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NBA Michele Serra 28 aprile 2020 10'

VHS: gara-7 delle Finali di Conference 2000

Lakers contro Blazers e una delle rimonte che hanno cambiato la storia del gioco.

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I Los Angeles Lakers aspettavano quel momento da nove anni. Era dalla stagione 1990-91 che i gialloviola non si guadagnavano il pass per le Finali: mai nella loro storia i gialloviola avevano dovuto aspettare tanto tra una apparizione in finale e l’altra. 

 

Le cocenti eliminazioni per 4-0 subite per mano di Utah nel 1998 e di San Antonio nel 1999 avevano convinto la dirigenza dei Lakers a puntare su un allenatore leggendario come Phil Jackson, con la speranza che il suo carisma e la sua esperienza ai Chicago Bulls potessero permettere alla squadra di fare il tanto agognato salto di qualità.

 

Effettivamente, la stagione regolare aveva dato proprio questa impressione. L.A. aveva vinto 67 partite, numero che aveva permesso loro di avere di gran lunga il miglior record di lega. Shaquille O’Neal era stato votato MVP con quasi 30 punti, 14 rimbalzi e 4 assist di media (cifra più alta tra tutti i centri della NBA) e Kobe Bryant era finalmente diventato il secondo violino da mettere accanto a Shaq, nonché un difensore di livello, come testimoniato dall’inclusione nel primo quintetto difensivo di quell’anno.

 

Nonostante una stagione regolare pressoché perfetta, i playoff regalarono insidie già a partire dal primo turno, in cui i Lakers ebbero bisogno di tutte e cinque le gare allora previste per liquidare i Sacramento Kings. Dopo un secondo turno tutto sommato agevole contro i Phoenix Suns (battuti 4-1), alle finali di conference i Lakers si trovarono di fronte i Portland Trail Blazers. 

 

Quei Blazers erano profondissimi: il quintetto formato da Damon Stoudamire, Steve Smith, Scottie Pippen, Rasheed Wallace e Arvydas Sabonis era di altissimo livello, e dalla panchina si alzavano veterani come Detlef Schrempf, Brian Grant, Greg Antony e un giovane Bonzi Wells, oltre al 21enne Jermaine O’Neal sul fondo della panchina. Tanta profondità però significava anche un monte salari spaventoso di quasi 74 milioni di dollari, il più alto della NBA davanti ai New York Knicks e di gran lunga superiore anche a quello dei Lakers (55 milioni, terzi nella lega). Quella disparità di quasi 14 milioni – quelli che guadagnava il solo Scottie Pippen, il giocatore più pagato – aveva portato Phil Jackson a definirli come «la miglior squadra che i soldi possono comprare», una frase che non era proprio andata a genio in quel di Portland.

 

I losangelini si portarono avanti 3-1 contro una squadra che in stagione regolare li aveva battuti due volte davanti al loro pubblico; tuttavia, non chiusero la pratica allo Staples Center – inaugurato proprio quell’anno dopo aver salutato il leggendario Forum di Inglewood – e persero pure gara-6 al Rose Garden, portando la serie alla partita decisiva. I Lakers non avevano mai perso più di due partite di fila in regular season: farlo in quel momento sarebbe stato un disastro.

 

Un’altra epoca

Se mi avessero dato un euro per ogni volta che, durante la visione della partita, ho pensato che è davvero tutto un altro tipo di gioco rispetto a quello attuale, oggi sarei già ricco. Però è la verità: venti anni sono parecchi nella vita reale e sono un’era geologica in una lega in cui il gioco muta con l’evolversi dei suoi interpreti. La partita si è svolta per gran parte dentro la linea del tiro da tre punti con i giocatori che, in molti casi, piuttosto che prendersi un tiro comodo da tre preferivano fare un palleggio e prendersi un tiro dalla media. Non è un caso che l’ultima squadra per tiri dal mid-range presi di media in quella stagione (che curiosamente, proprio come oggi, è Houston) nella NBA attuale sarebbe seconda con un comodo margine sulla terza grazie ai suoi 22 tentativi a partita.

