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Chi si gioca di più a Orlando
10 lug 2020
10 lug 2020
Come la bolla di Disney World può cambiare le carriere di giocatori e allenatori coinvolti.
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Quando l’anno scorso proprio in questo periodo i Toronto Raptors sconfiggevano nelle Finals gli ammaccati Golden State Warriors, frantumando nei fatti la dinastia che aveva caratterizzato l’ultimo lustro, sapevamo già che le cose non sarebbero state più come prima. Anche perché poco dopo la free agency avrebbe ulteriormente scombinato i rapporti di forza, con Anthony Davis a raggiungere LeBron James in una parte di Los Angeles e Kawhi Leonard e Paul George a unirsi nell’altra.

Ma obiettivamente nessuno, neanche i Maya, si sarebbe mai aspettato uno stop di oltre quattro mesi causato da una pandemia globale e un titolo assegnato a Disney World. L’assurdità della situazione non deve però farci dimenticare che ad Orlando si giocherà davvero per un titolo NBA e, nonostante tutti gli asterischi che si vorranno aggiungere, rimane un traguardo che chiunque scenderà in campo vorrà conquistare non solo per portare a degna conclusione questa stagione, ma anche come punto di svolta della propria carriera.

Ora che siamo finalmente nella bolla possiamo leggere insieme il menù di cosa ci aspetterà.

https://twitter.com/BleacherReport/status/1281455657112109058

LeBron James

Chi non ha mai messo in dubbio la sua presenza nella bolla di Orlando è LeBron James. "Il Re" ha continuato ad allenarsi duramente anche la pausa, come confermato dalle foto fatte circolare sui social che hanno bullizzato chi durante il lockdown era orgoglioso di aver imparato a fare il pane in casa. James è ben conscio che nonostante sia ancora in perfetta forma, a 35 anni e dopo 17 stagioni in NBA inevitabilmente non potrà reggere lo stesso ritmo di qualche tempo fa mettendo a repentaglio le sue possibilità rimaste di raggiungere un ulteriore titolo.

https://twitter.com/BleacherReport/status/1279980576934510599

Che il Taco Tuesday fosse una truffa?

Se la prima stagione di LeBron a Los Angeles è finita prima del previsto, saltando la post-season come non succedeva dal 2006, questa sarà giocoforza la più lunga della sua carriera e forse il riposo extra della scorsa estate potrebbe tornare utile. I Lakers hanno uno dei calendari più difficili nelle otto partite prima dei playoff, dovendo affrontare in sequenza Clippers, Raptors, Jazz, Thunder, Rockets, Pacers, Nuggets e Kings in prelibati antipasti per quelli che saranno poi i turni massacranti per arrivare alle Finals. Il vantaggio di cinque partite e mezzo accumulato finora sui cugini dei Clippers non dovrebbe rendere però troppo competitivo il finale di stagione regolare, anche perché il fattore campo nell’eventuale finale contro Milwaukee sarebbe neutralizzato dalla bolla di Disney World. Quindi per i gialloviola il compito primario a Orlando sarà quello di ritrovare la chimica mostrata a marzo ed inserire i nuovi arrivi, J.R. Smith e Dion Waiters tra tutti.

A dieci anni dalla Decision di andare a Miami, LeBron ha ancora in mano le chiavi della lega e, come ha dimostrato nelle ultime partite prima della sosta contro diretti concorrenti come Bucks e Clippers, quando il gioco si fa duro è lui a dettar legge. E in una stagione assurda, funestata dalla scomparsa di Kobe Bryant e caratterizzata dal successo planetario di The Last Dance, siamo sicuri che troverà delle motivazioni extra.




Giannis Antetokounmpo

Non sono usciti molti dettagli su come Giannis abbia trascorso questo lungo periodo di inattività forzata, ma è sicuro che il pensiero sia rimasto fisso al Larry O’Brien Trophy. Nell’intervista concessa pochi giorni fa, la prima da aprile, ha fatto capire tra le righe come l’idea di non tornare in campo per finire la stagione non gli sia neanche passata per la testa. E non possiamo certo biasimarlo: i suoi Bucks sono per distacco la migliore squadra di questa stagione regolare e, numeri alla mano, una delle migliori di sempre, volando a Orlando con la concreta possibilità di coronare i propri sogni di gloria.

