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Eric Espada/Getty Images
NBA Dario Vismara 31 marzo 2022 8'

Ora Miami non può più nascondersi

Dopo lo scontro tra Jimmy Butler ed Erik Spoelstra, gli occhi della NBA sono puntati sugli Heat.

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Il 4 gennaio 2019 Jimmy Butler era arrivato da meno di due mesi ai Philadelphia 76ers, dopo aver fatto il diavolo a quattro per potersi liberare dai Minnesota Timberwolves ed essere ceduto a una contender. Eppure, abbastanza dal nulla, su ESPN uscì un pezzo incendiario nel quale veniva raccontato come Butler avesse già “sfidato aggressivamente” l’allora allenatore dei Sixers Brett Brown, lamentandosi del suo ruolo all’interno dell’attacco in una sessione video che alcuni testimoni definirono come “irrispettoso” e “oltre i normali discorsi tra giocatore e allenatore”.

 

Da quel momento in poi, almeno pubblicamente, il ruolo da antagonista di Butler è tornato nei ranghi, come se aver fatto uscire quelle voci — in un momento storico in cui l’All-Star era ancora visto come quello-che-aveva-appena-piantato-un-casino-a-Minneapolis — lo avesse rimesso al suo posto, quantomeno fino al termine della stagione. Quando ho visto le immagini della violenta discussione tra Butler ed Erik Spoelstra (in cui poi si è inserito anche Udonis Haslem) della scorsa settimana, il mio pensiero è tornato a quell’articolo di ESPN. 

 

È fortemente inusuale che Spoelstra nel bel mezzo di una partita e/o con delle telecamere addosso si lasci andare in quella maniera: anche se molti di quelli che lo conoscono bene sanno del suo lato infiammabile in privato o nello spogliatoio (scuola Pat Riley, sempre meglio ricordarselo), quando è in campo di solito è una statua di inespressività e stoicità, concentrato unicamente sul portare a casa il risultato e raramente conflittuale nei confronti dei suoi giocatori.

 

Un momento su tutti: la celeberrima “spallata” di LeBron James in uno dei momenti più bassi del primo anno a Miami, quando in molti dicevano che James volesse un altro allenatore in panchina.

 

L’aspetto realmente interessante dell’incidente in panchina durante la pesante sconfitta casalinga contro i Golden State Warriors (e gli Heat avevano appena subito un parziale di 19-0 nel terzo quarto da una squadra priva di tutti i suoi migliori giocatori) è il modo in cui Spoelstra perde le staffe dopo che Butler e Haslem erano già stati divisi, buttando per terra la lavagnetta in direzione di Butler e cercando il confronto con la sua stella pur con tutti i giocatori che provano a frapporsi tra loro (uno su tutti: Kyle Lowry, amico fraterno di Butler, che dopo essersi allontanato dal parapiglia torna e con le mani fa il segno del timeout).

 

Magari Spoelstra ha semplicemente perso le staffe, la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso di un rapporto già logoro, ma molto più probabilmente ha voluto mandare un messaggio a Butler per farlo tornare nei ranghi, esattamente come fatto dai Sixers (o, più probabilmente, dallo stesso Brett Brown) quando fecero uscire quelle voci a gennaio 2019. Come a dirgli: non puoi continuare a comportarti come se quello che fai non abbia conseguenze, dovresti essere il nostro leader, datti una regolata. E quel comportamento è servito anche a mandare un messaggio al resto della squadra, facendo capire loro che non tutto quello che fa Butler verrà sempre tollerato, e che c’è un limite da dover rispettare.

 

Spoelstra sa di essere in una posizione pressoché senza paragoni in giro per la NBA, perché nessuno potrebbe anche solo pensare di toglierlo da quella panchina che ormai occupa dal 2008 (solo Gregg Popovich a San Antonio è lì da più tempo, ma sono in momenti delle carriere un po’ diversi). Perciò Spoelstra sa di potersi permettere un certo tipo di comportamento perché ha le spalle ampiamente coperte, come Haslem ha tenuto a far sapere a Butler minacciandolo ripetutamente di “rompergli il c…”.

 

Non assicurerei al 100% della veridicità di quei sottotitoli, ma alcuni sicuramente combaciano con l’audio e con il labiale dei protagonisti coinvolti, in particolare Haslem.

