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La metamorfosi dei Dallas Mavericks
16 feb 2022
16 feb 2022
L’addio a Porzingis e una squadra che sta cambiando pelle attorno a Doncic.
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10 min
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Se i power ranking NBA di inizio stagione fossero assimilabili ai listini di borsa, lo scorso autunno il titolo dei Dallas Mavericks sarebbe stato uno dei più soggetti a fluttuazioni. Per molti Dallas, fortemente rinnovata in panchina e nel front office più che nel roster, poteva nutrire ambizioni importanti in una Western Conference al solito parecchio competitiva; per altri proprio i cambiamenti operati durante l’estate rappresentavano incognite potenzialmente in grado di farla scivolare fino alla zona play-in.

Questione di prospettiva, come sempre, e di fiducia nella guida tecnica di Jason Kidd o nel proseguimento del percorso di crescita intrapreso con l’arrivo in Texas di Luka Doncic. In vista della pausa per l’All-Star Game, i risultati ottenuti dalla squadra sembrano prestarsi a una doppia lettura in grado di dare ragione tanto agli ottimisti quanto agli scettici. E forse proprio questa ambiguità ha spinto il front office a compiere una scelta clamorosa alla deadline, anche se non del tutto inaspettata.

Unicorni in discarica

I Mavs degli ultimi tre anni giravano attorno a una grande certezza e a un altrettanto grande punto di domanda. La certezza era, e rimane, quella di aver pescato un giocatore dal talento epocale al Draft del 2018 in Doncic; il punto di domanda riguardava invece quella che avrebbe dovuto essere la seconda stella della squadra, cioè Kristaps Porzingis. Nel corso di questi tre anni, tocca infine ammetterlo, il lettone non si è rivelato all’altezza dell’investimento fatto dalla franchigia. Non tanto nello scambio con i New York Knicks a fine gennaio 2019, quanto nel concedergli un quinquennale da quasi 160 milioni di dollari offertogli qualche mese più tardi, peraltro senza che il lettone avesse ancora messo piede in campo con la nuova maglia.

E proprio la presenza, o per meglio dire l’assenza dal campo, è stata il tratto distintivo della sua esperienza a Dallas. Pur cercando di evitare il sarcasmo ben riassunto dall’ormai celebre battuta di Tim Legler, è impossibile scindere la valutazione delle sue prestazioni dalla questione infortuni. Porzingis è sceso in campo per poco più della metà delle partite giocate dai Mavs nei tre anni in esame (144 su 248). La discontinuità non ha di certo aiutato nel trovare la giusta intesa con Doncic, per il quale non ha mai rappresentato un perfetto fit tattico nonostante qualche lampo iniziale, così come non ha aiutato il rapporto conflittuale con la precedente guida tecnica. Ma a prescindere dai singoli fattori che hanno contributo a determinarne l’andamento, non c’è dubbio che il rendimento complessivo sia stato deludente.

Riprendendo per un momento l’analogia dei listini di borsa, è impossibile non rilevare come il valore di Porzingis abbia subito un crollo lento ma costante durante tutta la permanenza a Dallas. Alla fine la quotazione del valore assegnato a Porzingis dai Mavs - e più in generale dai front office della lega - è emersa nello scambio che l’ha portato a Washington. E si tratta di una valutazione impietosa, perché per quanto Spencer Dinwiddie e Davis Bertans potranno rivelarsi utili - con il primo a rappresentare anche una polizza assicurativa sul difficile rinnovo di Jalen Brunson -, ci sono pochi dubbi sul fatto che la trade con gli Wizards assomigli parecchio a quello che in gergo viene definito un salary dump.

In pratica i Mavs hanno spezzato in due un contratto altrimenti impossibile da scambiare, aprendosi a una maggiore flessibilità nel medio periodo. Nell’arco di due stagioni e mezzo, Porzingis è passato dall’essere un papabile All-Star a rappresentare un fardello economico di cui liberarsi il prima possibile prima di rimetterci degli asset pur di liberarsene. L’analisi di dove sono i Mavs e di dove possono arrivare, quindi, non cambia granché in relazione alla sua presenza a roster: e questo è insieme il lascito più significativo e l’indicatore più eloquente di un palese fallimento tecnico.

