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Cosa può dare Blake Griffin ai Brooklyn Nets
12 mar 2021
12 mar 2021
A Brooklyn comincia una nuova fase della sua strana carriera.
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Che parabola di carriera strana che ha avuto Blake Griffin. Dopo essere entrato nella NBA come prima scelta assoluta al Draft del 2009, essere rimasto fuori un anno intero per infortunio al ginocchio e aver preso d’assalto la lega nel suo anno da rookie schiacciando tutto quello che gli capitava per le mani, se vi avessero raccontato che tipo di giocatore sarebbe diventato non ci avreste creduto. Eppure compirà tra poco solamente 32 anni.

Già nel corso della sua carriera ai Clippers aveva cominciato a diversificare il suo gioco, rendendosi meno dipendente dalle conclusioni al ferro per aggiungere una dimensione sempre più perimetrale, prima con le sottovalutatissime doti di palleggio e di passaggio e poi lavorando incessantemente sul tiro. Il giocatore che due stagioni fa ha trascinato i Pistons a un posto ai playoff prendeva quasi il 40% dei suoi tiri dalla lunga distanza (nei primi sei anni di carriera messi assieme ne ha tentati in tutto 155, quell’anno soltanto ne ha segnati 189) e solo il 56% erano assistiti dai compagni, con la seconda percentuale reale più alta della carriera (58.1%) e un PER sopra quota 21, fino a guadagnarsi la menzione nel terzo quintetto All-NBA come non gli capitava dal 2015.

L’operazione chirurgica a cui si è sottoposto nell’estate del 2019, però, ha restituito un giocatore privo di esplosività e sempre più in difficoltà a tenere il campo per motivi fisici prima ancora che tecnici o tattici. Già lo scorso anno ha disputato solamente 18 partite con risultati disastrosi, perdendo tutta la forza nelle gambe che, sebbene il numero di schiacciate fosse calato già da diversi anni, quantomeno gli permetteva di creare separazione con lo step back per crearsi un tiro in proprio. Dal portento di atletismo verticale che era (784 schiacciate nei suoi primi quattro anni di NBA), Griffin è diventato un giocatore àncorato al terreno che non mette più piede in area, incapace di sollevarsi e di giocare con l’energia quasi esagerata che metteva ogni partita sul parquet, spesso arrivando esausto a fine partita.

Il risultato è che, oltre alla ben nota statistica che non lo vede schiacciare da tempo immemore (è l’unico giocatore sopra i due metri con almeno 150 tiri tentati a non aver ancora schiacciato in questa stagione), Griffin ha anche abbassato le percentuali al tiro che avevano aiutato a compensare la perdita di atletismo, fino a crollare al 28% con cui ha tirato dopo l’operazione su oltre 7 tentativi da tre per 36 minuti (terzo peggiore in NBA su almeno 200 tentativi). Dopodiché sono emersi anche i suoi limiti difensivi, perché oltre a non avere più verticalità ha cominciato a pagare anche la sua apertura di braccia solo mediocre e la conseguente incapacità di proteggere il ferro, stoppando solo due tiri in 626 minuti in questa stagione e concedendo il 71% agli avversari nell’ultimo metro di campo. E anche i numeri a rimbalzo, in passato spesso solidi seppur mai sensazionali, sono in picchiata ormai da molto tempo.

Eppure, nonostante tutti questi segnali ci dicano che il Blake Griffin visto a Detroit nelle ultime due stagioni sia probabilmente un giocatore che a malapena tiene il campo in NBA, quando è arrivata la notizia del suo accordo per andare ai Brooklyn Nets probabilmente avete avuto un sussulto anche voi.

Vi sblocchiamo un ricordo.

Un quintetto che non si può battezzare

Per liberarsi dal suo contratto con i Detroit Pistons, Blake Griffin ha dovuto rinunciare a 13.3 milioni di dollari (ne riceverà comunque 62.3 che gli spettavano), firmando al minimo salariale con i Nets dopo la corte serrata di Kevin Durant e degli altri membri della squadra con cui lui stesso ha detto di essere già familiare, a partire dal suo grande amico DeAndre Jordan. La firma con la squadra di maggior talento nella NBA segnala inequivocabilmente il suo passaggio a una fase della carriera in cui gli verrà chiesto di fare il giocatore di complemento e non più quello di riferimento, come ha ammesso anche Steve Nash. «A Detroit gli chiedevano di fare molto, mentre qui non gli verrà chiesto di trascinare la squadra né avrà grande attenzione dalle difese. Qui avrà l’occasione di avere meno pressioni e meno responsabilità, e per questo potrà mostrare maggiormente quello che è in grado di fare. Non ha più l’atletismo di inizio carriera, ma è comunque riuscito a essere produttivo in altri modi: è una testimonianza di quanto ha lavorato».

https://twitter.com/SamuelLachow/status/1369355721675014145

I due ne hanno parlato a pranzo in un ristorante italiano di nome “Rucola”, dove tutto sommato per un piatto di pasta ve la cavate con 20 dollari.