 

Una settimana da incubo

Quell’incidente non avrebbe avuto l’eco mediatico che ha sollevato se gli Heat avessero continuato a vincere come hanno fatto per buona parte della regular season fino a quel momento, ma in retrospettiva si è rivelato come il momento clou della peggior settimana della stagione di questa squadra. Dopo aver superato una sequenza impressionante di infortuni e assenze (i quattro giocatori più importanti, Lowry-Butler-Herro-Adebayo, hanno tutti saltato tra le 10 e le 25 partite), da qualche settimana ormai gli Heat sono al completo o quasi, avendo anche recuperato anche lungodegenti come Victor Oladipo e Markieff Morris. 

 

Ma invece di inanellare vittorie in serie si sono bloccati: pur rimanendo comunque in vetta alla Eastern Conference, da marzo in poi hanno perso contro Milwaukee, Phoenix e Minnesota (le ultime due in casa) prima di infilare quattro sconfitte consecutive con Philadelphia priva di Joel Embiid e James Harden, con Golden State senza Curry, Green e Thompson (aka la partita dello scontro in panchina), con New York facendosi rimontare 15 punti di vantaggio a inizio ultimo quarto e soprattutto contro Brooklyn finendo sotto anche di 37 lunghezze davanti al proprio pubblico. La peggior striscia di sconfitte della stagione, facendo riemergere i dubbi che avevano nascosto sotto il tappeto della loro capacità di tirare fuori contributi inattesi da qualsiasi giocatore a roster, anche quelli che non dovrebbero (teoricamente) avere cittadinanza in NBA.

 

Paradossalmente è come se questi Heat funzionassero solo quando a mancare è una delle parti e non quando ci sono tutti assieme, una band che ha bisogno di un’assenza per suonare la sua musica. Il quintetto formato da Kyle Lowry, Tyler Herro, Jimmy Butler, PJ Tucker e Bam Adebayo, che teoricamente mette in campo i cinque migliori difensori della squadra, ha giocato appena 107 possessi in tutta la stagione (solamente il nono più utilizzato da Spoelstra) e il differenziale su 100 possessi è fortemente negativo (-10.4), facendo fatica a mettere punti a tabellone (appena 98.1 di rating offensivo, nel 9° percentile della lega). Nessun altro dei dieci quintetti più utilizzati da Miami ha un differenziale inferiore a +2.8.

 

Un po’ è dovuto alle caratteristiche dei giocatori, con i tre principali portatori di palla tutti assieme in campo mentre solitamente si dividono oneri e onori lungo tutti i 48 minuti della partita. Un po’ è anche però la disabitudine a giocare insieme dopo una regular season così travagliata, nella quale l’apporto di Duncan Robinson (sceso al 37% da tre punti dopo due anni ampiamente sopra il 40%) è calato a tal punto da portare Spoelstra a toglierlo dal quintetto base per fare spazio a uno degli “unsung heroes” di questa stagione, vale a dire Max Strus. 

 

Come Spoelstra sta provando a risollevare gli Heat

Strus non è il tiratore puro che è Robinson e soprattutto non attira le attenzioni delle difese avversarie nella stessa maniera in cui lo fa l’ex giocatore di Michigan, ma ha migliori percentuali (41% in stagione di cui 47% dagli angoli), ha più fame (dovendo anche assicurarsi il futuro al contrario di Robinson che ha già firmato il contrattone in estate) e soprattutto fisicamente è molto più presentabile, avendo dimensioni e stazza quantomeno per non essere continuamente puntato in uno contro uno dagli attaccanti avversari.

 

 

 

Due difese clutch di Strus contro nientemeno che Jayson Tatum e Jaylen Brown.

 

La mossa fino a questo momento ha pagato: dopo quelle quattro sconfitte in fila, Miami ha vinto una partita comoda in casa contro Sacramento (senza De’Aaron Fox e Domantas Sabonis) per ritrovare un po’ di fiducia, e soprattutto ha vinto sul campo dei Boston Celtics fermando la squadra più in forma della Eastern Conference nel 2022. E lo ha fatto giocando da Miami Heat: soffrendo, rimanendo sotto anche a lungo nel corso della gara, ma rimanendo sempre lì dal punto di vista mentale e tecnico, ricucendo ogni tentativo di allungo di un avversario che aveva distrutto pressoché chiunque gli si fosse parato davanti negli ultimi tre mesi (mancava Robert Williams, va detto).

