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Dario Saltari
Il miglior tiratore di punizioni del mondo
26 gen 2023
26 gen 2023
James Ward-Prowse è a un passo dal record storico della Premier League detenuto da David Beckham.
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Dario Saltari
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Phil Bryan/News Images/IMAGO
(foto) Phil Bryan/News Images/IMAGO
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Nel calcio sono tra le cose più difficili da padroneggiare, è vero, ma i calci di punizione rimangono un trucco. Uno strumento per rendere un gioco estremamente complesso in qualcosa di lineare: un tiro, un gol. Forse è per questo che l’attenzione (quasi sempre morbosa) che attirano i cosiddetti specialisti sembra non del tutto meritata. Una spezia per coprire un pasto andato a male, come si faceva nel Medioevo. È celebre a questo proposito quello che disse una volta George Best su David Beckham, che ancora oggi mantiene il record di maggior numero di gol segnati su punizione diretta in Premier League: «Non sa calciare col piede sinistro, non sa colpire di testa, non sa contrastare e non segna molto. A parte questo è un buon giocatore».

George Best, ovviamente, aveva torto marcio, e non è detto che non lo sapesse lui stesso che sembrava non poteva fare a meno di finire tra le frasi riportate dai giornali. David Beckham non era solo i suoi calci di punizione, ma la frase di Best stimola comunque una riflessione interessante: se lo fosse stato sarebbe stato meno utile alle sue squadre? Porto all’estremo l’interrogativo per rendere più chiara la questione: schierereste un giocatore capace solo di tirare i calci di punizione in cambio di un gol ogni due, tre partite? È una di quelle domande assurde che possono stimolare un dibattito sensato solo nel calcio, uno sport in cui un gol su calcio di punizione può essere effettivamente la differenza tra un pareggio e una vittoria, o tra una sconfitta e un pareggio. In controluce ci fa vedere anche che appiattire un giocatore sulla sua capacità di tirare i calci di punizione è quasi sempre un’operazione ingiusta, che restituisce una percezione o un ricordo poco aderente alla realtà.

Da questo punto di vista è un peccato che James Ward-Prowse sia diventato famoso per i suoi calci di punizione, cioè famoso al punto da prendersi un pezzo intero in una rivista di approfondimento italiana pur giocando in una squadra che lotta per la sopravvivenza in Premier League praticamente ogni anno (al momento è ultimo in classifica). La sua storia è interessante da diversi punti di vista al di là della sua tecnica di calcio.

Ward-Prowse, ad esempio, è un caso di monogamia quasi unico nel panorama europeo attuale, avendo speso tutta la sua carriera da professionista al Southampton. È un dato ancora più eccezionale di quanto non sia già all’apparenza proprio perché non parliamo di un giocatore dal talento abbagliante la cui ascesa è stata inesorabile. La sua non è stata una scelta di cuore, o almeno non solo, anche perché è nato a Portsmouth in una famiglia del Portsmouth, cioè la squadra rivale del Southampton. Non ci sono state offerte eclatanti declinate “per amore della maglia” (a parte quella dell’Aston Villa rifiutata dal Southampton nell’estate del 2021, se la volete considerare un’offerta eclatante), ma forse il caso e sicuramente la perseveranza per rimanere rilevanti in un contesto comunque iper-competitivo come quello della Premier League. Oggi ci si chiede se Ward-Prowse non sia una leggenda del Southampton, che insomma nonostante tutto nel suo pantheon ha comunque nomi come Le Tissier e dal suo vivaio ha visto uscire giocatori come Gareth Bale.

Ward-Prowse detiene un altro strano record, a proposito di perseveranza. Nel maggio del 2021 è diventato il primo centrocampista nella storia della Premier League a giocare ogni minuto di due stagioni consecutive, per un totale di 77 partite complete (89 se consideriamo anche quelle cominciate dal primo minuto in cui è stato sostituito). Nelle ultime due stagioni (la 21/22 e la 22/23) Ward-Prowse ha saltato solo tre partite in campionato, giocando tutti i 90 minuti in tutte le altre (56, a cui andrebbero aggiunte altre 12 tra FA Cup e Coppa di Lega). Il capitano del Southampton è riuscito nel miracolo di replicare l’epica dei calciatori degli albori, che sicuramente avevano più probabilità di rimanere tutta la vita in unico club e di non infortunarsi, in un contesto contemporaneo in cui si gioca stabilmente ogni tre giorni e i trasferimenti di mercato si sono moltiplicati. Non siamo di fronte però a un calciatore nostalgico che cerca di far rivivere il passato. Il suo incredibile stato di forma non è basato solo su una configurazione genetica sicuramente fortunata, ma anche su un’attenzione maniacale all’alimentazione, al riposo e agli strumenti per il recupero muscolare, come le camere per la crioterapia. Ward-Prowse è stato definito letteralmente “una macchina” da due persone differenti, e cioè dal suo ex compagno Nathan Redmond e dal suo ex allenatore Ralph Hasenhuttl. A vederlo, però, non si direbbe.

