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I peggiori contratti dell’estate 2016
26 apr 2018
26 apr 2018
Come una singola estate ha legato le mani di buona parte della NBA, con effetti che si sentono ancora oggi.
(articolo)
19 min
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A differenza di quello che molti credono, specie quando invocano una presenza simile per risollevare le sorti dello sport italiano o almeno di alcune federazioni, la figura del Commissioner NBA è quanto di più lontano si possa immaginare da un comandante accentratore e autoritario. Si tratta al contrario di un autorevole negoziatore che si occupa di gestire gli interessi della parte sociale che gli assegna l’incarico, cioè i 30 proprietari delle franchigie, cercando di sembrare il più morbido, ragionevole ed illuminato possibile specie nei rapporti con la controparte, cioè i giocatori e la rispettiva associazione, che da quattro anni è guidata da Michelle Roberts, la prima e finora unica donna ad aver occupato questo ruolo nelle quattro leghe professionistiche statunitensi.

Adam Silver, quindi, non può nemmeno lontanamente fare ciò che gli pare o imporre la propria volontà, né tantomeno operare in base a cosa lui ritenga giusto. Per alcune questioni rispetta le decisioni dei proprietari espresse in base a maggioranza, a volte dei due terzi, per altre porta e rappresenta tale volontà in sede di trattativa con l’associazione giocatori, che a propria volta attraverso i propri responsabili e portavoce non si pongono necessariamente dalla parte della ragione, ma esclusivamente da quella supportata dal maggior numero di membri.

È questo il motivo, ad esempio, per cui l’orientamento della NBA è volto sempre più ad assicurare che i cosiddetti big markets - New York, Los Angeles, San Francisco, Chicago, Boston, Houston e Dallas - ridistribuiscano in maniera sempre più consistente una parte significativa dei propri introiti (ormai oltre il 25%) alle squadre meno ricche: i “poveri” rappresentano la maggioranza dei proprietari e quando si tratta di votare hanno vita piuttosto facile nel far prevalere i propri interessi.

Altro esempio: il motivo per cui non esiste diretta proporzionalità tra il rendimento e lo status dei giocatori e i contratti, e quindi Superstars e rookie risultano spesso sottopagati a vantaggio del ceto medio: la stragrande maggioranza della National Basketball Players Association è composta da giocatori a metà della propria carriera, che occupano ruoli più o meno rilevanti all’interno delle rispettive squadre, ma non di primissimo piano, e quindi il sistema è stato creato principalmente sulla base delle esigenze di questa categoria.

Praticamente tutto ciò che regolamenta l’NBA per come la conosciamo è contenuto nel Collective Bargaining Agreement, l’accordo stipulato tra Commissioner/proprietari e NBPA che nella sua forma attuale prevede che la somma degli stipendi di tutti i giocatori equivalga a una percentuale degli introiti complessivi della NBA, che si aggira intorno al 51%, con possibili piccole variazioni in funzione di alcuni parametri e risultati. Per quanto la suddivisione al 51% sembri giusta non ha quasi nulla a che fare con l’etica, così come il restante contenuto nel documento, ma semplicemente con i margini di trattativa che ciascuna delle due parti aveva e con le concessioni che è stata disposta a fare pur di ottenere un risultato finale soddisfacente. I calcoli sono decisamente complicati e anche la descrizione appena fatta è una semplificazione estrema, ma all’atto pratica questo significa che le cifre dei contratti di cui siamo a conoscenza rappresentano semplicemente un valore nominale, che alla fine di ogni stagione va riportato a quello corretto inserendolo in una proporzione che include la somma degli oltre 400 contratti nominali in essere e la somma prevista, cioè come detto il 51% degli introiti.

Se la somma dei valori nominali risulta superiore a quella prevista ai giocatori non verrà restituita, del tutto o in parte, la trattenuta (letteralmente caparra o acconto, dall’inglese escrow) del 10% che l’NBA raccoglie proprio in virtù di questo sistema; nel caso contrario ai giocatori spetta un extra, come fosse una tredicesima, oltre al recupero totale della trattenuta. Il Salary Cap viene fissato ogni anno in base alle previsioni riguardanti gli introiti per far sì che l’aggiustamento di fine stagione sia quanto più piccolo e marginale possibile, così da avere sempre sotto controllo la situazione economica della lega e proteggere i proprietari e le rispettive dirigenze da loro stessi, per evitare che spendano a caso e si trovino poi con le mani legate.