 

I Blazers avevano impostato il loro piano tattico affidandosi spesso e volentieri a un Rasheed Wallace in grande spolvero. Nel primo possesso della gara, Sheed viene cercato spalle a canestro in post medio, come poi anche negli altri sei episodi precedenti, colpendo con il jumper in svitamento. I primi tre possessi per L.A. vedono O’Neal spettatore non pagante, imbrigliato dalla tattica difensiva dei Blazers: l’obiettivo era tenere un giocatore come spy (Sheed o Pippen, che nonostante i 34 anni ha fatto un lavoro egregio in questo senso) per dissuadere i Lakers dal passargli la palla in post e raddoppiarlo – o anche triplicarlo – sistematicamente qualora fossero riusciti a servirlo: non è un caso che il 34 dei Lakers abbia finito la partita con quattro palle perse, il peggiore della gara. 

 

 

Per tutta la partita Shaq ha grossi problemi anche solo a farsi trovare spalle a canestro, come vediamo in questa situazione nel secondo tempo. Kobe riceve il pallone contro Stoudamire; Pippen, che raddoppia Shaq, lo lascia per aiutare il suo compagno contro Kobe, che all’ultimo cambia idea e prova a servire il suo centro. L’ex Magic non si aspetta il passaggio, che viene deviato da Sabonis e finisce nelle mani di Pippen.

 

La posta in gioco è molto alta e la partita è comprensibilmente molto tesa, finendo inevitabilmente con un punteggio basso. Sono i Blazers a scappare per primi, portandosi sul +10 a 4:30 dalla fine del primo quarto grazie a svariati errori nel pitturato dei padroni di casa e anche a un paio di canestri “anacronistici” degli ospiti, come due triple – una di Pippen e una di Steve Smith – dal palleggio in contropiede sfruttando il mancato accoppiamento dei difensori di LA.

 

I Lakers riescono a tornare in singola cifra di vantaggio provando a cavalcare O’Neal quando possibile con la speranza di caricare di falli gli avversari, piano in parte riuscito visti i due falli commessi da Sabonis a tre minuti dalla fine del primo quarto e gli altrettanti commessi in un amen da Brian Grant, che non ha mai avuto una singola chance contro Shaq. Nel frattempo, Kobe sale in cattedra con alcuni possessi difensivi eccellenti spalle a canestro contro Steve Smith e Bonzi Wells e catturando rimbalzi in difesa: saranno 11 per lui alla fine, il migliore della gara.

 

 

Kobe, al tempo 22enne, è spettacolare nel non saltare sulla finta del veterano Wells, tenendo alte le braccia per contestare il tiro e chiudendo il possesso con il rimbalzo e il fallo subito.

 

 

Per Sheed, invece, i Lakers non hanno nessuna risposta. Neanche il trattamento Shaq sembra bastare, visto che qui il futuro giocatore dei Pistons si fa beffe del raddoppio e segna subendo il fallo.

 

Nel secondo quarto i Blazers tornano in doppia cifra di vantaggio con una tripla, manco a dirlo, di Sheed dopo che, nel possesso precedente, un tiro da tre di Derek Fisher aveva scheggiato a malapena il ferro. Come se non bastasse, O’Neal commette il suo terzo fallo; benché i telecronisti si stupiscano che il centro rimanga in partita nonostante i problemi di falli e quelli relativi all’impatto in campo, Jackson non prende neanche in considerazione l’idea di togliere dal campo il neo-MVP NBA, che in quella stagione aveva tenuto 40 minuti di media in regular season e 43.5 ai playoff.

 

Anzi, Shaq risponde con due canestri in fila. Nel primo approfitta dell’area stranamente libera, mentre nel secondo caso sono bravi i Lakers a recapitargli palla sotto canestro prima che il raddoppio arrivi, cosa che erano riusciti a fare molto raramente in serata. Portland non si scompone e torna a +7 con i Lakers che però, grazie ad un paio di canestri da tagli di Kobe e Shaw riescono ad andare all’intervallo sotto di 3, con il punteggio sul 42-39 per i Blazers. Visto il copione del primo tempo, è decisamente una mezza vittoria per i padroni di casa.

