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Gian Marco Porcellini
Il Mondiale del Belgio
18 giu 2018
18 giu 2018
Roberto Martinez ha rivoluzionato il Belgio, ma questa è forse l'ultima occasione per la golden generation di dimostrare il proprio effettivo valore.
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Gian Marco Porcellini
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Se ancora non è arrivato il momento dell’all in

di sicuro questo Mondiale per il Belgio rappresenta il tavolo verde su cui scoprire le proprie carte e comprendere meglio lo scarto tra il valore potenziale e quello effettivo della sua

. Perché la più grande concentrazione di talento della propria storia - racchiusa sostanzialmente in tre annate (’87-’91-’93) - gravata in questo quadriennio da un carico consistente di aspettative, nei due appuntamenti topici, i Mondiali del 2014 e soprattutto l’ultimo Europeo, ha deluso per risultati e prestazioni, non andando mai oltre i quarti di finale. Dopo l’eliminazione a Euro 2016 per mano del Galles, il commissario tecnico Marc Wilmots è stato quindi sostituito dall’ex allenatore dell’Everton Roberto Martinez.

 

Lo spagnolo (primo selezionatore dal 1958 non proveniente dal Belgio a sedere sulla panchina della nazionale) per

la condizione di una squadra incapace finora di esprimere le proprie qualità, ha utilizzato indirettamente l’immagine dell’energia minima di attivazione necessaria per innescare un qualsiasi processo chimico.

 

«Credo che quando parliamo di favoriti, c’è una porta psicologica da aprire: quella della convinzione che ci può far vincere il Mondiale. Se la generazione precedente non ce l’ha fatta è perché è molto difficile per un giocatore dire "sì, vinceremo" (...) Ci sono tante belle squadre, ma per avere quella convinzione devono crescere nel corso della competizione. È qualcosa che ho visto con Thierry Henry (che fa parte del suo staff, ndr) quando giocava nella Nazionale francese, che ha vissuto la stessa esperienza nel 1998. In quel Mondiale, quella generazione piena di talento si stava dirigendo verso qualcosa di sconosciuto, per la Spagna è stato lo stesso nel 2008, quando ha vinto il suo primo torneo. Grazie al successo agli Europei quella porta si è aperta e tutto a quel punto è diventato più semplice (...) Anche noi dobbiamo credere nelle nostre qualità, per fare qualcosa che non è mai stato fatto prima nella storia del calcio belga».

 



Martinez è ripartito dallo stesso nucleo, confermando 16 giocatori già presenti agli Europei di 2 anni fa (sarebbero stati 17, considerata la sicura convocazione nel 2016 di Kompany, vittima di uno degli innumerevoli infortuni muscolari che tra l’altro potrebbe fargli

anche questo Mondiale), con l’obiettivo di includere tutti i giocatori migliori, nella fattispecie i centrali difensivi e la batteria di trequartisti.

 

Dopo un paio di partite con il 4-2-3-1 utilizzato anche da Wilmots, l’allenatore spagnolo è quindi passato in via definitiva al 3-4-2-1 per superare i difetti strutturali della precedente gestione: difficoltà nell’attaccare l’ampiezza del campo, determinata anche dalla necessità di adattare centrali difensivi come Vertonghen e Alderweireld sulle fasce per sopperire all’assenza di terzini di livello pur di mantenere la difesa a 4; eccessiva distanza tra i reparti, che si traduceva in transizioni difensive macchinose, ma soprattutto le problematiche nel generare dei vantaggi posizionali dietro le linee di pressione di una fase offensiva che dipendeva morbosamente dalla qualità di De Bruyne e Hazard per risolvere le situazioni statiche, spesso lontano dalla porta.

 


A sinistra il Belgio che agli ottavi di Euro 2016 passeggiò con l’Ungheria, a destra un probabile XI di questi Mondiali. Al di là delle condizioni precarie di Kompany e Vermaelen, che potrebbero essere rimpiazzati da Ciman, e della posizione di De Bruyne, il quale toglierebbe il posto a uno tra Mertens o Fellaini/Witsel, le uniche novità sono costituite dall’esclusione di Nainggolan e la promozione di Dembélé e Ferreira Carrasco, entrambi già presenti due anni fa. Per il resto stessi identici uomini, ma contesto profondamente diverso.


