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Quando il Milan è spensierato
10 feb 2022
10 feb 2022
Contro la Lazio i rossoneri hanno giocato a qualche centimetro da terra.
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10 min
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Prima della partita Maurizio Sarri aveva definito la Coppa Italia «la competizione più anti-sportiva al mondo», spingendosi a insinuare anche un’ipotesi di complotto: «È palesemente fatta per far arrivare alle dirette televisive certe squadre. Non si sa quando, dove e chi fa i sorteggi». E per quanto il formato della Coppa Italia sia effettivamente così brutto da sembrare un auto-sabotaggio, erano state dichiarazioni stonate, specie alla vigilia di una partita così importante e difficile, contro il Milan a San Siro. Erano stonate soprattutto per quello che rappresenta storicamente la competizione per la sua squadra.

Nell’ultimo decennio la Lazio ha costruito molti successi in Coppa Italia. Ne ha vinte tre negli ultimi tredici anni, di cui una battendo in finale la Roma, e ha giocato altre due finali che le hanno permesso l’accesso alla Supercoppa Italiana. Ciascuno di questi successi ha rappresentato la differenza tra una stagione anonima e una memorabile, e ha reso la Lazio - a conti fatti - il club più vincente, dopo la Juventus, dell’ultimo decennio di calcio italiano. Non è la prima volta che Sarri non sembra esattamente rendersi conto di dove si trova.

Una delle cose che rende la Coppa Italia una competizione piramidale, è che alle migliori squadre basta vincere quattro partite per arrivare in finale. La Lazio è una di queste, e dopo aver battuto con fatica l’Udinese agli ottavi, si giocava già l’accesso in semifinale a San Siro. (Ecco un altro dettaglio scelto apposta per rendere il torneo più prevedibile: si gioca sempre in casa della squadra meglio piazzata in classifica l’anno prima). La partita era più aperta di quanto oggi, col senno di poi, siamo forse disposti a riconoscere.

Il Milan veniva dall’entusiasmante vittoria in rimonta nel derby di pochi giorni fa, quando in pochi minuti uno degli oggetti più misteriosi della stagione, Olivier Giroud, si era trasformato in una versione vintage di sé stesso. Dopo aver bevuto un elisir di giovinezza, ha segnato un gol identico a uno fatto sei anni fa con la maglia dell'Arsenal. Eppure la vittoria era arrivata in coda a un periodo poco brillante: una sconfitta, un pareggio e soprattutto una crescente sensazione di stanchezza. Il Milan è una squadra fluida, di rotazioni, e una che si affida molto al talento offensivo a disposizione. Quando le rotazioni non girano, e i giocatori sono appannati, la squadra sembra depressa, semplicemente troppo lenta e poco vitale per essere pericolosa. Anche nel derby, in fondo, è stata più una vittoria di carattere e determinazione che altro.

La Lazio veniva invece da un periodo incontestabilmente positivo. Nelle ultime quattro partite la squadra di Sarri aveva vinto tre volte e pareggiato una, contro l’Atalanta. L’ultima vittoria, contro la Fiorentina fuori casa, era stata una delle più positive della stagione.

2.7 xG prodotto è il miglior dato stagionale dopo i 3.2 fatti con lo Spezia alla seconda giornata.

L'impaccio difensivo della Lazio

Soprattutto: da quattro partite la Lazio non subiva gol. Qualcosa di molto somigliante alla strada giusta. Per quanto sia noto per il gioco di possesso scintillante, Sarri ha costruito i propri successi da allenatore su una fase difensiva incredibilmente efficace e coordinata. Si racconta di sedute d’allenamento sulla linea di difesa lunghe ore, con giocatori che ripetono i movimenti così tante volte da farli diventare una seconda pelle, e i droni sopra la loro testa a misurarne la precisione. Quest’anno Sarri ha riconosciuto subito i problemi difensivi della sua squadra: «Andiamo meglio davanti che dietro» ha detto qualche mese fa e, incalzato dai giornalisti dopo la pazza sfida all’Empoli: «Facciamo qualche errore di troppo e non parlo solo dei difensori, gli errori sono di tutti». Parlando del secondo gol subito di quella partita il tecnico aveva parlato di «Errori da estirpare dal DNA». Un'altra insinuazione sul fatto che aveva ereditato una squadra che giocava in modo troppo diverso da quanto immagina lui.