 

Onda anomala

Nel secondo tempo i Lakers rientrano in campo sfruttando l’onda emotiva del finale di primo tempo e piazzano un parziale di 16-7. Ron Harper in particolare continua a produrre nella metà campo offensiva come ai tempi in cui era considerato un realizzatore: non appena Kobe viene raddoppiato spalle a canestro, arriva il ribaltamento di lato per Harper fuori dalla linea dei tre punti; l’ex Bulls a quel punto finta la tripla facendo saltare Wallace e si mette in ritmo col palleggio per segnare dalla media.

 

Mentre il gioco di Portland continua a passare con successo dal post basso di Sheed, i Lakers continuano a essere metaforicamente orfani di Shaq, completamente fuori dalla partita (non segnerà un singolo punto nel terzo periodo). Buon per loro che il supporting cast è in partita, con Harper, Rice, Shaw e Horry tutti in doppia cifra. È proprio un canestro e fallo di Glen Rice a dare il vantaggio a L.A., il primo dopo il 9-8 di inizio partita.

 

A questo punto, con i Lakers sopra di uno, Portland ancora una volta si fa trovare pronta, con un 7-0 interamente firmato da Steve Smith riporta la squadra di Mike Dunleavy avanti. I Blazers giocano bene e soprattutto con pazienza, prendendosi tutti i secondi a disposizione per trovare il tiro migliore.

 

 

Horry fa un ottimo lavoro nel mettersi davanti a Wallace per negargli la ricezione. Stoudamire allora si fa riconsegnare la palla da Sabonis dando il tempo al suo compagno di ritrovare il vantaggio spalle a canestro. Sheed converge verso il centro dell’area senza che nessun altro Laker arrivi in aiuto e costruisce altri due punti.

 

 

 

Qui, invece, Sabonis rimedia a una quasi palla persa di Wells ribaltando il lato per Pippen, che mantiene la calma, batte il closeout di Horry e serve Sheed sotto canestro per la schiacciata del +10. Avere giocatori con l’intelligenza cestistica di Sabonis e Pippen permetteva di rimediare anche alle situazioni più difficili.

 

A quel punto Jackson è costretto a chiamare timeout. Al rientro dalla pubblicità, a bordo campo viene intervistato Magic Johnson che consiglia alla sua ex squadra di servire più velocemente Shaq in post, come fatto pochissime volte quella sera. Il problema è che Portland non smette di segnare e con una tripla di Smith, una di Pippen in faccia ad Harper e una schiacciata di Sheed, i Blazers si portano sul +16.

 

Con poco più di un minuto da giocare sul cronometro del terzo quarto, il telecronista dice che una tripla dei Lakers potrebbe un minimo scuotere squadra e ambiente: neanche a farlo apposta, Shaw trova una tabellata da tre che riporta momentaneamente in vita lo Staples. Alla fine del terzo periodo la squadra di Phil Jackson è comunque sotto di 15 senza ancora aver trovato una risposta efficace contro gli avversari.

 

Kobe-Shaq Redemption

Il quarto periodo comincia sulla scia delle critiche dei telecronisti di NBC a Phil Jackson. I due si chiedono se lo Zen Master abbia perso il proprio tocco magico e sono concordi nell’affermare che l’aura di leggenda dell’ex coach dei Bulls si sta ormai affievolendo, a prescindere dall’esito finale di gara-7.

 

Tuttavia, la sua squadra entra nel quarto finale con tutto un altro spirito. Shaq finalmente si sblocca entrando in partita; L.A. mette a segno un mini parziale di 5-0 mentre la difesa sale finalmente in cattedra, iniziando anche a pressare gli avversari già dalla rimessa da fondo campo, mossa che Jackson ha sempre avuto in faretra per cambiare ritmo alle partite. Kobe in aiuto stoppa Wells, Shaw segna una tripla e Sabonis commette il suo quinto fallo. Portland a quel punto non riesce più a segnare nemmeno i tiri che nei primi tre quarti erano andati a bersaglio: dopo la tripla di Bonzi Wells sputata dal ferro, lo Staples è una bolgia.