 

L’ex tecnico dell’Everton, che ha avuto la fortuna di sorteggiare un girone eliminatorio morbido con Cipro, Estonia, Gibiliterra, Grecia e Bosnia e il merito di qualificarsi con 2 turni di anticipo, rifilando oltretutto 8 gol ai bosniaci, gli avversari più accreditati alla vigilia per il primo posto (4-0 in casa, 4-3 in un ritorno giocato a qualificazione già acquisita, che è costato ai balcanici l’accesso ai play-off), ha sfruttato questo biennio come una palestra, in cui selezionare un XI tipo fin dalle prime settimane e implementare i principi del gioco di posizione abbozzati da Wilmots.

 

Una formazione in cui si sta sforzando di far coesistere le ali dribblomani a piede invertito prodotte in maniera seriale dal calcio belga, anche a costo di proporre degli incastri forzati – vedi Mertens spostato sulla destra, Ferreira Carrasco quinto di centrocampo a tutta fascia e De Bruyne arretrato sulla mediana - ricreando un contesto che garantisse comunque un equilibrio accettabile tra le due fasi.

 

Si spiega anche in questo modo la scelta di aggiungere un difensore centrale, capace di fornire una copertura migliore dell’area, oltre che facilitare la costruzione bassa e soprattutto bypassare la questione terzini ricorrendo a due laterali a tutta fascia: a destra Meunier, conservativo con la palla nei piedi quanto intraprendente senza (da segnalare i 10 gol stagionali, di cui 5 in Nazionale), a sinistra Ferreira Carrasco, che ama convergere verso il centro. L’ala emigrata in Cina è uno dei 4 offensivi schierati da Martinez, in un lotto che comprende l’intoccabile Lukaku al centro dell’attacco, spalleggiato da due tra De Bruyne, Mertens e Hazard. In realtà in più di un’occasione il commissario tecnico ha declinato in maniera ancora più spregiudicata il 3-4-2-1, con tutti e 5 i giocatori citati sopra contemporaneamente in campo e, come detto, il relativo abbassamento di De Bruyne sulla linea mediana.

 


La struttura posizionale del Belgio in possesso (Meunier sarebbe largo a destra), con Hazard che arretra per agevolare l’uscita del pallone dalla difesa.


 

Un’idea che è stata proposta in questo biennio con una buona frequenza, tanto da essere confermata pure negli ultimi due test match con Portogallo e Arabia Saudita che hanno anticipato il debutto iridato con Panama. In questa maniera l’allenatore catalano vuole accrescere la qualità e il ritmo della fase di possesso, restituendo a KDB la stessa centralità di cui è rivestito nel Manchester City. Quello di De Bruyne è uno stile estremamente asciutto, figlio di una tecnica da manuale e di un costante controllo dello spazio e del tempo, la cui verticalità e velocità costituiscono una variazione sul tema di una manovra paziente e ragionata.

 

La costruzione bassa è affidata ai centrali difensivi, in particolare ai centrali laterali: del resto Vertonghen e Alderweireld, cresciuti entrambi nell’Ajax e tuttora compagni al Tottenham, sono a proprio agio con la sfera nei piedi, tanto che accompagnano l’azione anche in zone più alte, sganciandosi a possesso consolidato per condurre palla o ricevere ai lati del mediano e attirare la pressione avversaria su di sé, in modo da liberare un compagno da servire con un filtrante. Nei primi 40-50 metri il Belgio comunque vuole fare uscire la palla dalla difesa nella maniera più pulita e sicura attraverso la densità di uomini che si viene a formare in zona centrale: ai difensori, a cui viene chiesto di muovere la sfera senza fretta, e ai due centrali di centrocampo in appoggio, si può affiancare in effetti una delle due mezzepunte. Perché un altro dei principi su cui si snoda la fase offensiva vuole che le fonti di gioco rimangano vicine tra loro (a volte anche troppo), allo scopo di creare superiorità in zona palla tramite le combinazioni nello stretto o ricorrendo all’abilità nell’1 vs 1 dei suoi creativi.

