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Marco D'Ottavi
La Nazionale italiana di calcio che forse non conoscete
09 feb 2021
09 feb 2021
Storia di un'idea affascinante ma con poco successo.
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Marco D'Ottavi
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Foto da Wikipedia
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Nel 1960 il calcio è stato inventato da ormai cento anni e noi non abbiamo ancora battuto gli inglesi. Certo, loro non si sono mostrati molto disponibili ad aprirsi con il resto del mondo come nazionale, rivendicando un diritto divino sopra il calcio, ma un bottino di 4 pareggi e 3 sconfitte in 7 amichevoli deve essere visto dagli italiani come un’onta da lavare al più presto. E se c’è qualcuno che brilla nel risolvere problemi apparentemente banali in modo oltremodo complesso, quelli siamo noi. L’idea arriva da Giuseppe Pasquale, il Presidente della Lega Nazionale Professionisti, ed è tanto contorta quanto efficace: il primo novembre 1960 si affrontano in un San Siro gremito da 50mila spettatori la Nazionale di calcio di Lega della Serie A (o Nazionale di Lega o Lega Serie A, insomma fate voi) - cioè una squadra composta dai migliori giocatori del campionato italiano senza vincolo di provenienza geografica - e il corrispettivo inglese, ovvero una Nazionale composta dai migliori giocatori provenienti dall’allora Football League. Anche per gli inglesi cade il vincolo di provenienza, tuttavia l’unico straniero presente (erano tempi di autarchia calcistica per il calcio inglese) sarà il portiere tedesco del Manchester City, Bert Trautmann. Fatto prigioniero durante la seconda guerra mondiale era rimasto in Inghilterra per giocare a calcio.Immaginare una “Nazionale del campionato” non era facile neanche a quei tempi, in una continua tensione tra equilibrio tattico e campioni (immaginate di dover fare la vostra squadra adesso e accontentare chi vi chiede di mettere in campo Lukaku, Ibrahimovic e Cristiano Ronaldo e chi di vincere). Il compito spetta ai ai selezionatori Foni e Viani che lo affrontano con eccezionale spirito d’avventura, nonostante in Italia fossero gli anni del “catenaccio”: dopo aver schierato la difesa, si va di fantasia: vengono schierati insieme nella metà campo avversaria Hamrin, Charles, Tacchi, Angelillo, Altafini e Boniperti, tutti centravanti o ali. Tutti, insomma, giocatori offensivi.L’esordio e la guerra con gli inglesiNon si capisce bene se lo spirito sia quello di un’amichevole volitiva o se l’obiettivo è vincere, tuttavia l’esperimento funziona: la Lega Serie A batte quella inglese con un pesante 4-2, giocando secondo le cronache dell’epoca una partita di eccezionale valore e mettendo un’ipotetica x alla voce “battere gli inglesi al loro gioco”. Il giorno dopo Sport Illustrato commenta così la partita di San Siro: «L’incontro tra le squadre di Lega ha avuto un solo grande merito: quello di avere offerto, a quarantamila spettatori e a centinaia di migliaia di teleamatori del calcio, uno spettacolo come raramente è possibile gustare. Una constatazione che non aggiunge un ette al convincimento che senza Charles, Hamrin, Angelillo, Tacchi, Altafini — stranieri di nazionalità o di scuola — il grande calcio da contrapporre alle migliori compagini mondiali non sarebbe alla nostra portata», ricordando implicitamente che invece il calcio della Nazionale italiana è, proprio per DNA, un calcio brutto e di sacrificio.

Effettivamente, a guardare i gol, quella Nazionale di Lega gioca un calcio davvero brillante.

Italia e Gran Bretagna decidono di portare avanti questo strano esperimento anche l’anno successivo: nel bel mezzo del campionato la Lega Serie A se ne va in tour oltremanica per affrontare nel giro di sette giorni, tra il primo e l’8 novembre 1961, prima la Lega Scozzese e poi, di nuovo, quella inglese. A Hampden Park, davanti a 67mila persone (90mila per alcune cronache), ne esce fuori un salomonico 1-1: all’inglese dell’Inter Gerry Hitchens risponde nei minuti finali Ralph Brand. Rimane a secco, nonostante i 90 minuti in campo con la Lega Serie A, Denis Law, attaccante del Torino e ancora oggi miglior marcatore della Nazionale scozzese (quella vera, se così si può dire).La seconda partita si gioca all’Old Trafford davanti a oltre 50mila tifosi. Gli inglesi risolvono la confusione tra Nazionale di Lega e Nazionale schierando direttamente la seconda, ma non basta: Lojacono e di nuovo Hitchens firmano il 2-0 che permette alla Lega Serie A di vincere anche la seconda sfida, decretando in maniera piuttosto empirica la superiorità del nostro campionato sul loro (l’albo della Coppa dei Campioni in quegli anni reciterà: Milan, Inter, Inter).

