Al momento della definizione del tabellone dei playoff, il possibile incrocio tra Boston e Milwaukee al secondo turno era apparso da subito come uno dei più interessanti. Le due squadre, chiusa la regular season con un record identico di 51-31 e in ragione del quale si era dovuti ricorrere al 5° tiebreaker per assegnare i piazzamenti, promettevano di dare vita a una sfida molto equilibrata. Gli infortuni di Khris Middleton e la disponibilità a intermittenza di Marcus Smart e Robert Williams hanno privato la serie di protagonisti importanti, ma le quattro partite giocate fin qui non hanno deluso le attese.
In qualche modo la battaglia tra Celtics e Bucks è sembrata una versione contemporanea delle serie a forte impronta difensiva che avevano caratterizzato i playoff tra fine degli anni Novanta e inizio anni Duemila e vissuto la loro sublimazione nelle sette gare tra Detroit Pistons e San Antonio Spurs nelle Finals del 2005. E se è forse esagerato definire Celtics-Bucks una finale anticipata, non lo è sostenere che chi ne uscirà vincente potrà a buon titolo avanzare la sua candidatura a rappresentare la Eastern Conference all’atto conclusivo della stagione.
Partita a scacchi
Nonostante il confronto sulle panchine vedesse in Ime Udoka un esordiente assoluto e in Mike Budenholzer un allenatore a cui, a torto o a ragione, non viene riconosciuta grande capacità di leggere le partite, la prima parte della serie è stata una lunga partita a scacchi giocata sul parquet. I due coach, forti di roster con pochissimi anelli deboli dal punto di vista difensivo – forse i soli Payton Pritchard e Daniel Theis da una parte, Grayson Allen e Bobby Portis dall’altra –, si sono approcciati alle prime due partite ponendo enfasi sull’attenzione nel fare le cose che riescono meglio e ancor di più nell’osservare le mosse dell’avversario. Così in gara-1 i Bucks sono partiti con il quintetto extralarge e la frontline formata da Antetokounmpo, Portis e Lopez in modo da consolidare la difesa del pitturato, loro punto di forza ormai da tre stagioni, pressando al contempo i portatori di palla avversari nel tentativo di sfruttare l’assenza di veri e propri ball handler nei Celtics. Boston, nell’impossibilità di avvicinarsi al ferro, si è vista costretta a prendere 50 triple e a tirare con un misero 33.3% complessivo dal campo, chiudendo con un misero 10/34 da due punti. Le 18 palle perse dai ragazzi di Udoka e l’abilità di Antetokounmpo nello sfruttare i raddoppi costanti e trovare compagni liberi hanno completato l’opera.
Assist creativi e dove trovarli.
In una sorta di replica a specchio, in gara-2 è stato Udoka ad azzeccare tutti gli aggiustamenti, a partire dalla decisione di abbandonare il raddoppio costante su Antetokounmpo per puntare invece sulla difesa individuale di Grant Williams in transizione e di Al Horford nei possessi a metà campo. La decisione ha abbassato in maniera drastica la qualità dei tiri a disposizione dei Bucks, tradottasi in un rating difensivo complessivo (91.5) quasi a livello di quello spaventoso (89) tenuto da Milwaukee in gara-1, permettendo di controllare una partita di fatto già decisa all’intervallo lungo e suggellata dal 46.5% da dietro la linea dei tre punti, frutto in gran parte delle eccellenti prestazioni al tiro del duo Brown-Tatum e di Grant Williams.
In quattro Celtics toccano la palla prima di arrivare alla tripla aperta per Brown.
Giannis contro tutti, Horford contro Kronos
Come succede spesso, una serie inizialmente giocata sugli aggiustamenti reciproci ha preso poi un andamento più discontinuo e legato alle prestazioni dei singoli. Se le prime due partite erano servite ai coaching staff per valutare pregi e difetti dell’avversario, da lì in poi il confronto si è giocato sulla capacità degli attacchi di segnare nonostante la pressione delle difese. E in gara-3 i Celtics hanno rischiato di vincere in trasferta a dispetto della peggior prestazione di Tatum in stagione (10 punti, 4/19 al tiro, 1 rimbalzo e 3 palle perse in 41 minuti), sulle cui difficoltà ha pesato parecchio la marcatura di un Wes Matthews indemoniato (zero punti segnati su 9 tentativi quando era l’ex Portland e Dallas a marcare la stella di Boston).
Dall’altra parte per i Bucks sono affiorati i limiti di un attacco privo di Middleton e in cui la pochezza di Allen, impalpabile in attacco e puntato su ogni possesso in difesa, costringeva Holiday a prendersi 30 tiri, realizzando con il 36.7%, e Budenholzer a lasciare in campo Pat Connaughton più del previsto. La prestazione monstre di Antetokunmpo, a 2 assist da una tripla doppia con 42 punti e 12 rimbalzi, e il cronometro hanno poi deciso una sfida che aveva cambiato padrone per ben 15 volte in 48 minuti.
Giannis rimane accoppiato con Brown e si trasforma in Rudolf Nureyev.
Sempre a proposito di prestazioni monstre, gara-4 ha visto salire in cattedra l’esimio professor Al Horford. Ancora una volta privi di Robert Williams alle prese con il solito ginocchio dispettoso, i Celtics gli hanno affidato la cura di Antetokounmpo, lasciando l’altro Williams su Holiday in modo da poter risultare efficaci su ogni cambio nei giochi a due tra Giannis e Jrue, ma gli hanno anche chiesto di prendersi tiri importanti nei momenti chiave della partita. Programmata la Delorean per tornare nell’anno di grazia 2015, Big Al ha sfornato il suo massimo stagionale a quota 30 e guidato i Celtics nello strappo del 4° quarto segnando 16 punti senza sbagliare un tiro. I Bucks, affossati dal 19/54 mandato a referto dalla coppia Antetokounmpo-Holiday, non sono riusciti a sfruttare il vantaggio a rimbalzo (48-38) finendo per soccombere alla strepitosa difesa in transizione di Boston.