Tutta questa lunga e noiosissima premessa era doverosa per capire meglio cosa sia successo nell’estate del 2016, quando il Salary Cap è esploso passando da 70 a 94 milioni di dollari, o meglio nei mesi precedenti: alla firma del nuovo contratto collettivo televisivo la NBA si è trovata letteralmente travolta da una valanga di soldi, che come detto era automatico che si sarebbero per metà riversati nelle tasche dei giocatori.

Silver e i proprietari avevano proposto a Michelle Roberts una soluzione di cap smoothing, cioè di aumento graduale e non immediato del cap, che però non avrebbe intaccato in alcun modo la somma finale reale e prevista dal CBA, ma semplicemente assicurato a tutti i giocatori una “tredicesima” decisamente corposa (fino al 25% extra) per far tornare i conti. L’idea era di aggirare le formule di calcolo del cap per tenerlo basso in modo fittizio e assorbire l’incremento nell’arco di alcuni anni, così da garantire equilibrio tra i contratti firmati negli anni immediatamente precedenti e quelli che sarebbero arrivati da lì in avanti, con beneficio per tutti i giocatori in proporzione al proprio stipendio nominale.

Se la NBA ne avesse avuto la possibilità avrebbe quasi certamente imposto l’applicazione di questo sistema, ma non ha questo potere, quindi ha portato la proposta alla controparte e per motivi chiariti solo in apparenza la NBPA ha rifiutato all’unanimità. Sicuramente hanno votato contro dall’inizio tutti i free agent ragionando sul proprio tornaconto diretto, perché dividere una torta di soldi extra in 400 parti -ovverosia tutti i giocatori NBA - è ben diverso da doverla dividere in 100 parti -appunto, chi avrebbe firmato un contratto sotto il nuovo cap -, ma probabilmente almeno altrettanti giocatori ne hanno fatto una questione di principio e hanno temuto che i proprietari fossero in malafede, cioè che con un sistema diverso avrebbero potuto nascondere dei soldi in qualche modo o non dare quanto previsto o mettere in pratica non si sa quale altro artificio per fregarli.

Il risultato è noto: il cap è cresciuto naturalmente seguendo le proporzioni abituali, tutti hanno avuto spazio salariale da occupare, gli Warriors hanno preso Kevin Durant, i Celtics Al Horford, a quasi tutte le altre squadre è andata peggio, decisamente peggio o tremendamente peggio, perché come detto quasi tutto ciò che non è rookie scale o massimo dato a una Superstar costa caro se rapportato al rendimento e in free agency non si firma sostanzialmente altro che giocatori “strapagati”.

Che poi in realtà sono “strapagati” se si applica il criterio di proporzionalità diretta tra salario e rendimento che si è visto non esistere e che quindi non ha senso applicare. Infatti, nonostante l’apparente follia di alcune cifre nella scorsa stagione, la “tredicesima” dovuta ai giocatori è stata decisamente abbondante (7%), perché nell’offseason 2016 sono stati spesi solamente 750 circa dei 900 milioni di dollari ancora disponibili per salari di quella specifica stagione, e quindi la somma dei contratti nominali è risultata abbondantemente più bassa di quanto avrebbe dovuto essere.

Una falla però c’è quasi sempre in ogni sistema, anche in uno studiato nei minimi dettagli e perfezionato nel corso degli anni come quello NBA, e i proprietari non sempre vengono protetti da loro stessi. La mano non è scappata sulle cifre, ma è scappata sulle durate, con una valanga di accordi quadriennali che non avevano senso di esistere e che nelle prossime due estati - le ultime di normalizzazione prima che tutti i contratti esistenti siano firmati secondo i parametri della nuova era con cap nei dintorni dei 100 milioni e non secondo quelli della vecchia -, limiteranno enormemente lo spazio di manovra delle dirigenze. Il destino di una struttura di soft cap con tetto da rispettare, ma anche eccezioni per poterlo superare è quello di avere poche squadre con spazio a disposizione, come succedeva una decina di anni fa, ma il risveglio dopo anni di grandi disponibilità sarà brusco e a farne le spese saranno anche i giocatori che si ritroveranno free agent a breve, perché avranno molta meno possibilità di scelta, pochissime squadre con spazio libero e meno soldi in generale. E forse stanno rivalutando la scelta fatta al momento di votare contro la proposta di smoothing.