La difesa vince i titoli, o almeno le partite

A prescindere dalle recenti scelte di mercato, per provare a capire come sono cambiati e dove possono arrivare questi Mavs occorre passare dal raffronto con la loro ultima incarnazione dell’era Carlisle. E il raffronto non può che partire dalla difesa, ovvero l’aspetto del gioco in cui Dallas sembra aver compiuto il salto in avanti maggiore. Coach Kidd non ha modificato in modo radicale i concetti che caratterizzavano l’impostazione di squadra, ma sembra essere riuscito a convincere alcuni giocatori, Doncic in primis, della necessità di dare un contributo anche nella propria metà campo. Così facendo, Kidd ha sgravato, almeno in parte, giocatori come Dorian Finney-Smith e Maxi Kleber, non più costretti a coprire continuamente le falle aperte dalla negligenza dei compagni.

A stupire, e in qualche modo a dettare la linea per gli altri, è stato proprio Doncic. Ben lungi dall’essere un difensore efficace, soprattutto in situazioni critiche, l’All-Star ha quantomeno deciso di mettere a disposizione della squadra la taglia fisica - si tende spesso a dimenticare che stiamo parlando di un giocatore di 2 metri per 100 chili abbondanti - adottando un atteggiamento difensivo che per molti versi ricorda quello di James Harden (o almeno dell’Harden più motivato degli anni felici a Houston). L’inserimento di difensori versatili come Sterling Brown e Reggie Bullock, oltre alla crescita di Josh Green, ha poi fatto il resto.

A balzare all’occhio è il defensive rating, passato dall’essere il 21° di tutta la lega nel 2020-21 (e 18° nelle due stagioni precedenti) al quinto nella stagione in corso, addirittura il secondo nel 2022. Un miglioramento strabiliante frutto in primis dell’attenzione alla difesa perimetrale, dove i Mavs sono passati dal concedere agli avversari una percentuale da tre del 36.6% nel 2020-21 (19° dato su 30) al concedere il 34.7% (secondo miglior dato della lega). L’impatto che i Mavs hanno nella propria metà campo rende l’idea di una squadra più reattiva e organizzata, anche se permangono delle lacune. Dallas è infatti ultima per percentuale concessa agli avversari (46.2%) quando sul cronometro rimangono meno di 4 secondi e quart’ultima col 53,2% quando ne mancano tra 7 e 4, numeri che cozzano con quello della fascia tra 15 e 7 secondi in cui la squadra di Kidd concede il 50.6% (5° miglior dato della lega). Soprattutto in prospettiva playoff, dove il gioco rallenta nei ritmi e i possessi si allungano, questa tendenza a smarrire la coesione difensiva contro l’attacco a metà campo potrebbe rivelarsi un problema non da poco.

La difesa che non concede le prime due opzioni agli avversari e si chiude attorno al ferro.

Se in difesa l’impegno di Kidd è consistito più che altro in un’opera motivazionale, per quanto riguarda la fase offensiva il nuovo coach, in continuità con quanto fatto dal suo predecessore, si è limitato a perfezionare i movimenti attorno a Doncic, faro e leader indiscusso della squadra. In realtà alcuni fattori imprevedibili come l’infortunio allo sloveno e quello ben più serio a Tim Hardaway Jr. hanno costretto i Mavs a sfruttare di più le qualità di Brunson, divenuto di fatto la terza opzione offensiva della squadra. L’attacco di Dallas fin qui rientra tra le eccellenze solo quanto a rapporto tra assist e palle perse (1.95, 6° miglior dato della lega), mentre le assenze di Doncic prima e Hardaway Jr. poi e le pessime percentuali al tiro di Porzingis (in particolare dalla lunga distanza dove prima dell’infortunio e dalla cessione stava tirando con il 28.3%) ne hanno minato l’efficienza complessiva (16° offensive rating, era l’8° la scorsa stagione).

Da questo punto di vista gli inserimenti di Dinwiddie e Bertans dovrebbero consentire di aprire il campo e ottenere una maggiore fluidità della manovra. Non che i dati poco incoraggianti di questa prima parte di stagione preoccupino più di tanto, perché a Dallas perdura, a torto o a ragione, la convinzione che la sola presenza di Doncic rappresenti di per sé garanzia di pericolosità offensiva.

Luka Doncic è di per sé garanzia di pericolosità in attacco? La risposta in questi 10 minuti.

Anche Doncic vince le partite

Ora come non mai, dopo l’addio a quella che in teoria era l’altra stella della squadra, la stagione e più in generale il futuro dei Mavs passano dalle mani del ragazzo di Lubiana. Al rientro dall’infortunio, forte anche di una pausa forse prolungata oltre lo stretto necessario onde recuperare una condizione fisica apparsa non ottimale a inizio stagione, Doncic ha messo in campo agilità e aggressività ben superiori a quelle mostrate fin qui in NBA. L’agio con cui ora è in grado di sfruttare il vantaggio sui cambi nel pick and roll, in particolare in transizione, quando resta accoppiato con un avversario dal passo più lento e la cattiveria con cui attacca il ferro sono elementi nuovi del suo già notevole bagaglio offensivo.