Horford che si porta a spasso Giannis, gli schiaccia in testa e prende anche il fallo: tutto normale a quasi 36 anni.
Infermerie e fischi
Immaginare cosa possa succedere ora è quasi impossibile, anche perché la serie è soggetta a una serie di fattori al momento non prevedibili. A cominciare dagli infortuni, che per parte dei Celtics lasciano dubbi sulle reali condizioni di Smart, in campo nelle ultime due ma apparso evidentemente limitato, e di Robert Williams, la cui presenza è fondamentale per evitare di sovraccaricare Horford. Per quanto concerne i Bucks, qualora la squadra si dovesse trovare spalle al muro dopo gara-6, non è impossibile ipotizzare una forzatura dei tempi di recupero di Middleton, anche se al momento il suo rientro sembra poco probabile e avrebbe il sapore di mossa della disperazione.
L’altro fattore che potrebbe pesare nel prosieguo della sfida è il metro arbitrale, fin qui non esattamente omogeneo durante le gare e ancor meno tra una partita e l’altra. Per quanto sia evidente la difficoltà nell’arbitrare una serie così fisica e caratterizzata da difese sempre al limite dell’infrazione, su molti aspetti, dall’utilizzo del braccio esterno da parte di Giannis in attacco al giudizio sul posizionamento dei difensori nei contatti considerati come sfondamenti, la linea degli arbitri è sembrata imperscrutabile, spesso a danno della continuità del gioco più che delle singole parti in causa.
Cose da fare per vincere (o almeno provarci)
Per vincere quella che ora si trasforma in una disputa al meglio delle tre partite in cui Boston ha riguadagnato il fattore campo, ci sono alcune tendenze che le due squadre, sulla scia di quanto visto nelle prime quattro sfide, dovrebbero cavalcare o viceversa provare a invertire. Ai Celtics, soprattutto se si dovesse protrarre l’assenza di Robert Williams, servirà poter disporre della versione vintage di Horford vista finora ai playoff, davvero essenziale per Udoka su entrambi i lati del campo. In attacco, poi, Boston avrà bisogno che il supporting cast si faccia trovare pronto sugli scarichi di Brown, Smart e Tatum. A Grant Williams e Derrick White toccherà segnare con continuità quando chiamati in causa, in particolare nelle triple dagli angoli dove contro i Bucks Williams sta già tirando con il 53.5% mentre White flirta a malapena con il 30%. I Celtics, infine, per superare l’ostacolo Milwaukee avranno bisogno che il loro miglior giocatore, che pur sta faticando al tiro (38.3% nella serie per Tatum), continui a essere letale quando arriva il momento di decidere il risultato (66.7% dal campo e +27.7 di net rating per Tatum negli ultimi quarti, spesso decisivi, delle quattro partite).
Quando il gioco si fa duro, Tatum segna in acrobazia.
Le speranze dei Bucks sono invece prima di tutto legate alle percentuali al tiro di Jrue Holiday, che nei primi quattro episodi della serie ha messo insieme un poco confortante 33.7% dal campo. Senza Middleton, i campioni in carica non si possono permettere tanta imprecisione da parte di quello che diventa automaticamente il loro miglior portatore di palla, soprattutto in relazione al massiccio volume di tiri presi dall’ex Philadelphia e New Orleans. Il vuoto generato dall’assenza di Middleton, in teoria, dovrebbe essere colmato, almeno in parte, da Allen che però, come già accennato, per ora è stato un fattore solo in gara-1, dove è riuscito a sfruttare bene gli spazi concessi dalla difesa avversaria alle prese con la fisicità di Antetokounmpo e Holiday.
Smart indeciso se raddoppiare su Giannis e metro abbondante di spazio per Allen.
Come per i Celtics, ça va sans dire, anche ai Bucks servirà il loro miglior giocatore al meglio della forma. Giannis sta giocando una serie di assoluto livello (32 punti, 13 rimbalzi e 8 assist di media), ma l’impressione è che sia in grado di alzare ulteriormente i giri del motore e, un po' come successo durante le Finals 2021, possa caricarsi l’intera squadra sulle spalle. Un po' di attenzione in più alla selezione di tiro e qualche sbavatura in meno nelle letture offensive potrebbero renderlo del tutto inarrestabile, ammesso che non lo sia già. Nel terzo quarto di gara-4 era entrato in modalità “distruttore di mondi” segnando 13 punti e portando al ferro tutto il Massachusetts, ma ha finito per pagare lo sforzo erculeo con un quarto periodo da 6 punti, 3/7 al tiro e 2 palle perse: gestire le sue energie sarà fondamentale per non sovraccaricarlo troppo, perché giocare 48 minuti di penetrazioni continue al ferro (specialmente considerando i contatti di questa serie) sfiancherebbe chiunque, persino uno come lui.
A noi, spettatori neutrali o tifosi, non resta che godere quanto resta di una serie che magari non sarà gradevole dal punto di vista estetico, e che tuttavia mette a confronto due squadre pronte a contendersi ogni pallone e a far sudare all’avversario ogni singolo canestro. Sempre tenendo presente quel vecchio motto a proposito dell’attacco che vende i biglietti e della difesa fa fare quell’altra cosa. Anche perché sia Boston che Milwaukee, con piena legittimità, puntano a giocare fino a giugno inoltrato, ma per arrivarci dovranno prima eliminare l’altra. Comunque vada a finire non sarà un’impresa facile.