Con un impeccabile senno di poi, si può quindi provare a stilare un power ranking dei peggiori contratti firmati nell’estate 2016, suddivisi per fasce di pentimento da parte dei GM dell’epoca come fossero gironi infernali e valutati secondo tre categorie, da 1 (negativo) a 5 (disastroso):

Rendimento 2014-2016: ‍‍😱😱😱😱😱

Rendimento 2016-2018: 😭😭😭😭😭

Peso per la squadra: 💸💸💸💸💸

4° girone infernale: SPESSO CI SVEGLIAMO SUDATI

Andrew Nicholson: 26 milioni di dollari / 4 anni dagli Washington Wizards

Rendimento pre: 😱😱😱😱😱

Rendimento post: 😭😭😭😭😭

Peso: 💸

Probabilmente la cosa meno sensata di tutta l’estate, per un giocatore che non ha praticamente mai dimostrato nulla, né in potenza né di concreto, per poter stare in NBA. E infatti gli Wizards se ne sono pentiti dopo un paio di mesi, finendo per scaricarlo ai Nets, pagando per il disturbo. Poi è stato scaricato a Portland nello scambio in cui i Blazers hanno scaricato Crabbe e in seguito al taglio guadagnerà poco meno di 3 milioni di dollari l’anno fino al 2024, cui aggiungere le monete del popolo di cui lo omaggiano in questo momento i Guangdong Southern Tigers.

Harrison Barnes: 94.4/4 (Max) dai Dallas Mavericks

Rendimento pre: 😱

Rendimento post: 😭😭

Peso: 💸💸

Per i Mavs era obbligatorio provare ad assicurare un’uscita di scena competitiva a Dirk Nowitzki ed era pressoché obbligatorio firmare Barnes, costasse quel che costasse. Ovviamente non vale il massimo salariale, ma è un giocatore dignitoso e un buon titolare, adatto a diversi contesti. Dallas a questo punto non ha fretta e avrà comunque spazio sotto il cap, quindi il contratto di the Black Falcon (ma c’è ancora qualcuno che lo chiama così?) non ha fatto grossi danni, pur essendo comunque brutto.

Matthew Dellavedova: 38/4 dai Milwaukee Bucks

Rendimento pre: 😱😱

Rendimento post: 😭😭😭

Peso: 💸💸

Se questo pezzo fosse stato scritto una settimana fa ci sarebbe stato qualche facepalm, cestino e banconota volante in più, ma poi coach Joe Prunty si è reso conto che si poteva almeno provare a giocare la serie contro i Celtics e che sarebbe stato meglio chiudere l’aeroplanino di Jason Terry in un hangar senza via di uscita. Nei 54 minuti in cui Delly è stato in campo nella serie finora il parziale a favore dei Bucks è di 120-104. Però ci sono altre 82 partite in cui ha principalmente sventolato asciugamani in panchina, anche se non solo per colpa sua.

Il giorno in cui Delly ha dominato una partita di Finale.

Nicolas Batum: 120/5 dagli Charlotte Hornets

Rendimento pre: 😱

Rendimento post: 😭😭😭

Peso: 💸💸💸💸

Rendimento in calo da ormai quattro stagioni, con pochi picchi e al limite della sufficienza. Non è certamente colpa solo del suo stipendio, ma Charlotte ha le mani legatissime, quasi nulle possibilità di migliorare la squadra e prospettive ben poco felici, con la free agency di Kemba Walker a 14 mesi di distanza. Gli Hornets che gli hanno esteso il contratto, e con il suo quelli di Marvin Williams e Michael Kidd-Gilchrist, uscivano però da una stagione da 48 vittorie: impensabile che in quel momento una squadra non certo di primo piano non scegliesse la via della continuità.