È difficile pensare a un salto tattico più traumatico, per una squadra, di quello da Simone Inzaghi a Maurizio Sarri. Fra le cose più difficili da digerire, senz'altro la fase difensiva a quattro, con una linea che deve restare alta e lavorare di reparto. Un passaggio reso ancora più faticoso dalle ripetute assenze del miglior difensore, Francesco Acerbi. Proprio mentre c’erano segnali di miglioramento, ieri la Lazio è andata in pezzi alla prima verticalizzazione del Milan.

Al 24’ i rossoneri sviluppano una lunga fase di possesso, e non trovando lo spazio per andare avanti tornano indietro. Quando la palla è sul sinistro di Romagnoli, pare un momento come un altro; nessuno gli mette pressione e non sembra poter arrivare niente di pericoloso. Il suo lancio col sinistro quindi pare ancora più geniale e improvviso. La linea difensiva della Lazio si era schiacciata in avanti, ma non con la necessaria coordinazione, ed è presa in controtempo; allora Rafael Leao, uno dei calciatori più veloci del campionato, si infila tra le incertezze di Hysaj e Luiz Felipe e dà la sferzata decisiva alla partita. Mentre i difensori della Lazio chiedono il fuorigioco, Leao incrocia il tiro a modo suo - cioè con stile ma senza forza, scivolando qualche metro sul prato come all'Acquafun. È bastato comunque per superare l’esitante Reina di questa stagione. La Lazio ha commesso di nuovo un errore di reparto, anche se è ironico che a tenere in gioco Leao alla fine sia stato Hysaj, uno dei soldati semplici di Sarri, che gioca con lui ormai da un decennio.

Eppure la situazione del gol non nasce dal nulla. Col passare dei minuti il Milan aveva iniziato a uscire con sempre maggiore insistenza e precisione sul proprio lato sinistro. Senza nemmeno meccanismi troppo complessi. La Lazio soffre quando i ritmi di gioco si alzano, e per il Milan era sufficiente far andare la palla più veloce, anche in orizzontale, per disordinare le distanze della squadra di Sarri. Quando la palla si muove rapida, gli spazi si aprono fatalmente anche senza il bisogno di fare qualcosa di geniale.

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Due uscite del Milan a sinistra. Nella prima Leao rimane largo, nella seconda si accentra nel mezzo spazio. In entrambi i casi Brahim Diaz accorcia in zona palla e si ricerca il terzo uomo, cioè Theo, che vola sulla fascia sinistra. Questa capacità di oliare il palleggio in spazi stretti di Brahim è vitale per il Milan.

Il Milan sfruttava il ritardo nelle scalate orizzontali della Lazio per uscire con grande facilità dai lati, con combinazioni e triangoli tra terzino, esterno e trequartista molto semplici ed efficaci (Pioli ha dedicato la sua tesi da allenatore alle catene laterali). Leao era l’innesco di questi movimenti: poteva restare largo per lavorare spalle alla porta con Hysaj addosso, oppure poteva venire nel mezzo spazio, in un movimento che la Lazio non ha letto per tutta la partita.

La forma vacua e leggera del Milan

Col passare dei minuti il Milan ha preso la forma leggera e aerea di Rafael Leao, delle sue ricezioni rilassate, dei suoi dribbling sinuosi, delle sue corse sempre qualche centimetro sospeso da terra. È un giocatore spesso criticato per una presunta pigrizia, per la discontinuità, per essere più bello che utile - aveva vinto il premio di Calciatore più fumoso appena pochi mesi fa, ne scrissi io. Ma quest'anno è solo un problema di apparenze: non c’è oggi nessun giocatore tanto influente a livello tattico nel Milan. Per il modo in cui fa progredire il gioco, in cui minaccia le difese avversarie, addensa gli avversari attorno a sé, crea vantaggi a catena con la semplice aura di pericolo che lo circonda. Negli ultimi venticinque minuti del primo tempo, i migliori del Milan, Leao ha dettato il ritmo. Al 40’ riceve la verticalizzazione di Brahim Diaz in area con Luiz Felipe davanti, sembra spostarsela per calciare di interno e invece rientra. La palla sembra allungarsi, lui pare perdere il passo, e invece senza nemmeno che ce ne accorgiamo ha già messo la palla per il 2-0 di Giroud. Tre minuti dopo un cambio di gioco verso Leao, che controlla di tacco mentre Hysaj è steso a terra. È un momento della partita in cui sembra poter piegare il calcio alla sua volontà.

Uno dei momenti in cui Leao sembra passare accanto a persone troppo poco in forma per limitarlo.