Doncic sta tirando con il 49.2% dal campo quando marcato da ali e il 50.9% dai lunghi, mentre realizza con 45% quando si trova di fronte le guardie avversarie.

A fare davvero paura - agli altri, non ai Mavs - è il fatto che Doncic sembra avere ancora margini di miglioramento. Prima di tutto nel gioco senza palla, situazione in cui tende a rimanere nello stesso lato del campo occupato dal portatore di palla, compromettendo così le spaziature di squadra. E poi in difesa, dove il passo in avanti già descritto potrebbe essere l’inizio di un percorso verso l’efficienza che vede nella reattività sugli aiuti, dove è spesso in ritardo per mera pigrizia, la prossima tappa.

Nelle 15 partite giocate senza la loro stella i Mavs sono 6-9, mentre dal suo rientro a inizio gennaio hanno il terzo miglior record di tutta la NBA dietro solo a Phoenix e Memphis (16-6). Con Luka in campo, insomma, si vincono le partite. Non che questo rappresenti una novità, ma l’ulteriore conferma del peso che Doncic ha sui destini dei Mavs apre qualche necessaria riflessione sul resto del roster.

Coperta corta

Poter contare su uno dei 5 o 6 migliori giocatori della lega è un'eccellente base di partenza, ma quanto in alto possono arrivare i Mavs edizione 2021-22? Inutile nascondere come gli infortuni a Hardaway Jr. (la cui stagione è probabilmente finita) e la decisione di privarsi di Porzingis complichino i piani iniziali. Se l’assenza dell’esterno ex New York e Atlanta è stata in qualche modo assorbita dalla crescita di Brunson e troverà nelle qualità offensive dei due nuovi innesti una discreta alternativa, quella del lettone apre un vuoto nel reparto lunghi. Senza Porzingis, al netto degli enormi limiti sopra descritti, i Mavs hanno un oggettivo problema di taglia che renderebbe ostico lo scontro ai playoff con i vari Davis, Ayton, Jokic e Gobert.

L’addio a Porzingis grava sulle spalle, larghe ma non troppo, di Powell e Kleber e per i Mavs - 22° per rimbalzi catturati e 28° per stoppate di media a partita - il rischio è quello di andare sotto a rimbalzo e faticare tremendamente a proteggere il ferro (i Mavs sono 23° per percentuale concessa agli avversari nel pitturato). Si tratta di difetti che la presenza di ottimi difensori perimetrali come Finney-Smith e Bullock, così come quella di eventuali colpi dell’ultimo minuto alla fiera del buyout, potrà compensare solo in parte. La coperta a disposizione di Kidd appare dunque troppo corta per ambire a qualcosa in più di una onorevole eliminazione, magari al secondo turno. Molto dipenderà da Brunson e dal già citato Finney-Smith, i più continui nel supporting cast dei Mavs, che stanno dimostrando di poter avere un ruolo importante tanto da meritarsi un rinnovo (già arrivato nel caso del secondo per 52 milioni di dollari in quattro anni).

D’altro canto, quantomeno, Kidd sembra aver capito gli errori commessi nelle precedenti esperienze da capo allenatore e dal punto di vista della gestione emotiva è fin qui riuscito a toccare i tasti giusti. Resta da vedere se questo equilibrio reggerà sotto la pressione non tanto e non solo dei playoff, dove Dallas arriverà comunque senza molto da perdere, quanto nella ricerca della risposta alla domanda sempre più pressante: i Mavs stanno facendo il possibile per dare a Doncic una squadra all’altezza del suo status? Domanda che tradotta nel linguaggio della NBA in piena era player empowerment suona piuttosto come: i Mavs stanno facendo tutto il possibile per accontentare il loro miglior giocatore? Interpretare gli umori di una superstar è sempre un’impresa tortuosa, ma i segnali lanciati dal diretto interessato subito dopo la trade deadline, in questo senso, sono sembrati positivi.

51 punti per salutare definitivamente Porzingis.

Stella della squadra e allenatore diventano quindi più che mai le figure chiave in quello che si delinea come un bivio importante per la franchigia. Dal sodalizio tra i due dipendono i destini di una stagione in cui Dallas punta a interpretare il ruolo di outsider. I Mavs, forse, non hanno abbastanza armi per impaurire le corazzate dell’Ovest, ma di certo nessuna delle pretendenti al titolo esulterà nel trovarsi di fronte Doncic per una serie al meglio delle sette partite, magari già al primo turno.

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