Milwaukee sarà quasi certamente la prima testa di serie durante tutti i playoff, per quanto questo possa contare nella bolla di Disney World, e al primo turno potrebbe affrontare la squadra di Summer League dei Nets. Una iniziale passeggiata di salute che però potrebbe rivelare numerose insidie, non tanto per l’ardore degli sparring partners, ma perché i Bucks avranno sulle spalle il peso delle aspettative che esistono su di loro. E doverle rispettare in un contesto imprevedibile potrebbe regalare delle sorprese.

L’anno scorso i Raptors hanno neutralizzato l’impatto di Antetokounmpo nelle partite chiave della serie, tenendolo a soli 20.5 punti di media nelle ultime quattro sfide che hanno ribaltato a sorpresa le finali della Eastern Conference. Quest’anno Giannis ha ulteriormente alzato il suo livello di gioco, e con lui la squadra, che ha macinato avversari a un ritmo infernale.

Antetokounmpo arriva in Florida da MVP in carica e molto probabilmente verrà riconfermato come migliore giocatore in NBA anche per l’attuale stagione. È entrato in una fase della propria carriera nella quale non può più permettersi errori nei playoff, e ogni eventuale passo falso verrà scrutinato con una severità alla quale ancora non è stato abituato. Per uno spirito competitivo come quello del greco, questa dovrebbe essere ulteriore benzina in vista dei mesi più duri della sua carriera da professionista.

https://twitter.com/Giannis_An34/status/1281376046777094144

Giannis pronto a tornare al lavoro.




Kawhi Leonard

Un altro protagonista che è restato in silenzio per tutta la durata del lockdown è ovviamente Kawhi Leonard, del quale sappiamo sempre poco o nulla, sia della sua attività fuori dal campo, sia di come si sta preparando per tornare a giocare (l’unica notizia è che non ha viaggiato coi Clippers per problemi familiari, ma è atteso nei prossimi giorni).

Grazie al velo di mistero che lo circonda, Leonard è riuscito a evitare le continue domande dei giornalisti e i riflettori dei social, creando un personaggio inscalfibile, ingiudicabile. Nessuno sa cosa faccia nel periodo tra una partita e l’altra, se lo passa a vedere le partite di Jordan su YouTube come faceva al college o se rimane chiuso nel privé di uno strip club di Los Angeles. La bolla di Orlando forse ci aiuterà a rispondere a questo interrogativo, con i giocatori in una specie di Grande Fratello con le orecchie di Topolino.

Su Leonard però pendono punti interrogativi ben più pressanti della sua vita mondana, e la maggior parte sono legati alla sua condizione fisica. Nonostante abbia elevato il concetto di Load Management a un’arte zen, la tenuta di Leonard nelle durissime sfide di playoff è tutta da valutare. In teoria lo stop dovrebbe averlo aiutato a ricaricare le pile, ma allo stesso modo la sua muscolatura potrebbe risentire di un periodo così prolungato lontano dai campi di gioco.

Inoltre dopo le prestazioni eroiche degli scorsi playoff, quest’anno tutti lo aspetteranno al varco e lui dovrà dimostrare che lasciare una squadra con la quale aveva appena vinto un titolo sia stata la decisione giusta. In estate Leonard è stato per la prima volta libero di disporre per la propria carriera e ha scelto di andare nella sponda meno rinomata di Los Angeles, di prendere Paul George come suo scudiero e di rifiutare la corte di LeBron & AD. A Disney World proverà a fare ciò che non è mai riuscito a nessun altro prima d’ora: portare i Clippers sul tetto del mondo. Attenzione però che la finestra della squadra losangelina è più stretta di quanto si pensi: sia Leonard che George possono uscire dai rispettivi contratti nell’estate del 2021 e la franchigia non ha pick al primo giro fino al 2027. È tempo che Leonard esca dal letargo.




Houston Rockets

Tra tutte le squadre che arriveranno a Orlando poche hanno meno da perdere rispetto agli Houston Rockets. Il loro stile di gioco aumenta a tal punto l’entropia e la variabilità dei risultati che possono davvero battere e perdere contro chiunque in ogni partita. Con la trade che ha sostituito Robert Covington a Clint Capela i Rockets hanno trovato un ulteriore modo per estremizzare sempre più la loro filosofia di gioco, rimanendo un passo avanti a tutte le altre squadre nel percorso evolutivo dello small ball. Questa versione Morey del paradosso di Achille e la tartaruga si giocherà le sue chance cosciente della propria unicità.