 


De Bruyne, Hazard e Mertens posizionati praticamente sulla stessa linea.


 

Se contro avversari passivi in fase di non possesso gli uomini di Martinez hanno riscontrato qualche problema nel muovere la difesa, contro invece squadre più propositive hanno liberato con una certa facilità il terzo uomo, anche grazie a una gamma di movimenti ben riconoscibili. Il trequartista di destra, sia esso De Bruyne o Mertens, per caratteristiche è portato a entrare dentro al campo, liberando quindi la fascia a Meunier, mentre il trequartista di sinistra, Mertens o Hazard, spesso si scambia di posizione con Ferreira Carrasco, per innescare la propria azione tipo (ricezione sulla figura e dribbling in isolamento verso il centro dell’area) staccandosi dalla marcatura avversaria. Va da sé quindi che si tratti di un XI asimmetrico, che pende dal lato forte, solitamente il sinistro, dove fa registrare la maggior parte degli eventi offensivi, in particolare il 47,6% dei dribbling tentati, contro il 32,5% ingaggiati sulla destra e il solo 19,9% al centro.

 


De Bruyne si accentra, idem Ferreira Carrasco, che si inverte con Mertens, ora largo sulla sinistra.


 

Il meno coinvolto nella costruzione della fase di possesso è Lukaku: il centravanti del Manchester United, più che con i lanci lunghi (il Belgio difficilmente alza la palla), viene servito quando si abbassa per provare a raccordare l’azione, aprendo spesso e volentieri dalla parte del suo piede preferito, il sinistro, o per scaricare al compagno più vicino (

un bello quanto estemporaneo movimento di coppia con Mertens). Delle giocate eseguite però in maniera automizzata - da cui emergono anche i suoi limiti nel controllo orientato - che lo rendono un corpo estraneo rispetto a una squadra dai fondamentali di qualità veramente elevata, quasi fosse un elefante in una cristalleria.

 

Nonostante tocchi appena 20,3 a partita (all’Everton nel triennio 2014-17 ad esempio superava quota 30), riesce comunque a influenzare la fase offensiva della sua Nazionale, che ricerca con continuità la via del cross (19,45 per 90’, numeri che tuttavia sono stati drogati dalla pochezza delle formazioni incontrate nel girone) proprio per sfruttare la sua fisicità in area. Un tema dominante che fa passare in secondo gli altri giochi offensivi, in particolare il gioco centrale nell’ultimo terzo di campo, anche perché Lukaku è più propenso a riempire lo spazio dietro al centrocampo avversario che a svuotarlo attaccando la profondità.

 



Malgrado porti tanti uomini sul lato forte, non rientra tra le priorità del Belgio il recupero palla immediato negli ultimi 30-40 metri. Martinez cerca semmai di mantenere la squadra corta, alzando centrocampo e difesa (la lunghezza media in questo biennio si è attestata sui 43,1 metri, un buon dato). Il blocco difensivo in effetti sa difendere uscendo in avanti (in particolare Alderweireld, magistrale negli anticipi) e non ha difficoltà a coprire la profondità.

 

La prima linea di pressione, formata dalla punta e i due trequartisti, talvolta esce sul portatore, più spesso invece concede il palleggio all’avversario e si preoccupa di schermare il centro del campo. Il recupero effettivo della sfera è deputato alla coppia di mediani, che accorcia in zona palla, operando in più di una circostanza una transizione aggressiva.

 


La prima linea concede il palleggio e rimane stretta, mentre Dembélé e De Bruyne si alzano, pronti a uscire nel caso cui uno tra Joao Mario o Joao Moutinho riceva la sfera.


