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Antonio Cunazza
I Mondiali non saranno sostenibili come dice il Qatar
16 nov 2022
16 nov 2022
La sostenibilità ambientale è un altro problema del torneo che sta per cominciare.
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Antonio Cunazza
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CHINE NOUVELLE/SIPA
(foto) CHINE NOUVELLE/SIPA
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Qatar 2022 si porta dietro questioni problematiche, in questo articolo, che metteremo in cima ad ogni pezzo sul Mondiale, abbiamo raccolto inchieste e report che riguardano le morti e le sofferenze ad esso connesse.

Gli imminenti Mondiali di Qatar 2022 sono problematici da diversi punti di vista, già molto discussi da anni, come la violazione dei diritti umani dei lavoratori che hanno costruito le sue infrastrutture o le accuse di corruzione che hanno accompagnato la sua assegnazione. Un tema che invece fa meno rumore, almeno qui in Italia, è quello della sostenibilità ambientale di questo torneo. Eppure viviamo in un momento storico che fa i conti con una crisi climatica urgente e pressante (seppur molti non se ne sono ancora resi conto), e che si riflette anche su questi Mondiali in un modo molto più eclatante di quanto sia stato raccontato e, allo stesso tempo, anche in modo paradossale.

Questi Mondiali dureranno 28 giorni, meno di un mese per un torneo che la monarchia del Golfo ha immaginato e preparato quasi come un'Expo, una gigantesca fiera di lusso che inizia e finisce, che viene preparata nei minimi dettagli con uno sforzo organizzativo e tecnologico non indifferente ma che dietro di sé non deve lasciare quasi nulla di davvero ingombrante e ingestibile. Questo è il primo paradosso: un Paese che non ha alcuna tradizione calcistica organizza il torneo più importante al mondo pensandolo come un evento “one shot”, per renderlo un esempio virtuoso di sostenibilità ed eliminazione degli sprechi ma al costo di risorse ed energie spese fuori dal comune.

Proviamo a metterla in numeri: dal 2007 a oggi (il Mondiale 2022 è stato assegnato al Qatar nel novembre del 2010), le autorità del Paese hanno avviato un programma per aumentare considerevolmente i campi da gioco sul territorio, arrivati oggi a 144 (8 stadi e 136 campi d’allenamento). Per gestirli e curarli ogni settimana, considerando temperature mediane che si aggirano intorno ai 30 gradi tra settembre e novembre, e intorno ai 18 tra dicembre e febbraio, si è deciso di “simulare” un clima più mite ricorrendo a interventi esterni forzati.

Ogni anno, negli ultimi 15 anni, 140mila tonnellate di semi sono arrivate in Qatar dagli Stati Uniti (su aerei che potessero mantenere temperature controllate) così da poter continuare a rinnovare e rizollare i terreni, pompando poi aria condizionata direttamente sui prati ogni giorno e irrigando con acqua di mare desalinizzata. Quello della desalinizzazione è un processo che di fatto è alla base dello stesso uso di acqua pulita per ogni attività civile dell’intero Golfo Persico: va ricordato, per esempio, che i Paesi della cosiddetta Gulf Cooperation Council (cioè Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) utilizzano oltre il 40% dell’acqua desalinizzata usata in tutto il mondo.

Ogni campo da gioco del Qatar, da solo, durante i Mondiali avrà bisogno di 10mila litri di acqua desalinizzata al giorno per essere irrigato e mantenuto a livelli di verde impeccabili. E questa è solo una parte del totale dedicato a tutte le attività cittadine, per un Paese che negli ultimi due decenni ha forzatamente alzato il tenore di vita degli agglomerati urbani locali, fra mega-fontane spettacolari in stile Las Vegas, centri di bellezza di lusso, campi da golf, parchi a tema e servizi h24 per grattacieli e palazzi scintillanti, che spremono le risorse d’acqua di un Paese che l’acqua, in generale, non ce l’ha.

Foto di Igor Kralj/PIXSELL

Non che la desalinizzazione sia qualcosa di sconosciuto alle nostre latitudini (in Italia ci si sta pensando e in Spagna, per esempio, c’è un impianto dedicato solo alla città di Barcellona) ma ha anche dei risvolti negativi che possono sfuggire di mano: il consumo di energia per far funzionare l’intero processo è attualmente enorme, e anche molto inquinante se si fa ancora affidamento sui combustibili fossili, e in Qatar gli impianti funzionano a gas o a petrolio (sui dati di consumo le autorità locali non vogliono fare menzione). E questo senza contare la produzione di circa 1,5 litri di salamoia di scarto per ogni litro di acqua “depurata”, reimmessi nel mare con rischi enormi per l’ecosistema marino.