Sui giornali prende il nome di Supernazionale.

In un calcio dai calendari ancora umani, la Lega Serie A tiene botta ancora per qualche anno: nel novembre del 1962 batte gli scozzesi a Roma per 4-3, gol vittoria dello svedese Hamrin, ma perde a Highbury contro la Lega inglese per 3-2, una partita caratterizzata da soli gol britannici, visto che le due marcature della Serie A vengono firmate da un crepuscolare John Charles, che proprio in quei giorni stava diventando un giocatore della Roma.L’eccitazione per le Nazionali dei campionati però sfuma rapidamente. Nel maggio del 1964 Lega Serie A e Lega Inglese si affrontano in un San Siro pieno per meno di metà, dimostrando come tolta la novità questo strano ibrido tra Nazionale e campionato non convinca neanche il pubblico, soprattutto una volta risolta a nostro favore la contesa con gli inglesi. Anche in questa ultima recita a spuntarla sono gli “italiani” grazie a un gol dello spagnolo Luis Suarez. In una partita raccontata come spenta e brutta, si segnala la presenza di un giovane Gigi Meroni, appena passato al Torino.Una Nazionale autarchicaDopo un lustro di silenzio, la Lega Serie A ricompare dal nulla nel 1971, sull’onda lunga della vittoria dell’Europeo nel 1968 e il secondo posto in Messico nel 1970. Tuttavia la Serie A è molto cambiata: nel 1966, dopo l’eliminazione con la Corea del Nord ai Mondiali, vengono chiuse le frontiere, rendendo il nostro campionato praticamente autarchico. In mancanza dei campioni stranieri, che poi sono quello che aveva reso quanto meno curioso questo strano assemblaggio, la Nazionale di Lega diventa una specie di Nazionale sfigata: non più passerella per le stelle, ma una flebile speranza per i calciatori italiani fuori dal giro della rappresentativa maggiore. La rosa è un miscuglio tra giovani non più anagraficamente adatti all’Under-21 e carneadi ormai troppo in là con l’età per far parte dell’Italia. La prima partita è contro una non meglio specificata Rappresentativa Budapest, una formazione che sembra uscire da un romanzo di Le Carré, che batte la Lega Serie A per 1-0 grazie al gol di Dunai II. “Squadra sbagliata, squadra battuta” apre l’articolo il giorno dopo La Gazzetta dello Sport, mostrando una certa ritrosia verso questa versione posticcia dello squadrone che aveva fatto tremare gli inglesi (o almeno: The Football League XI, come lo chiamano da quelle parti).Non va meglio neanche nei due successivi impegni di questa Lega Serie A autarchica contro la non meglio specificata Lega Belgio, che immagino dovesse essere composta dalla crème del campionato belga. Due sconfitte per 2-1 e 0-1 che passano praticamente inosservate, non lasciando traccia sui giornali di casa nostra. Due sconfitte mefistofeliche più che sanguinose, perché la Nazionale della Serie A va in soffitta per ben sedici anni, finendo per essere dimenticata dalla storia, almeno fin quando a fare la storia non siamo stati noi.Quando eravamo reCome una fenice la Nazionale di Lega risorge dalle sue ceneri nel 1988. Sono gli anni d’oro del nostro calcio: il Milan di Sacchi sta per conquistare il mondo, il Napoli ha Diego Armando Maradona, semplicemente il più incredibile calciatore della storia. Dietro di loro ci sono sparsi per la penisola i migliori calciatori disponibili in quel momento. Sembra quasi normale che la Lega Calcio voglia usare la sua Nazionale come testa di ponte del suo prodotto, provando a mettere insieme su un campo da calcio il meglio che si potesse trovare in giro. L’idea però non viene salutata con grande entusiasmo da una Serie A totalmente rivolta verso se stessa. Gianni Mura, in un sua pagella di quei giorni, la stronca così: “Un 5 all'idea di rispolverare la Nazionale di Lega, non se ne avvertiva in modo lancinante la mancanza e il calendario è già abbastanza pieno”. L’attenzione è infatti tutta spostata verso un campionato che è già, domenica dopo domenica, una specie di “campionato all-star”. La FIGC, con l’Italia impegnata negli stessi giorni in amichevole con l’Olanda, prende le distanze non concedendo divise ufficiali a questa “turbonazionale”, che deve accontentarsi di una punta di blu diversa da quella delle maglie dell’Italia. Per il resto, si prova a fare le cose in grande: l’avversario scelto è la Polonia, quindi un avversario vero, non un’altra squadra di Lega che darebbe all’evento il sapore di un’amichevole balenare, ma soprattutto in panchina viene ingaggiato il nuovo profeta della tattica, Arrigo Sacchi. Parte però subito la polemica: Edmondo Fabbri sostiene che questa rappresentativa sarà un problema, visto che Sacchi giocherà a zona, sconfessando la linea della Federazione. Boskov invece si chiede un po’ furbescamente perché non organizzare una sfida tra la Nazionale di Vicini e quella di Sacchi? Qualcun altro - più maligno - ipotizza che la vera sfida sarebbe tra il Milan e la Lega Serie A.In realtà l’evento è così poco sentito che le polemiche si limitano alle bazzecole: l’unica riguarda la defezione di Oleksandr Zavarov, il sovietico che doveva sostituire Platini nei cuori bianconeri, che pare essersi inventato un infortunio perché offeso dalle parole dell’allenatore rossonero che dopo un Milan-Juve, a chi gli aveva chiesto cosa pensasse del russo, aveva risposto: «Non l'ho visto, ma che numero di maglia aveva?». Se Zavarov dà buca, accanto a un manipolo di italiani fuori dal giro della Nazionale, la Lega Serie A può contare su alcuni stranieri eccezionali come Brehme, Matthäus, Maradona, Careca e Caniggia.

