mancato passaggio di Chris Paul ai Lakers, un argomento su cui generalmente c’è un’ignoranza radicata e viene richiamato ogni volta per le motivazioni sbagliate, chiedendo alla lega di intervenire, probabilmente costringendo una delle 29 squadre che NON ha offerto per Cousins a farlo o a far finta che un free agent non possa liberamente andare a lavorare dove vuole.

 

Ma i più indignati per questa firma probabilmente non stanno considerando alcuni aspetti che ridimensionano notevolmente la questione: il contratto che è stato firmato e per quale motivo, lo stato di salute di Cousins e il fit tecnico con Golden State.

 

Le circostanze della firma

Partiamo da un presupposto: chiunque avrebbe potuto firmare DeMarcus Cousins questa estate offrendo quanto o più degli Warriors, ma nessuno – tolta Boston – ha deciso di farlo. Le dirigenze NBA non sono state colte da un abbaglio collettivo: il mercato dei centri è ristagnante e molte squadre sono più impegnate a disfarsi dei propri lunghi in esubero prima di iniziare a pensare a prenderne altri. Inoltre, la free agency del 2019 si annuncia molto interessante e molti stanno proponendo annuali proprio per provarci per giocatori più convincenti il prossimo anno. Inoltre, alcune squadre hanno una vera e propria “No DeMarcus Policy”, perché il carattere del lungo dell’Alabama non è sicuramente il più facile ed ammaliante in circolazione.

 

Conviene allora prendere in considerazione una per una le squadre che erano sotto il cap e avevano più soldi degli Warriors da poter offrire: alcune avevano trovato il loro centro titolare al Draft (Suns, Magic, Bulls); altre hanno preferito un altro giocatore (Dallas con DeAndre Jordan) e altre avevano ottimi motivi per non avere di nuovo un centro dal carattere non facile (Atlanta appena uscita da Dwight Howard e Sacramento proprio con lo stesso Cousins). Le altre, che potevano offrire lo stesso contratto di Golden State ma per più anni, hanno preferito puntare su contratti annuali ad altri giocatori, come Howard agli Washington Wizards o JaVale McGee ai Lakers. L’unica squadra che poteva sforare il proprio monte ingaggi per firmare Cousins erano proprio i Pelicans, che però dopo aver visto che Nikola Mirotic in coppia con Davis funziona molto bene, e dopo aver messo le mani su Julius Randle, non erano interessati a impegnarsi nuovamente con Cousins.

 

Boogie ha scelto una squadra da cui otterrà molto più di quello che riuscirà a dare: Golden State non avrà fretta di schierarlo in campo e potrebbe tranquillamente decidere di non farlo affatto se caratterialmente non dovesse funzionare, ma dato che il loro cap è pieno e avendolo firmato per un annuale, alla scadenza del prossimo contratto potrebbero offrire a DeMarcus solo il 120% del contratto attuale (ovvero 6.4 milioni di dollari) per un massimo di 4 anni, un totale inferiore ai 26 milioni totali, e se Cousins si ripresentasse nella sua versione dello scorso anno non avrebbe alcun interesse ad accettare un’offerta del genere. Quindi questo è, a tutti gli effetti, un affitto di un anno per un giocatore infortunato, una firma molto più simile ad un Deron Williams che fa il buyout a gennaio per andare nella contender di turno piuttosto che il Kevin Durant che cambia gli equilibri della lega.


Quattro giorni prima di infortunarsi, aveva prodotto questa tripla doppia qui.

 

L’infortunio

L’infortunio che ha subito Cousins è uno dei più devastanti che può affliggere un giocatore di pallacanestro, spesso riducendo le carriere a scialbi ricordi di un passato glorioso. Chi torna dalla rottura del tendine d’Achille ha un’esplosività e una capacità di salto molto inferiori rispetto al passato, rendendo quindi molto difficile battere gli avversari dal palleggio o scivolare per contenere una penetrazione avversaria. Tanto per citare due 28enni che hanno subito lo stesso infortunio: Elton Brand è passato da “animale da post basso” a “boa in mezzo all’area”, e potreste riuscire a convincermi che Wes Matthews non ha mai più saltato da quando è tornato in campo due anni fa. Anche Kobe Bryant (che però ha subito l’infortunio quando era ormai 34enne) ha visto la sua mobilità dimezzarsi di colpo.

 

Per quantificare il loro calo possiamo citare due statistiche di rendimento globali, il PER (Player Efficiency Rating) e il VORP (Value Over Replacement Player): Elton Brand è passato da 23 punti di PER e 5.5 di VORP a 14 di PER e -0.2 e VORP; Wes Matthews è passato da 16 e 3 a 10.9 e 1.1; e Kobe da 23.0 e 5.1 a 10.7 e -0.2. Facendo una rapida media tra tutti i giocatori che hanno subito questo infortunio negli ultimi 15 anni si ottiene un calo del PER di più della metà e di circa l’80% del VORP. Se Cousins dovesse subire lo stesso tracollo si assesterebbe su cifre simili a quelle di Jahlil Okafor o Ivica Zubac, non certo a quelle di un All-Star. Il dato più preoccupante, che per fortuna non sembra riguardare Cousins, è che i giocatori over 30 che hanno subito un infortunio hanno una media di solo 2 stagioni rimanenti prima del ritiro.