Il tema delle risorse energetiche e idriche è quasi un piccolo manifesto dell’approccio del Qatar all’organizzazione di questi Mondiali (e, in parte, al miglioramento dello stile di vita di parte della popolazione): uno Stato che non ha acqua continua a spingere sull’acceleratore del progresso, creando “cose” che l’acqua la consumano a dismisura e trovandosi quindi a doverla produrre forzatamente depurata dal mare, con ulteriore consumo fuori scala di combustibili fossili.

Non che nella strategia di PR del Qatar per vendere questo Mondiale come carbon neutral non ci sia qualche verità. Innanzitutto i Mondiali di Qatar 2022 sono l’edizione della storia con la minor distanza media fra gli 8 stadi coinvolti: tutti saranno raggiungibili in un raggio di appena 55 km dalla città di Doha – una situazione che ricorda molto la prima edizione dei Mondiali, nel 1930 in Uruguay (quando però gli impianti ospitanti erano solo 3 e tutti nella capitale Montevideo).

La “Strategia di Sostenibilità” di Qatar 2022, inoltre, include una serie di iniziative volte a mitigare le emissioni derivanti dallo svolgimento del torneo, e ha previsto stadi efficienti dal punto di vista energetico, trasporti pubblici a basse emissioni e pratiche sostenibili di gestione dei rifiuti. Gli stadi dei Mondiali sono stati progettati e costruiti con una pianificazione mirata, che partiva dalla riduzione di polveri di risulta durante le fasi di cantiere, e ogni impianto è stato poi valutato con certificazione a 4 stelle dal Global Sustainability Assessment System (GSAS) riguardo i parametri di progettazione, realizzazione e direzione lavori.

Quelli che vedremo durante il torneo sono stadi con un’estetica elegante, molto spesso legata alla tradizione artistica e culturale del Qatar, e a livello strutturale una parte di loro è già stata pensata come modulare e smontabile a fine evento. Sono state creati percorsi ciclopedonali per stimolare la mobilità dolce, mentre la metropolitana di Doha è dotata di materiali, rivestimenti e verniciature dal basso impatto ambientale. Il riciclo dell’acqua all’interno degli stadi, infine, dovrebbe restituire un consumo totale del 40% in meno rispetto agli standard medi di un torneo di questo tipo.

Ci sono però altri paradossi. I 40mila posti dell’Al-Thumama Stadium di Doha diventeranno 20mila dopo i Mondiali (con la rimozione di un anello intero di gradinate) ma, per accompagnare la sua costruzione, l’80% dell’area circostante è stata arricchita di nuova vegetazione locale disseminata apposta per creare un ambiente climatico favorevole allo svolgimento del torneo. Sono dati orgogliosamente dichiarati nei report dell’organizzazione: “i paesaggi a verde mitigano l’aria e il clima”, “sono stati creati più di 850mila metri quadrati di nuovi spazi verdi, con 16mila nuovi alberi”. Sembra di descrivere un’enorme scenografia per il teatro o per il cinema ma tutto questo un impatto ambientale per forza di cose ce l'ha, nonostante le buone intenzioni.

Fra gli otto stadi che ospiteranno le partite, un totale di 170mila posti sarà smontato, frammentato e donato a strutture sportive, a ospedali e scuole in giro per il Paese. Lo Stadium 974, già diventato progetto architettonico di culto, è il primo stadio interamente smontabile che abbiamo mai visto: firmato da Fenwick Iribarren Architects, è stato costruito con container solitamente destinati alle spedizioni internazionali (in effetti, sono 974 in totale, un numero che è il prefisso telefonico del Qatar), inglobati in un telaio di acciaio che ricorda il gioco del Meccano.

Foto Balkis Press/ABACA

Al termine del torneo, lo stadio sarà completamente smontato e i container e la struttura in acciaio verranno riutilizzati all’interno del progetto del nuovo conglomerato urbano sul lungomare, a 40 km a est di Doha: un nuovo tentacolo della capitale, con ulteriori edifici destinati agli affari e al commercio ma anche con spazi ad uso della comunità locale e delle attività sociali, e quindi a nuovi consumi. In questo Mondiale si rincorrono sprechi e buone intenzioni, che si alternano in un fragile equilibrio però quasi impossibile da portare avanti in modo coerente.

In anni recenti, i Giochi Olimpici hanno già aperto la strada verso la sostenibilità, imponendo impianti il più possibile riutilizzabili o adattabili su parti di città esistenti (Parigi 2024 in questo senso sarà un esempio fondamentale) e se il calcio si adegua con il suo torneo più importante, soprattutto dopo i casi di “eredità fine a sé stessa” di Brasile 2014 (e parzialmente di Sudafrica 2010 e Russia 2018), non può che essere un bene, almeno in teoria. Il problema di questo Mondiale, però, è che ne riproduce in piccolo le contraddizione su cui si fonda l'intero Paese, non solo per quanto riguarda lo sfruttamento dei lavoratori ma anche la sua sostenibilità ambientale. E per correggere questo non basta il progetto di uno stadio.

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