I Rockets sono però anche una squadra ad altissimo rischio di deflagrazione, visto che sia Mike D’Antoni che lo stesso Morey potrebbero essere all’ultima esperienza alla corte di Tilman Fertitta. Inoltre Westbrook e Harden sono, agli occhi del pubblico, l’accoppiata dei peggiori performer ai playoff tra le superstar NBA attuali, visto che in passato non sono riusciti ad esprimersi al livello delle stagioni regolari, finendo per non vincere mai niente né a ritornare alle Finals dopo quelle del 2012 con Durant.

Nel vuoto metafisico di Disney World, liberi da eccessive pressioni e distrazioni lontano dal campo, potrebbero infilare finalmente quella serie di partite in cui tutto gira a loro favore. Harden si dice essere in forma smagliante grazie allo yoga e alla dieta; Westbrook da centro sembra aver trovato una nuova giovinezza senza doversi preoccupare di gestire un attacco da solo. Inoltre i Rockets hanno sfruttato questo periodo per far riposare l’indispensabile P.J. Tucker, spiegare a Covington come inserirsi nel sistema di gioco unico di Houston e provare a rendere nuovamente presentabile Eric Gordon dal punto di vista fisico. E se questi playoff saranno un lancio della monetina, forse per una volta la fortuna potrebbe arridere a questa versione corsara dei Rockets.




Rudy Gobert

Ricordiamo tutti la conferenza stampa nella quale Gobert, facendo una stupida ironia su un virus che ancora non conoscevamo, si è messo a toccare ogni microfono davanti a lui. Subito dopo, per i più beffardi dei contrappassi, Gobert è diventato il primo atleta in NBA trovato positivo fermando l’intera lega, forse salvandola da un disastro ancora più grave.

L'ormai famoso video di Gobert in conferenza stampa.

Ciò che invece non è riuscito a salvare è stato il suo rapporto con Donovan Mitchell, l’altra stella dei Jazz positiva al coronavirus. Immediatamente dopo l’incidente e la sospensione della stagione, i due hanno smesso di parlarsi per un mese se non attraverso frecciatine per mezzo stampa, scoccate specialmente da Mitchell. I due non hanno mai avuto un particolare feeling l’uno per l’altro, con Gobert geloso delle attenzioni mediatiche verso Mitchell e dei troppi possessi nelle mani del primo solista dei Jazz. Una frustrazione che, scaricata poi sul numero 45, ha eroso man mano quel terreno di fiducia reciproca sull’asse play-pivot.

In un recente pezzo su ESPN, il francese si è preso tutte le responsabilità dicendo che durante la quarantena i due si sono chiariti e, sebbene non recupereranno mai un rapporto idilliaco, sono entrambi concentrati sul vincere il titolo ad Orlando. Però dietro le dichiarazioni di facciata si nasconde un grosso problema per gli Utah Jazz, che si presentano a Orlando senza il loro secondo miglior realizzatore, Bojan Bogdanovic, fuori per un intervento al polso. I Jazz avevano iniziato la stagione con grandi aspettative, visti gli innesti di Mike Conley e il sopracitato Bogdanovic, ma la nuova struttura del roster non ha mai trovato la giusta quadra se non per un periodo fortunato del calendario da 19-2. Soprattutto, sembrano aver perso la loro identità difensiva ancorata alla presenza nel pitturato di Gobert, scendendo al decimo posto per Defensive Rating dopo anni sul podio.

A Orlando Gobert girerà con una lettera scarlatta da untore sulla maglia e dovrà invertire la narrazione che lo vede abbassare il suo impatto durante i playoff. In autunno sarà eleggibile per il supermax senza il quale diventerà unrestrited free agent nel 2021 e i Jazz dovranno scegliere se spendere su di lui tutti quei soldi dopo che prevedibilmente estenderanno Mitchell dopo il suo contratto da Rookie. E se davvero i tempi di Gobert in Utah sono finiti, una prestazione di livello a Disney World potrebbe indurre altre squadre a ricoprirlo d’oro.