Il 12 novembre 1988, in un San Siro deserto (appena 5464 paganti), va in scena questo piccolo gioiello del situazionismo calcistico. La Polonia è la Polonia, la Lega Serie A ha questa maglia blu, con il colletto bianco senza sponsor che sembra uscita da una Prima Categoria, sul petto una pecetta triangolare di ispirazione futurista. Dopo 28 minuti Volpecina, difensore centrale del Verona forse allergico alla rivoluzione sacchiana della zona, si fa sfilare accanto un lungo lancio della difesa polacca lasciando strada libera al gol di Warzycha. A rimettere le cose in pari ci pensa Tassotti, fido scudiero del mister, che approfitta della fortuna di dividere un campo da calcio con Maradona per orchestrare un triangolo perfetto, dove ovviamente l’argentino esegue il passaggio di ritorno con un tocco geniale. E come sempre accade quando era in campo, anche questa partita ruota intorno al "Pibe", sole anche quando tutto intorno sembra spento. Prima colpisce l’incrocio con una punizione in bello stile, poi è lui a pareggiare definitivamente la contesa a due minuti dalla fine, dopo una doppia giocata in solitario - eccezionale il controllo con cui elude il primo difensore - conclusa con uno stop di petto e un sinistro al volo di taglio che lascia immobile il portiere polacco. La smodata esultanza che lo segue (mentre Tassotti dopo il suo gol si era quasi schernito) racconta quanto l’argentino su un campo da calcio riuscisse ad astrarsi dal contorno. È uno dei pochi a giocare tutti i 90 minuti - «Mi chiese di giocare solo un tempo perché non si era allenato, poi nell'intervallo cambiò idea, venne a domandarmi se poteva restare in campo, perché si stava divertendo» raccontò Sacchi tempo dopo - e soprattutto uno dei pochi a provarci davvero nonostante la presenza di gruppo di tifosi interisti che per tutta la partita non aveva fatto altro che beccarlo, mentre un gruppo di tifosi milanisti invece si era preso la briga di difendere il 10 del Napoli, e chissà come si erano spartiti i compiti.