La scommessa dei Nets, insomma, è che sotto la coltre di infortuni e scarse motivazioni degli ultimi due anni ci sia un giocatore in grado di fornire uno skillset diverso rispetto agli altri membri del frontcourt. Questa versione di Brooklyn, infatti, era un filo troppo dipendente dalla salute di Jeff Green, l’unico giocatore in grado di scalare da 5 e di cambiare su tutti i blocchi come hanno deciso di fare da quando è arrivato Harden in squadra. Griffin non possiede l’atletismo che Green ancora porta alla causa, ma è un giocatore intelligente e furbo, un veterano che dovrà trovare il modo di cavarsela in campo (anche ricorrendo a trucchetti del mestiere) e soprattutto porta una dimensione di playmaking che nessun altro lungo ha nel roster.

https://twitter.com/stevejones20/status/1369369601524563973

L’ex assistente dei Nets Steve Jones su Twitter ha condiviso questo interessante thread su come può provare a cavarsela in difesa con istinti e letture, compensando quello che non riesce più a fare fisicamente. Inevitabilmente le altre squadre cercheranno di attaccarlo nello spazio e lui dovrà dimostrare di averne ancora abbastanza nel serbatoio per non rendersi insostenibile.

Anche se nella sua testa probabilmente si sente un 4 (ha detto lui stesso che i Nets ne avevano bisogno e ha espresso il desiderio di giocare qualche minuto di nuovo al fianco di Jordan), a questo punto della carriera Griffin è più che altro un 5 di riserva che gioca short roll con i compagni, agendo da playmaker occulto. Lo stesso Nash ne ha parlato in questi termini: «Blake è un 5 da quintetti piccoli in grado di aprire il campo quando ha un tiro smarcato. È molto bravo negli short roll quando può attaccare 4 contro 3, 3 contro 2 o 2 contro 1. È intelligente, ha grande esperienza e QI cestistico».

I Nets hanno già un lungo di stazza come Jordan, un 5 tattico come Green, un progetto a lungo termine come Reggie Perry e nelle ultime gare avevano cominciato a riscorpire con interesse l’atletismo di Nicolas Claxton, che ha giocato solo 20 partite in 20 mesi. Ma con il pallone tra le mani nessuno di questi giocatori può agire da “valvola di sfogo” dei Big Three come può fare Griffin, specialmente quando coinvolto in un pick and roll o in un passaggio consegnato con James Harden. I loro giochi a due saranno la base per una second unit che altrimenti si ritroverebbe un po’ povera di playmaking con Landry Shamet, Bruce Brown e Tyler Johnson a stazionare sul perimetro, e anche con Irving e Durant in campo potrà godere di praterie che non ha mai avuto in carriera.

Considerando anche la presenza di un Joe Harris che sta tirando sopra il 50% da tre punti in stagione, inserire Griffin nel quintetto insieme ai Big Three creerebbe una lineup in cui nessun giocatore può essere “battezzato” dalle difese. Anche cercare di nascondere il proprio peggior difensore su Griffin equivale a un suicidio: al netto di tutti i suoi problemi degli ultimi anni, rimane un giocatore in grado di punire un difensore più piccolo di lui in avvicinamento a canestro, anche per la capacità di servire i tagli dei compagni.

Immaginatevi Kyrie Irving e Joe Harris a seguire quelle “routes” per ricevere i passaggi di Blake: questa è la dimensione in più che può dare ai Nets per renderli ancora più inarrestabili di quello che già sono.

Tirando le somme: è difficile che la firma di un buyout durante la stagione sposti davvero qualcosa, ma è anche vero che possono aggiungere una dimensione ulteriore che può tornare molto utile ai playoff. Pensate ai Lakers lo scorso anno, che per risolvere i quesiti tattici posti dai quintetti piccoli degli Houston Rockets al secondo turno hanno fatto partire in quintetto Markieff Morris (arrivato a stagione in corso) al fianco di Anthony Davis, disinnescando la squadra di Harden e Westbrook. O come l’arrivo di Boris Diaw abbia permesso ai San Antonio Spurs di salire a un livello superiore nel biennio in cui sono arrivati in finale tra il 2013 e il 2014. Ogni squadra che vuole arrivare fino in fondo deve avere non solo le mosse per mettere in difficoltà gli avversari, ma anche le contromosse per rispondere in quelle lunghe sfide a scacchi che sono le serie di playoff. E ogni giocatore del roster deve dare il suo contributo, fosse anche per cinque possessi in una post-season intera.

I Nets avevano già una squadra che, al completo e in salute, è una serissima candidata al titolo di questa stagione — probabilmente l’avversario peggiore per tutti i dilemmi tattici che propone con tutto quel talento e quella capacità di shot-making messo assieme, rendendo impossibile avere in campo un cattivo difensore senza che venga esposto. E anche se l’esperimento con Griffin dovesse andare male, possono facilmente fare a meno di lui senza che le loro chance di vittoria diminuiscano. Una scommessa sostanzialmente a costo zero.

Non bisogna poi sottovalutare le motivazioni che Griffin potrà avere per riscattare una carriera che sembrava destinata all’oblio in quel di Detroit: non a caso lui stesso ha parlato della voglia di giocare “meaningful basketball”, una pallacanestro che conti qualcosa. «Ogni anno a Detroit l’obiettivo era di arrivare ai playoff, come siamo riusciti a fare due anni fa — ed è stato bello» ha detto nella sua prima conferenza stampa come giocatore dei Nets. «Ma il mio obiettivo è competere per il titolo. I Nets hanno espresso il loro interesse ed è stato reciproco. Avevano bisogno di un altro lungo capace di facilitare il gioco e riempire gli spazi creati dagli altri. C’è bisogno di quel tipo di giocatori che tolgano pressione agli altri. Per me il motivo per cui ho scelto di venire sta tutto qui: giocare di nuovo per qualcosa».

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