Il terzo gol arriva grazie una giocata di un altro attaccante in forma del Milan. C’è un rinvio molto alto di Tonali che sembra sparato a caso, ma quando hai Giroud in forma un lancio a caso può diventare sensato. Basta una semplice sponda di testa per mandare Brahim Diaz a puntare la difesa nel corridoio centrale; lo spagnolo serve Theo, che di prima mette in mezzo un cross dolce e lento spinto in porta ancora da Giroud. La passività della difesa della Lazio fa paura, e per sua fortuna il primo tempo è finito proprio mentre sta sbarellando. Eppure forse è il secondo gol quello più preoccupante per Sarri.

La Lazio era in controllo del pallone, col Milan schierato quasi tutto nella propria metà campo. La palla è stata persa nella ricerca del classico gioco a muro palla avanti-palla indietro delle squadre di Sarri. Basic però ha i piedi duri e ha sbagliato uno scarico semplice in modo così grossolano da lanciare Brahim Diaz.

Basic in campo al posto di Luis Alberto: la scelta che più rappresenta la faticosa ricerca del compromesso che Sarri porta avanti da inizio stagione. Il ruolo in cui più si concentra il conflitto tra l’identità tattica cercata dall’allenatore e il talento a sua disposizione.

Luis Alberto è stato uno dei tre grandi punti di forza dell’ultimo ciclo della Lazio. La sua influenza con Inzaghi era persino superiore a quella di Immobile e Milinkovic-Savic perché si estendeva a tutto il campo. La Lazio attaccava sempre seguendo l’istinto e le idee di Luis Alberto, dei suoi abbassamenti profondi, delle sue corse nel corridoio di centro-sinistra, delle sue intuizioni in verticale per gli scatti di Immobile. Ma gioca in modo troppo personale per Sarri, che vuole che le mezzali restino dietro le linee avversarie. Il tecnico si è lamentato settimane fa che solo alcuni hanno capito il suo gioco, fra cui i nuovi arrivati come Zaccagni. Luis Alberto è stato sacrificato sull’altare dell’equilibrio con un giocatore più disciplinato, ma la Lazio sembra aver perso l’anima. Le sue giornate migliori sono arrivate con Luis Alberto in campo, che plasma la Lazio in uno strano ibrido fra quella di Inzaghi e quella di Sarri; l’impressione, però, è che di fronte ad avversari più temibili il tecnico non si fidi a tenerlo in campo. La Lazio però, senza di lui, si incarta nella mancanza di qualità e di meccanismi davvero consolidati per superare un pressing fatto bene, come per esempio quello del Milan.

Come nella partita d’andata, il pressing uomo contro uomo del Milan è bastato a impiastrare l’uscita della Lazio Brahim Diaz prende Cataldi, Tonali segue Basic, mentre Kessié controlla Milinkovic-Savic. In questo caso Luiz Felipe non si fida di giocare un passaggio corto più rischioso e, con i compagni marcati, lancia lungo nel vuoto.

Al contrario, nel Milan giocatori e allenatore sembrano respirare all’unisono. Dopo un periodo poco brillante la squadra sembra aver riacquistato la leggerezza che la renda unica. Il Milan non ha la complessità dei meccanismi fluidi dell’Inter, l’organizzazione metodica delle catene laterali dell’Atalanta, o la qualità tecnica del Napoli per manipolare qualsiasi difesa. Nessuna di queste squadre però ha la semplicità e la leggerezza del Milan: una squadra diretta, che si affida a pochi meccanismi ma fatti con la massima intensità possibile, e che cerca più che altro di esaltare il talento in uno contro uno dei suoi giocatori offensivi. Le progressioni solenni di Theo Hernandez, i micro-dribbling e i ricami in spazi stretti di Brahim Diaz, ieri anche le conduzioni tutte oscillanti da ala vintage di Jr. Messias. Ovviamente poi c'è l’estro barocco di Rafael Leao. Nessuna squadra italiana usa il dribbling come risorsa tattica come il Milan. Non sorprende che sia la squadra che dribbla di più in Serie A, con 12 tentativi per partita. È interessante che non sarebbe prima in nessun altro dei cinque maggiori campionati, dove talento delle squadre e tentativi di dribbling coincidono in modo piuttosto proporzionale, a parte qualche eccezione (come il Liverpool, che dribbla poco ma in zone di campo sempre pericolose).

È anche per questa esaltazione dell’uno contro uno, di giocatori che assecondano la propria creatività correndo e dribblando, che nelle sue migliori giornate il Milan sembra una squadra divertente e spensierata come nessuna nel nostro calcio. Una rilassatezza che si intuisce anche nelle interviste sempre felici di Stefano Pioli. Calvino diceva che la leggerezza non è superficialità ma «planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore», e non vi sembra una bella definizione?

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