Insomma, anche questa versione della Lega Nazionale rimane lì, né carne né pesce: fornita sì di campioni, ma incapace di scaldare i cuori dei tifosi. Dopo la partita Nizzola cerca lo spin pacifista: «Far vestire la stessa maglia a giocatori di squadre diverse è importante per combattere la violenza» senza però fare grande presa nell’immaginario. L’unica notizia di colore è la fuga di Andrzej Rudy, centrocampista del Katowice, che fa perdere le proprie tracce prima della partita. Si scoprirà tempo dopo che passando per l’Austria aveva raggiunto la Germania, dove chiese asilo politico. L’ultimo ruggito Ignorando la lezione, la Lega calcio ci riprova di nuovo all’inizio del 1991. Possibilmente più iconico, il nostro campionato sta vivendo un momento di splendore unico, trainato anche dai Mondiali del 1990. La Lega Calcio trova sponda negli inglesi per riproporre la sfida che aveva dato origine a tutto, ovvero quella contro il meglio della Football League, ancora brutto anatroccolo e non cigno Premier League. Come patria dell’evento viene scelto il San Paolo. Per alcuni serviva per convincere Maradona a partecipare di nuovo, un modo per ricucire la ferita del Mondiale. L’argentino mezzo infortunato e vicino alla fine però declinò l’invito rimanendosene a Buenos Aires. Affidata al tecnico del Napoli, Bigon, la versione della Nazionale di Lega Serie A 1991 è comunque una squadra stellare che davanti può contare su Matthäus e van Basten, che si sono divisi gli ultimi tre Palloni d’Oro. Al contrario gli inglesi arrivano con una squadra che non scalda i cuori: i migliori sono Ian Rush, reduce da una brutta esperienza alla Juventus, Anders Limpar passato dalla retrocessione in B con la Cremonese al titolo con l’Arsenal e John Barnes, stella del Liverpool. Manca tuttavia gente come Gascoigne, Platt - che infatti poi sarebbero arrivati in Italia - e Ian Wright, loro sì avrebbero impreziosito l’evento. La partita si infila tra la 16esima e la 17esima giornata ed è un fiasco. Milan, Inter, Sampdoria, Juventus e Parma sono strette in appena tre punti e l’attenzione è rivolta tutta alla lotta per lo Scudetto. Sui giornali la partita non esiste, il San Paolo, senza il suo capopopolo, andrebbe quasi vuoto, se non fosse per i biglietti regalati dalla Federazione a scolaresche e sponsor. Alla fine circa tredicimila persone assistono all’esibizione dei migliori giocatori del mondo mentre indossano una maglia vaporwave a cui qualcuno deve aver distrattamente cancellato un pezzo.

La partita sembra uscire direttamente da uno di quei videogiochi anni ‘90, con i pixel grandi un dito e i nomi leggermente modificati. Il primo gol lo segna Marco van Basten su errore della retroguardia inglese, il secondo Careca su errore della retroguardia inglese, che si fa notare solo per le capigliature un po’ naif e la svagatezza che abbiamo imparato a riconoscere nei brevi video su Twitter che ci raccontano della pochezza del calcio inglese degli anni ‘90. Succede tutto in due minuti e comunque - seppure in una partita esibizione - quanto spesso può capitare di vedere due difensori commettere due errori marchiani che portano al gol in meno di 120 secondi? Per il resto la partita scorre tranquilla fino al terzo gol, un lampo improvviso di un argentino sconosciuto del Pisa di nome Diego Pablo Simeone.

Forse non casualmente, di questa partita rimane qualche accenno divertito solo nei blog nostalgici inglesi. In quegli anni il nostro calcio era praticamente un culto e la Serie A italiana anni ‘90 rimane come una lontana madelaine da quelle parti ancora oggi, forse anche più che qui da noi, dove a una naturale nostalgia abbiamo mischiato la retorica dei bei tempi che non ci sono più. Comunque questa a Napoli rimane - a oggi - l’ultima dimenticabile esibizione della Nazionale di Lega. Immaginare una quarta rinascita oggi sembra assurdo, in un calendario in cui è difficile infilare anche uno spillo. Eppure tra spinte filoamericane di All-Star Game per celebrare i campionati e, soprattutto, con il sempre più insistente discorso sulla Superlega, l’idea di sublimare il calcio alla sua parte più visibile non sembra così peregrina. La storia della Lega Serie A ci dice però che non è tutto oro quello che luccica.

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