Jon Leuer: 42/4 dai Detroit Pistons

Rendimento pre: 😱😱😱

Rendimento post:😭😭😭

Peso: 💸💸💸

Vedi Batum e Charlotte per la situazione salariale della squadra: nella scorsa stagione è stato tutto sommato discreto, in questa si è dovuto operare alla caviglia sinistra e ha giocato 8 partite e 136 minuti in tutto, guadagnando 77.000 dollari per minuto. La giuria è ancora in camera di consiglio, se non altro il contratto è a scendere e sembrerà meno antipatico.

3° girone infernale: ALMENO GIOCA. È UNA COSA POSITIVA, NO?

Bismack Biyombo: 72/4 dagli Orlando Magic

Rendimento pre: 😱😱

Rendimento post: 😭😭😭😭

Peso: 💸💸💸

Chi si ricorda di Jerome “Sexy” James? Il soprannome dice molto e nel suo caso più che al rendimento l’ingaggio che ricevette dai Knicks era direttamente proporzionale ad altro, ma per il resto la sua storia somiglia molto a quella del Congolese dei Magic. Il grande rendimento ai playoff in corrispondenza della free agency, nel 2005 contro Kings e Spurs per James e nel 2016 contro Heat e Cavs per Biyombo, si è trasformato in una vittoria alla lotteria. Esistono i contract years, qui siamo di fronte a due contract months. Biyombo in una squadra presentabile comunque può essere ancora più che utile, basta non chiedergli di fare troppo.

Tra le poche cose buone fatte in questi anni, gli Orlando Magic ci hanno regalato questa perla.

Ian Mahinmi: 64/4 dagli Washington Wizards

Rendimento pre: 😱

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Peso: 💸💸💸💸

A proposito di contract year: nel 2016 Mahinmi era in grande crescita e da ancora difensiva dei Pacers pareva potersi trasformare in giocatore di impatto positivo anche in attacco. Parecchi infortuni e la difficile convivenza con Gortat hanno (ri)trasformato lui in un comprimario e il suo contratto in una zavorra notevole per una squadra che avrebbe disperatamente bisogno di aiuto e che ha avuto un’unica chance per aggiungere un rinforzo. A pensarci bene comunque il Mahinmi di due anni fa non è Kevin Durant e nemmeno Al Horford, i due obiettivi più o meno realistici degli Wizards in quell’estate, ma potrebbe essere più che sufficiente per garantire un po’ di stabilità.

Meyers Leonard: 41/4 dai Portland Trail Blazers

Rendimento pre: 😱😱😱😱

Rendimento post: 😭😭😭😭

Peso: 💸💸💸💸

Allen Crabbe: 75/4 dai Portland Trail Blazers

Rendimento pre: 😱😱

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Peso: 💸💸💸💸

Evan Turner: 70/4 sempre dai Portland Trail Blazers

Rendimento pre: 😱😱

Rendimento post: 😭😭😭😭

Peso: 💸💸💸💸💸

Il Portland Trail Blazers special, che nel 2016 erano arrivati al secondo turno dei playoff sconfitti 4-1 dagli Warriors dopo aver eliminato i Clippers, e quindi hanno deciso di rilanciare e giocarsela fino in fondo. Leonard ancora non si è capito cosa sia, e salvo sempre più rari e isolati spunti sta cadendo lentamente e inesorabilmente ai margini della rotazione dei lunghi di Terry Stotts e forse anche dell’intera lega. Però al momento del rinnovo aveva 24 anni ed è raro che le squadre NBA mettano una pietra sopra a giocatori che possono avere potenziale inespresso al termine del contratto da rookie.

Crabbe è una discreta quarta opzione offensiva, ma nulla più. Era restricted free agent, i Nets lo hanno riempito di soldi, Portland si è sentita in dovere di pareggiare per non perdere un asset in cambio di nulla, perché trovandosi già sopra il cap non avrebbe potuto sostituirlo. Turner usciva da una stagione positiva a Boston, la prima e unica della carriera (altro contract year alert), e poteva anche dare l’impressione di essere un buon complemento per Lillard e McCollum, anche se poi in realtà fa male tutto ciò che sembra poter far bene e peggio tutto il resto.