 

Ai due centrali di centrocampo viene chiesto uno sforzo non indifferente a livello atletico e analitico, visto che devono coprire da soli tanto campo in orizzontale (le due mezzepunte infatti non scendono con frequenza sulla linea mediana, mentre i due laterali rinculano in difesa), orientandosi sulla palla senza però perdere di vista gli uomini di riferimento né scollare le distanze tra i reparti. Non è un caso che in questo scenario Dembélé nell’ultimo anno si sia ripreso il posto da titolare. Il centrocampista del Tottenham, pur non essendo un interditore puro (nasce come ala) possiede una fisicità, un dinamismo e una capacità di tagliare le linee di passaggio che lo rendono imprescindibile nelle azioni difensive, a maggior ragione considerando che il centrocampo può contare in alternativa solo su profili più compassati, come Witsel, Fellaini e Dendoncker, o maggiormente votati alla gestione del possesso, come De Bruyne o Tielemans.

 

È una fase difensiva ambiziosa e allo stesso tempo intrisa di pragmatismo, che opera delle scelte ben precise (difendere la fascia centrale) e poggia principalmente sulle spalle di 5 uomini, i tre difensori più i due mediani, per mantenere i fantasisti più freschi, ma che inevitabilmente deve

l’ampiezza del campo, il lato forte quanto quello debole.

 


Witsel e Fellaini stringono sul lato forte, sguarnendo il lato debole (Meunier nel frattempo si era abbassato a fianco di Alderweireld). Anche per questo motivo il Belgio ha sofferto quelle squadre disposte con il centrocampo a 3.


 

Quelle Nazionali che hanno schierato 2 laterali per fascia hanno risalito il campo agevolmente per vie esterne, anche perché i due trequartisti difficilmente si allargano per seguire i terzini, in più un esterno alto come Ferreira Carrasco è meno votato alla fase difensiva rispetto a Meunier e fatica a chiudere le diagonali. Nelle fasi di difesa posizionale, il 5-2-2-1 che si viene a formare è come se “invitasse” l’avversario al cross (i laterali, più che andare al contrasto, stringono verso l’area) consapevole della forza dei propri difensori centrali, che si muovono come un corpo unico, nel gioco aereo e più in generale nella tattica individuale. Vale la pena in questo senso sottolineare gli standard di rendimento mantenuti nell’ultimo triennio da due difensori versatili come Vertonghen e Alderweireld, tra le migliori espressioni della Premier League, pur essendo poco celebrati a livello internazionale, forse perché poco appariscenti.

 



Pur non avendo risolto tutte le criticità della gestione Wilmots, Martinez ha apportato diverse migliorie, che hanno conferito alla selezione un’identità ben definita, sicuramente più coerente in raffronto alla Nazionale che ha ereditato. Un lavoro che la federazione belga pare stia gradendo, come si può evincere dal rinnovo contrattuale fino al 2020 che le parti hanno sottoscritto lo scorso 21 maggio.

 

Se per questo gruppo la spedizione russa non è un

, per una parte della rosa d’altro canto questa è probabilmente l’ultima occasione di giocarsi un Mondiale: i vari Vertonghen, Kompany, Vermaelen, Dembélé, Fellaini e Mertens nel 2022 avranno un’età compresa tra i 35 e i 37 anni e sarà difficile rivederli in Qatar. Lo stesso discorso si può estendere a Nainggolan, non convocato, più che per uno scadimento delle sue prestazioni con la Roma nell’ultima stagione, a causa di

, che il commissario tecnico aveva già

con chiarezza nel novembre 2017, facendo riferimento di rimando pure al temperamento del centrocampista di origini indonesiane.