Nick Nurse

Buona parte dei Raptors hanno dovuto fare due quarantene consecutive: la prima per tornare in Canada e la seconda per riscendere verso la Florida, dove sono rimasti accampati per giorni nel campus di Florida Gulf Coast University in attesa dell’apertura della bolla ufficiale. I campioni in carica sono al momento al secondo posto della Eastern Conference dietro Milwaukee con tre partite di vantaggio sui Boston Celtics, una posizione piuttosto comoda da difendere nelle prime partite della ripartenza.

In pochi si sarebbero aspettati di trovarli così in alto in questo punto della stagione (o che ci fosse ancora una stagione in piena estate), ma come lo scorso anno i Raptors hanno nuovamente superato le aspettative, diventando a questo punto una seria pretendente al rimanere sul trono della costa orientale. Le assenze a turno di Pascal Siakam, Kyle Lowry, Fred VanVleet e Marc Gasol, unite alle partenze estive di Danny Green e Kawhi Leonard, non hanno minimamente rallentato l’impressionante marcia dei ragazzi di Nick Nurse.

I Raptors hanno dimostrato di possedere una chimica di squadra superiore a tutte le altre formazioni in campo e di saper sopperire alle continue assenze inventandosi dal nulla giocatori funzionali al loro sistema. Una profondità e qualità di roster che potrebbe tornare molto utile a Orlando, nel caso qualche giocatore dovesse essere trovato positivo al COVID-19 e fermato per l’isolamento individuale.

Riuscire a confermare l’incredibile titolo dello scorso anno è impresa davvero complicata, ma anche solo far sudare le proverbiali sette camicie alle favorite renderebbe merito all’abilità strategica di Nick Nurse, a oggi tra i migliori coach della lega dopo neanche due stagioni da capo-allenatore. Arrivato in sordina e tra molti dubbi, Nurse è diventato il valore aggiunto della squadra costruita da Masai Ujiri, spolverando schemi da allenatore liceale e valorizzando anche l’ultimo portaborracce in panchina. E non ditegli che questo titolo non conta: come ha sottolineato in una recente intervista, lo vorrebbe vincere anche se avesse decine di asterischi dietro.




Zion Williamson & Ja Morant

Tra le molte legacy che si decideranno a Disney World, tra grandi campioni alla ricerca dell’ennesimo titolo o tentativi di redenzione tra le montagne russe, ce ne sono due che sono pronte in rampa di lancio. Stiamo parlando ovviamente di quelle di Zion Williamson e Ja Morant, rispettivamente la prima e la seconda scelta dello scorso Draft, le cui squadre sono rispettivamente decima e ottava nella Western Conference.

La lotta per l’ultimo posto disponibile è l’unica vera attrazione delle ultime otto partite della stagione regolare e anche la ragione del formato, oltre che permettere ai giocatori di tornare in forma. I più maligni sostengono che è tutto un complotto per portare Zion ai playoff in un’affascinante serie contro LeBron e i Lakers. In realtà non sarà così semplice per i Pelicans superare sia Memphis che Portland, le due squadre che la precedono: se Portland ha lo stesso record di New Orleans e i rientranti Nurkic e Collins da poter schierare, è Memphis l’osso più duro da superare.

I Grizzlies sono la sorpresa della stagione: un gruppo di giovani allenati alla perfezione da Taylor Jenkins e guidati dall'esplosività di Ja Morant, il prossimo Rookie dell’anno. Morant è riuscito ad imporsi sia nell’immaginario degli appassionati (con poster realizzati o tentati in grado di riscrivere le leggi della fisica) che nella competitivissima Western Conference, dove Memphis galleggia poco sotto la fatidica quota .500 (il record attuale è 32-33). Arrivare ai playoff per una squadra così giovane e inesperta sarebbe un risultato straordinario e consoliderebbe l’ottimo lavoro di ricostruzione della franchigia del Tennessee.

https://twitter.com/JaMorant/status/1278378186502549504

Due ragazzi del South Carolina.

Ma Morant dovrà guardarsi in queste ultime partite dal suo vecchio compagno di AAU Zion Williamson, che da quando è sceso in campo ha trasformato New Orleans da una squadra da lottery in una da playoff. I Pelicans avranno il calendario più facile e basterà superare Portland per garantirsi l’accesso al torneo play-in tra l’ottava e la nona classificata. Due possibili partite per decidere gli sfidanti dei Lakers, ma soprattutto due battaglie tra Zion e Ja per accendere una rivalità che potrebbe definire il prossimo decennio cestistico.




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