Presi singolarmente questi tre contratti possono essere vagamente difesi, anche se a fatica e facendo presente che forse non era così obbligatorio dare contratti di quattro anni a tutti. A sconvolgere però è che siano arrivati tutti insieme, all’interno di un circolo vizioso per cui ogni mossa assottiglia ancora di più il margine di manovra e rende quindi più giustificabili e quasi obbligatorie le altre, perché quella sarebbe stata l’ultima occasione e negli anni seguenti non ci sarebbe stato altro modo di aggiungere altro talento. Crabbe e Turner sono giocatori estremamente diversi e per certi versi forse complementari, ma resta il fatto che avrebbero dovuto occupare lo stesso ruolo all’interno del roster, cioè quello del 3 titolare, quindi averli entrambi significava relegare 17 milioni in panchina dal primo giorno. E questo prima ancora di ricordare che dopo aver tenuto Crabbe a quelle condizioni per evitare di perderlo a zero, i Blazers per poterlo scaricare e alleggerire la propria situazione in ottica luxury tax hanno dovuto assorbire Nicholson (vedi sopra), quindi in estrema sintesi per non perdere Crabbe in cambio di nulla lo hanno perso spendendo 3 milioni all’anno per i prossimi 6 anni.

E Turner è una sciagura.

E Leonard non esiste.

E non c’è prospettiva di spazio salariale fino all’estate del 2020, che sarà l’ultima prima della scadenza dei contratti di Lillard e McCollum, ammesso che restino entrambi. La bastonata subita ad opera dei Pelicans ha solo acceso un occhio di bue sulla situazione, ma che fosse complicata non è certo una novità.

2° girone: AL QUINTO NEGRONI SEMBRAVA AVESSE SENSO. E COMUNQUE STAVAMO TROLLANDO

Miles Plumlee: 50/4 dai Milwaukee Bucks

Rendimento pre: 😱😱😱😱😱

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A volte il contract year ha effetto in differita. L’unica stagione dignitosa del Plumlee meno giovane e che forse avrebbe vagamente potuto giustificare questo contratto (se ripetuta ogni anno) risale al 2014, a Phoenix. Dopo più nulla, ma questo non ha impedito ai Milwaukee Bucks di fare asta contro se stessi pur di tenere a roster qualcosa che assomigliasse alla controfigura sbiadita di un lungo presentabile, perché altri contendenti non c’erano, tantomeno a questo prezzo. Dopo pochi mesi è stato ceduto a Charlotte per i personaggi non giocanti con le sembianze di Roy Hibbert e Spencer Hawes; nella scorsa offseason è finito ad Atlanta in cambio di Dwight Howard e in qualche modo, non si sa come, data la situazione degli Hawks il suo contratto risulta solo vagamente antipatico e non disastroso.

Chandler Parsons: 94,4/4 (Max) dai Memphis Grizzlies

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Anche i Grizzlies hanno avuto in pratica una sola chance, in questo caso per rendere morbida e indolore la transizione dall’era del Grit n’ Grind di Lionel Hollins e Dave Joerger al basket più moderno di David Fizdale. E hanno preso il rischio più grande presente sul mercato, consci del fatto che le alternative avrebbero in pratica solo appesantito il cap, senza dare alla squadra ciò di cui aveva bisogno, ma anche che se fosse andata male sarebbe andata veramente male. Vedere Parsons deambulare a fatica per stare in campo meno del 20% dei minuti disponibili è quasi straziante, ma in alcune situazioni è pressoché obbligatorio provare a smuovere qualcosa a qualsiasi condizione, perché l’eccessiva cautela non porta mai risultati.

Il contratto è chiaramente il peggiore dell’intera offseason e forse non solo, ma scavando sufficientemente a fondo si può anche provare a capire per quale motivo Memphis abbia scelto questa strada.