 

«Radja ha dato il meglio di sé nella Roma proprio quando è stato impiegato da 10 alle spalle di Dzeko, in Nazionale quando è stato proposto in quella posizione non è andata bene per lui. (...) Mi rendo conto che sia un calciatore molto popolare in Italia, ma io devo prendere delle decisioni in funzione dell’equilibrio collettivo. In quella posizione ci sono già Hazard e Mertens, il meglio che il Belgio può offrire (...) Sono consapevole che si tratti di un giocatore dalle enormi potenzialità, ma non credo possa essere adatto a ricoprire il ruolo di quindicesimo o sedicesimo uomo in squadra. Lui deve essere un elemento fondamentale all’interno di una rosa e io non penso che possa fargli bene essere una riserva: certi giocatori possono esserlo, altri - come lui - no. La cosa più difficile per un CT è trovare l’equilibrio. La personalità esuberante di Radja un pericolo? Io devo vedere prima di tutto il rendimento in campo, poi quando mi rendo conto che può funzionare in campo a quel punto mi interrogo di come il giocatore sia fuori dal rettangolo verde, ma per Radja ancora non sono arrivato a questo punto».

 

Martinez l’ha sempre considerato come un centrocampista avanzato o una mezzala da centrocampo a 3, e mai come un interno da coppia, dove gli ha preferito, oltre agli inamovibili Dembélé e De Bruyne, anche centrali più statici come Fellaini e Witsel, forse più utilizzati perché interpretano quel ruolo in maniera più conservativa e posizionale rispetto a un giocatore maggiormente istintivo e diretto come il romanista. L’ormai ex Manchester United al contrario occupa diligentemente la posizione, alzandosi soltanto a possesso consolidato per inserirsi in area e aumentare la presenza fisica negli ultimi 16 metri.

 


Il Belgio schiaccia la Grecia negli ultimi 30 metri e Fellaini si sgancia per buttarsi in area. Da notare il contestuale accentramento di KDB per ricevere palla.


 

Oltretutto si tratterebbe di un

in cui la selezione di Martinez partirebbe da una posizione recessiva, almeno stando alle stime dei bookmakers, che collocano i diavoli rossi all’unanimità al sesto posto nel novero delle favorite alla vittoria finale, alle spalle di Brasile, Germania, Spagna, Fracia e Argentina. In altre parole, per valore assoluto e tabellone l’obiettivo minimo coincide con il pronostico più plausibile: un’avventura fino ai quarti di finale.

 

Il girone G con Inghilterra, Tunisia e Panama pare alla propria portata, anche perché i belgi affronteranno i britannici solo all’ultima giornata, in una sfida che verosimilmente varrà il primo posto. Un eventuale successo contro la Nazionale di Southgate, un’altra di quelle formazioni capace storicamente di tradire le aspettative, oltre a rappresentare una sorta di derby per quella nutrita pattuglia di giocatori che si sono formati e consacrati in Premier League (ma anche lo stesso commissario tecnico), potrebbe convertirsi in quell’iniezione di fiducia necessaria per “aprire la porta psicologica” e affrontare con maggior serenità e consapevolezza la fase a eliminazione diretta, che nel caso in cui termini il raggruppamento davanti a tutti, agli ottavi prevede l’incrocio con la seconda del gruppo H (Polonia?). Successivamente per il Belgio potrebbe profilarsi il quarto

: più che a livello tecnico e organizzativo, il gap con i verdeoro si dilata prendendo in esame la maturità e l’abitudine ad affrontare match di questo tipo, in cui i diavoli rossi finora hanno dimostrato di non essere ancora pronti.

 

Perché a questo punto, per provare a giocarsela al meglio delle proprie possibilità anche contro le grandi favorite del torneo, in teoria una spanna sopra, e tentare di eguagliare il quarto posto raggiunto nel 1986, il miglior risultato di sempre, occorre lavorare sulla tenuta mentale, che magari potrebbe beneficiare del minor

attorno a questa Nazionale dopo il flop a Euro 2016.

 

Una squadra in possesso di individualità vicine al livello delle big, che oltre agli attacchi posizionali, sulla carta avrebbe gli strumenti per colpire anche in contropiede, per non parlare poi della fisicità esagerata che può spendere sulle palle inattive (Alderweireld, Vertonghen, Kompany, Dembélé, Lukaku, Fellaini e Batshuayi hanno tutti un’altezza compresa tra i 185 e 195 centimetri).

 

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