 

I Blazers sbagliano 14 tiri consecutivi, mentre i Lakers pian piano rosicchiano tutto lo svantaggio accumulato fino a quel momento: la tripla di Shaw sullo scarico di O’Neal confeziona un parziale di 15-0 con cui i californiani si riportano in parità. Wallace, che finirà con 30 punti, continua ad essere il catalizzatore dell’attacco dei suoi ma non riesce più a produrre come prima (solo 3/9 al tiro nell’ultimo quarto dopo il 10/17 dei primi tre), mentre Shaq è definitivamente entrato in partita. A complicare ancora di più le cose c’è l’uscita per falli di Sabonis, salutata da “Hit the road, Jack” sparata dall’impianto stereo dello Staples. 

 

L’importanza del lituano per quella squadra nonostante i 35 anni di età non va sottovalutata: non è un caso se Shaq fosse stato tenuto sotto controllo per buona parte della partita dalla sua scienza difensiva e non è un caso che la squadra abbia faticato in sua assenza nella metà campo offensiva. In una serata da 98.9 punti su 100 possessi realizzati secondo Basketball-Reference, il rating offensivo di Sabonis è 112 – il più alto dei giocatori in rotazione dei Blazers pur chiudendo con soli 6 punti e 5 rimbalzi in 32 minuti.

 

Dopo il pareggio di Shaw, i successivi 10 punti dei Lakers portano solo le firme di Kobe e Shaq, saliti in cattedra con due liberi a testa nonché confezionando l’highlight della partita – un’azione iconica che verrà riproposta anche negli anni a venire nelle clip per introdurre le Finali NBA, questa.

 

 

Pippen cade nel crossover di Kobe. Kobe alza per Shaq. Shaq schiaccia a una mano. Storia.

 

L’esultanza del centro con le braccia alzate indicando i suoi familiari in tribuna è liberatoria come quella di un gol decisivo. La partita non era chiusa, ma con 40 secondi da giocare, sopra di 6, con tutto quello che era successo in precedenza, i giocatori dei Lakers sapevano di essere usciti indenni da una tempesta che avrebbe potuto far naufragare i loro sogni di gloria per il terzo anno consecutivo, e senza i quali il three-peat forse non sarebbe stato possibile.

 

Wallace però non ci sta e segna subito la tripla del -3. Kobe viene poi mandato in lunetta ma fa 0/2: i Lakers si guadagneranno ben 37 liberi, segnandone però solo 20. Steve Smith ha la possibilità di portare i suoi a -1 nel possesso successivo, ma sbaglia: Horry prende il rimbalzo, segna due liberi a seguito del fallo che chiude definitivamente la partita.

 

Dopo la sirena finale, dal soffitto dello Staples scendono copiosi i coriandoli, e i giocatori festeggiano quasi come se avessero vinto un titolo. È da come una squadra affronta le difficoltà che si capisce se è pronta per fare grandi cose. Quei Lakers non avrebbero perso una serie di playoff per altri due anni, dando vita a una delle più grandi dinastie di sempre, interrotta solamente nel 2003 e nel 2004 dalle due squadre (Spurs e Pistons) che avrebbero poi vinto il titolo NBA di quell’anno.

 

Con buona pace di chi credeva che “l’aura da vincente” di Phil Jackson fosse morta e sepolta in quel di Chicago.

 

Tags : kobe bryantlos angeles lakersportland trail blazersshaquille o'neal

Michele Serra nasce nel 1993 a Bologna dove studia Lingue e Letterature Straniere. Ama seguire gli sport americani, ascoltare musica e giocare a basket. Scrive anche per Football Nation e Fuori Dagli Schemi.

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