 

Quindi, a meno di aspettarsi un recupero senza precedenti di Cousins – e data la sua mole e la cura della sua forma fisica che era già sotto la soglia della sufficienza sarebbe un’ipotesi quantomeno irrealistica -, quello che Golden State si troverebbe a schierare potrebbe essere una versione molto rimaneggiata di uno dei centri con maggiore forza fisica e gioco frontale a canestro degli ultimi anni di NBA.

 

Il fit tecnico

Anche nell’ipotesi in cui l’infortunio non abbia risvolti devastanti su Boogie, occorrerebbe tenere a mente che il fit tecnico tra Golden State e il loro nuovo centro non appare immediato come teoricamente poteva esserlo per Durant. DeMarcus predilige il gioco fronte e spalle a canestro, prendendo la palla in post o in punta e fermando l’attacco per diversi secondi per scandagliare tutte le opzioni a disposizione. È un passatore poco reattivo e predilige giocare a ritmi bassi a metà campo, dove è sicuramente più devastante che in transizione a rincorrere avversari più piccoli e rapidi.

 

Inoltre il suo gioco è costellato di alcuni vizi di forma che in genere corrispondono a un divieto assoluto per il sistema di Golden State, specialmente nella metà campo difensiva. Cousins non è un difensore di squadra attento: risulta efficace se deve contenere il suo uomo in uno-contro-uno, ma perde spesso la percezione di dove sono gli avversari, trovandosi occasionalmente fuori posizione e senza l’interesse a voler rimediare. In transizione arriva sempre e solo a rimorchio, che può pure tornare bene dato che è pure sempre un tiratore da 34% da 3 punti, ma la sua presenza dovrebbe portare beneficio a rimbalzo offensivo, dato anche il suo strapotere nella categoria. Inoltre Cousins non rientra praticamente mai in transizione difensiva, preferendo spiegare la complessità dei propri sentimenti agli arbitri invece di correre rapidamente in difesa, costringendo spesso la propria squadra ad un 4-contro-5 in cui nell’inquadratura del League Pass non compare la decima figura per un numero allarmante di secondi.

 

La miglior versione di Cousins insomma non migliorerebbe la miglior versione di Golden State: i suoi punti di forza vengono raramente sfruttati nel gioco degli Warriors, che usa il post basso come mezzo per sbloccare i passaggi e i tagli e non come fine per concludere a canestro. Anzi, i suoi punti deboli sarebbero esattamente quelli che gli Warriors scelgono prioritariamente di evitare. E non c’è nemmeno bisogno di entrare nel discorso di falli tecnici e palle perse, cose in cui entrambe le parti sono maestre.

 

Ma il potenziale di mettere un giocatore come Cousins non può che stuzzicare Steve Kerr, permettendogli di aggiungere un’altra arma non-convenzionale al loro gioco e di cambiare le carte in tavola per tenere alta la concentrazione e l’interesse nello spogliatoio. Nella passata stagione Houston aveva messo alle corde i campioni con una versione estrema dello Small Ball, con P.J. Tucker a giocare da centro e Trevor Ariza a fare il 4 per marcare Durant, adottando una difesa switch-everything per navigare tra gli infiniti movimenti di Golden State e inibirli sul nascere. A questa tattica gli Warriors non avevano risposte pronte, non essendo riusciti ad approfittare del quintetto avversario per prendere più rimbalzi o per punire eventuali mismatch (che non c’erano, avendo tutti gli 8 giocatori in campo delle caratteristiche fisiche simili). Mettere Cousins sano a disposizione in quella situazione potrebbe voler dire banchettare su ogni rimbalzo in difesa e prendere a spallate tutti i mismatch fino a farli finire sotto al ferro.

 

L’affare insomma non è stato uno di quelli che cambia la competitività della NBA come in troppi hanno avuto fretta di dire, ma è una scommessa su un giocatore dal carattere complesso e reduce da un infortunio devastante che lo terrà fuori per tutto l’inizio della stagione. Se dovesse fallire Golden State potrebbe correre il rischio di mettere ancora più scompiglio in uno spogliatoio che aveva già dato i primi segni di stanchezza mentale durante l’anno scorso, ma se dovesse funzionare avrebbero a disposizione un’arma tattica ingestibile per chiunque.

 

In entrambi i casi Golden State il prossimo anno resta la squadra da battere e lo sarebbe stata anche senza Boogie. Per Cousins invece la prossima stagione è, più semplicemente, la più importante della sua carriera.

 

 

Tags : demarcus cousinsgolden state warriorsnba

Nicolò Ciuppani: parla di basket su Ball Don't Lie, ne scrive sul Buzzer Beater Blog e programma analytics per Chartside.

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