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Daniele V. Morrone
La leggenda dei 13 punti in 35 secondi
09 dic 2020
09 dic 2020
Il 9 dicembre del 2004 Tracy McGrady realizzava il più incredibile finale individuale di sempre.
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Daniele V. Morrone
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https://youtu.be/H8rdFgttDwQ

 



 





 



 



 



 



 



 







 



 



 







 



 



 

Una giocata tutto sommato standard nei finali tirati, ma la pressione di sapere di dover subire fallo crea però il fattaccio. Brown palleggia spalle a canestro, si aspetta il tentativo di rubata o almeno il fallo da un momento all’altro, ma l’avversario alle spalle non lo tocca. All’arrivo del raddoppio di Yao dopo la rimessa, Brown si gira andando a sinistra e con sua sorpresa non c’è nessuno a proteggere il ferro. Il movimento della virata però è troppo veloce per il suo equilibrio e finisce rovinosamente a terra. Nessuno l’ha toccato, non c’è il fischio: Brown è pancia a terra e vede la palla andare piano piano verso l’ultima persona a cui dovrebbe andare, l’accorrente McGrady. La palla magicamente è attratta da chi la tratta meglio.

 

T-Mac si china a raccoglierla e poi si lancia palleggiando verso il canestro degli Spurs, con gli avversari che nel panico corrono a loro volta verso il proprio canestro, lasciando spazio all’avanzata del numero 1. Il più veloce in campo è Parker che però è troppo più piccolo di McGrady per poterlo tenere e finisce per scortarlo fino alla linea dei 3 punti, mentre i suoi compagni sperano solo di non essere loro nella zona da cui farà partire l’inevitabile tripla. Duncan corre guardando il canestro, Rose all’indietro con lo sguardo fisso sul numero 1, e i due si ostacolano a vicenda. Ma tanto McGrady ha già deciso da dove vuole far partire la tripla: una volta arrivato a metà campo cambia mano in corsa e si muove verso sinistra per andare verso il mezzo angolo, una delle zona da cui in allenamento si provano più tiri.

 

Davanti ha Barry, ma davanti è relativo, perché dal replay si nota come McGrady non stia neanche guardando il canestro prima di alzarsi per il tiro, e vista la velocità con cui passa dal palleggio al tiro il giocatore in maglia Spurs in realtà riesce a malapena ad alzare una mano a difesa del canestro. Barry è stato surclassato dalla velocità con cui Tracy ha raccolto il pallone per il tiro, uno stacco che porta lo stesso McGrady a galleggiare in aria per qualche frazione di secondo che sembra interminabile, tanto che rilascia la palla solo mentre sta già ricadendo. Il movimento lo porta a non poter avere una meccanica pulita: le due mani sono parallele e la destra è accanto alla palla invece che sotto, ma T-Mac riesce comunque a lasciare andare il pallone con un polso ben spezzato così da dargli una parabola pulita. La palla entra nel canestro senza neanche sfiorare il ferro. Per la prima volta può festeggiare anche lui.

 



 

Questa è la frase intagliata da Federico Buffa da mettere come etichetta sulla cornice della partita. Si può immaginare l’abbia detta col sorriso beffardo stampato in faccia di chi sa di star raccontando qualcosa di miracoloso. 



 

Mentre tutti sono ancora increduli, McGrady interrompe la sua esultanza perché si accorge che Parker ha la palla in mano e sta andando verso il canestro per tentare un ultimo disperato tentativo. T-Mac ha l’istinto di difenderlo e gli si piazza davanti, costringendolo a tirare tutto storto in corsa dagli 8 metri con una parabola che non arriva neanche vicina a toccare il ferro mentre i compagni sono già tutti accorsi ad abbracciare il numero 1.

 

«È stata una cosa alla Michael Jordan, il più gran finale di partita che abbia mai visto» dirà a fine partita Steve Kerr, all’epoca commentatore della gara. Subito dopo il canestro vincente invece, mentre i replay si sprecano e il collega Marv Albert sta ancora celebrando la partita di McGrady sciorinando le statistiche, la prima cosa che gli viene in mente è parlare di chi ha lasciato prima il palazzetto. Riferendosi alle chiazze vuote tra gli spalti per quella tradizione molto americana di lasciare prima della fine della partita il palazzetto, che ha poi portata alla famosa situazione del tiro di Ray Allen in gara-6 delle Finals 2013 a Miami in un palazzetto con zone vuote. Lo stesso McGrady parlerà di questo nello spogliatoio a fine gara: «Per tutti i fan che se ne sono andati, ragazzi vi siete persi una grande partita». Non c’è malizia nelle parole di entrambi, solo la voglia genuina di condividere con più occhi possibili quello a cui hanno appena partecipato.

 

«È stato incredibile. Fine della storia. Certi giocatori prendono fuoco». Popovich prova a chiudere ogni analisi come uno ne ha viste tante e ne vedrà ancora tante su di un campo da basket, ma di situazioni così ne ha viste veramente pochissime anche lui. Pensare di mettere 4 triple in 35 secondi per andare a vincere una partita è una cosa che prima di McGrady non si era mai vista. Anche perché chi ha giocato o segue il basket percepisce che la palla pesa in modo diverso a seconda di cosa indichi il tabellone in termini di punti e di cronometro, e così anche il canestro che può sembrare improvvisamente più piccolo o più grande.

 

E anche se non ha vinto quanto il suo talento sembrava promettere, anche se non ha un anello al dito per dimostrarlo, l’eredità di McGrady per chi l’ha vissuto rimane una delle più grandi tra i giocatori di quegli anni. Perché è riuscito in pochi secondi a rendere tangibile qualcosa che chiunque abbia avuto una palla in mano e un canestro davanti ha sempre percepito: «Ho deciso di provarci, a quel punto sentivo che qualsiasi cosa avessi tirato sarebbe entrata. Il ferro sembrava veramente grandissimo».

 

 

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