 

L’aggressività con cui Kyle Lowry (al suo minimo in carriera per tiri tentati da quando è Kyle Lowry) ha cercato il suo tiro ci dice molto di quanto Miami tenesse a questa partita, trovando una serata da 23 punti e 8 assist del veteranissimo con 8/16 al tiro (quarta prestazione dell’anno per tiri tentati) e soprattutto 6/12 da tre (solo in un’altra occasione ha fatto meglio con 6/11 quest’anno). Aggiungendo qualche sprazzo di Tyler Herro nel secondo quarto, l’atletismo di Bam Adebayo sotto canestro (specie in assenza di “Time Lord”) e il 4/9 da tre di Strus (anche 7 rimbalzi, 3 recuperi e 2 stoppate per lui), gli Heat sono riusciti ad apparecchiare la tavola per il quarto periodo di Butler, che ha segnato 9 dei suoi 24 punti prendendosi le sue responsabilità con quattro canestri pesantissimi dalla media distanza.

 

In fin dei conti, questo è l’accordo che Miami ha stretto con Butler: possiamo anche concederti tutte le tue pazzie e sopportare le tue infinite lamentele su compagni, sistema di gioco e livello di effort (a proposito: anche Lowry e Tucker non sono due che stanno esattamente zitti quando vedono un problema, finendo anche per pesare sul mood del gruppo), ma tu dall’altra parte devi essere quello della bolla di Orlando quando si decide la partita, altrimenti abbiamo un problema. A Boston è successo e gli Heat sono riusciti a portare a casa una vittoria scaccia-crisi, approfittando dei problemi dei Celtics nei finali punto a punto (-16.3 di differenziale su 100 possessi anche dopo il 7 gennaio, data in cui la loro stagione ha svoltato) per riprendersi con autorità il primo posto a Est.

 

In ottica playoff, rimane comunque una squadra che nell’ultimo periodo ha scoperto di avere meno margini di errore rispetto a quello che pensava. Per vincere in una Eastern Conference competitiva questi Heat devono essere perfetti su entrambi i lati del campo, specialmente nella metà campo offensiva dove hanno comunque bisogno che Herro, Lowry e Butler perfino ad alto livello per far respirare un attacco solamente mediocre quando costretto a creare a metà campo (96.6 punti su 100 possessi, solo 15° in NBA mentre sono la squadra che produce di più in transizione) e con la tendenza a impantanarsi negli ultimi secondi dell’azione dopo aver costruito poco, specie se non riesce ad andare in lunetta. Potrebbe aiutare anche che Tucker ricominci a segnare da tre: dopo una prima di metà di stagione scintillante da 45.7% dall’arco, dal 26 febbraio in poi ha tirato sotto il 18% da tre punti, un 5/29 drammatico per le spaziature già non eccelse del quintetto base degli Heat.

 

Ovvio poi che avranno bisogno della loro difesa per vincere a livello di playoff, ma togliendo Duncan Robinson dall’equazione e lasciando il solo Herro come “punto debole” da dover coprire difensivamente, dovrebbero avere abbastanza versatilità e fisicità negli altri cinque ruoli per potersi adattare come un guanto a qualsiasi avversario, grazie anche alla presenza di un difensore straordinario come Bam Adebayo. Al netto di tutto, la loro difesa a metà campo è la quarta della NBA, costringono gli avversari a giocare a una velocità tale da portarli a perdere tantissimi palloni (sono terzi nella lega per palle perse forzate), non concedono seconde opportunità (quinti a rimbalzo difensivo) e soprattuto hanno in panchina uno dei migliori allenatori della lega nel preparare un piano partita adatto per fermare gli avversari.

 

Solamente il modo in cui si concluderà questa stagione ai playoff ci dirà se quello che è accaduto tra Erik Spoelstra e Jimmy Butler in quel timeout è stato il punto di svolta in positivo di questa stagione o se è stata la prima avvisaglia che c’è qualcosa di rotto all’interno di questi Heat. Quello che è certo, però, è che dopo una regular season passata ad ammassare vittorie a fari spenti, ora gli occhi del resto della NBA sono tornati a concentrarsi anche su South Beach.

 

Tags : jimmy butlermiami heatspoelstra

Dario Vismara è caporedattore della sezione basket de l'Ultimo Uomo. Laureato in linguaggi dei media con una tesi sulla costruzione mediatica della carriera di LeBron James, ha lavorato come redattore a Rivista Ufficiale NBA e nel 2016 è passato a Sky Sport curando la sezione NBA del sito. Ha tradotto "Eleven Rings. L'anima del successo" (Libreria dello Sport) ed è il curatore della "Guida NBA 2017-18" (Baldini & Castoldi).

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