1° girone: CI HANNO HACKERATO L’ACCOUNT, SIAMO STATI FRAINTESI E LO ABBIAMO FIRMATO A NOSTRA INSAPUTA

Timofey Mozgov: 64/4 dai Los Angeles Lakers

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L’inglese è una lingua molto diretta ed efficace e riesce a rendere con una o due parole concetti che in italiano richiedono espressioni più complesse. Nel caso di Mozgov, ottimo nel 2015 a Cleveland con momenti da salvatore della patria ma in calo evidente nella stagione successiva, i Lakers ancora guidati da Mitch Kupchak e Jim Buss quasi certamente outsmarted themselves, cioè hanno reso complicato e profondo un ragionamento che poteva essere molto più elementare, pensando di prendere vantaggio rispetto alla concorrenza e risultare, appunto, più furbi, ma finendo col complicarsi la vita da soli. Perché dare un contratto simile a Mozgov pochissimi minuti dopo l’apertura del mercato significa aver deciso che serviva un lungo, aver arbitrariamente scartato le circa cinque o sei opzioni migliori per evitare di restare invischiati in aste e aver accolto la candidatura del primo giocatore disposto ad accontentarsi (...) di quel contratto, senza contare gli effetti collaterali sul resto del mercato, perché questo accordo è stato poi utilizzato come parametro per tutti gli altri, risultando il Peccato Originale che da senso a questo articolo. Il modo in cui la nuova dirigenza guidata da Magic Johnson e Rob Pelinka è riuscito a uscirne è un referendum sul valore di D’Angelo Russell che per ora pare risultare vincente, ma il danno a monte resta eccome.

Il dubbio è se i Cavs stessero festeggiando l'anello appena consegnato o il contratto appena firmato.

Luol Deng: 72/4 sempre dai Los Angeles Lakers

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Probabilmente il quadriennale più inspiegabile di tutti dato il chilometraggio, anche se a Miami nelle due stagioni precedenti era stato più che competente. Luol Deng in maglia Lakers è stato prima troppo scarso, poi fuori condizione, poi messo in disparte, poi ha perso motivazione e poi è stato direttamente lasciato a casa, fino al raggiungimento del magnifico traguardo che lo ha visto giocare una singola partita delle ultime 82, per 13 minuti, nonostante fosse sempre disponibile e in condizione di scendere in campo. A 18 milioni di salario significa 1,4 milioni per minuto giocato. E restano altri due anni di accordo, anche se nel caso dovesse servire i Lakers sono pronti a tagliarlo e strechare il suo contratto per firmare uno o due free agent di peso, nella speranza che non ci sia bisogno di cedere un (altro) giovane di valore per scaricarlo altrove. La definizione da manifesto dell’espressione dead money: mai soldi per portare un veterano in uno spogliatoio giovane sono stati spesi peggio.

Joakim Noah: 72.6/4 dai New York Knicks

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O forse il quadriennale più inspiegabile è questo, perché il chilometraggio è all’incirca lo stesso di Deng, ma nelle ultime due stagioni a Chicago si iniziavano a vedere in modo abbastanza evidente le prime crepe. Uno degli ultimi capolavori della gestione Phil Jackson, che poi ha lasciato la guida dei Knicks nelle sapienti mani che hanno riportato a New York con un contratto quasi altrettanto folle Tim Hardaway Jr., ma questa è un’altra storia. Con 40 minuti giocati da ottobre a oggi non ha guadagnato nemmeno 500.000 dollari al minuto, una miseria rispetto a Deng, ma si fa preferire per gli spiccioli in più sull’ammontare complessivo, per gli infortuni, per la squalifica di 20 partite per essere risultato positivo a una sostanza vietata e per aver quasi messo le mani al collo del suo allenatore. Non è chiaro se ci siano i margini per arrivare ad un buyout in breve termine, quel che è certo è che nella free agency 2019 i Knicks avrebbero volentieri fatto a meno di trovarsi con spazio occupato da un peso morto che si è tinto la barba di giallo. E a due anni pieni di distanza non si capisce in alcun modo quale possa essere stato il ragionamento dietro questa firma, a meno di non aver smesso di seguire Noah nel 2014.

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