La sua storia sembra voler far convivere a forza passato e presente. Un giocatore con il doppio cognome unito dal trattino come tutti i più eccitanti talenti inglesi degli ultimi anni che però è diventato un professionista insieme a Luke Shaw, che invece ci sembra bazzichi in Premier League da un’eternità. Che ha passato tutta la vita in un piccolo club inglese ma che tira in porta come se fosse stato allenato da un robot e che ha una sua esultanza brandizzata (lo swing golfistico).

Anche il suo stile in campo è tutt’altro che passato. Ward-Prowse è una mezzala offensiva che coniuga un buon talento creativo a una grande intelligenza senza palla, un centrocampista con una sensibilità tecnica da numero 10 che pressa e difende all’indietro con la diligenza di un giocatore da Bundesliga. Ne ha parlato persino Pep Guardiola, sotto le solite esagerazioni: «Il Southampton ha il miglior tiratore di punizioni che abbia mai visto, o almeno il migliore al mondo oggi. È così bravo che forse si perde di vista un pochino il calciatore che è. Un uomo squadra di grande qualità, con e senza palla». Insomma, le punizioni non sono la torta ma la ciliegina, e la torta è una di quelle con colonne di zucchero e più piani che assomigliano a modellini di edifici ancora da costruire. Basti vedere il primo dei due ultimi gol realizzati contro l’Everton, nella partita in cui è arrivato a 16 punizioni dirette segnate in Premier League, solo due in meno di Beckham. L’intelligenza con cui individua lo spazio in cui inserirsi, l’aggressività con cui lo attacca senza palla, ma anche la dolcezza del primo controllo d’esterno e la furbizia con cui elude l’intervento dell’ultimo, disperato difensore prima di battere il portiere con l’interno destro.

Detto delle qualità di Ward-Prowse in campo, è chiaro che non saremmo qui senza il suo incredibile talento nel calciare le punizioni. Incredibile per una serie di ragioni diverse, che rendono la pigra metafora della ciliegia sulla torta quasi sminuente. Forse più che una ciliegia questo talento dovremmo paragonarlo a una miniatura di zucchero della Pietà di Michelangelo, e lo so che sembra un’esagerazione ma, ancora prima delle immagini, ci sono diversi numeri che rendono questo paragone sensato, anche al di là dei soli due gol di distanza dal record storico di Beckham.

Il primo è che, nonostante il Southampton giochi in Premier League ininterrottamente da dieci anni, Ward-Prowse è diventato un titolare fisso solamente nella seconda metà della stagione 18/19, quando aveva già quasi 25 anni. Dei 18 gol segnati su punizione nella sua carriera (ce ne sono anche 2 in FA Cup) 14 sono arrivati nelle ultime tre stagioni e mezzo, compresa quella in corso, cioè molto di più di qualsiasi altra squadra di Premier League (5 più del Manchester City, la squadra che ne ha segnati di più, partendo dalla stagione 18/19). Ward-Prowse insomma ci ha messo incredibilmente poco a raggiungere Beckham, il cui record al Manchester United è spalmato su sei stagioni diverse, e in una squadra da colonna destra della classifica, che quindi per forza di cose ha molte meno possibilità di avere punizioni pericolose vicino all’area di rigore avversaria.

C’è un video piuttosto impressionante a testimonianza della sua efficienza, lo potete vedere qui sopra. Lo ha caricato l’account VERIF Football poche settimane fa su YouTube e raccoglie, una dietro l’altra, le ultime 100 punizioni di Ward-Prowse. Sembra il video di una lapidazione. Vi invito a guardarlo tutto e a contare le volte in cui il centrocampista non riesce a prendere la porta avversaria, perché ha preso la barriera o perché ha mandato alto il pallone, e confrontarlo con quelle in cui il gol è salvato da un legno o da un intervento prodigioso del portiere avversario.

C’è un dettaglio che secondo me racconta molto della disperazione avversaria nei confronti dei suoi calci di punizione, una cosa che pensavo avesse senso fare solo a Winning Eleven, e cioè spostare un uomo in area per metterlo davanti la porta, sul palo scoperto. Nel video qui sopra lo si vede fare al Leicester (al minuto 3.41), con il difensore che respinge la palla quasi sulla linea, mentre più recentemente ci ha pensato troppo tardi Mykolenko, dell’Everton, con il pallone che lo superava mentre provava a indietreggiare per coprire lo specchio. Guardate la reazione di Pickford subito dopo il gol nei confronti del suo compagno, con il braccio sembra dirgli: ma come hai fatto a non pensarci. Eppure mi sembra la cosa più controintuitiva del mondo da fare su una punizione nemmeno così vicino all’area. Ma d’altra parte siamo anche nell’era del coccodrillo, quindi non mi sembrerebbe poi così strano se a breve le squadre che affrontano Ward-Prowse non provassero a mettere sistematicamente un uomo sul palo scoperto.

L’efficienza, però, non è secondo me ciò che rende eccezionale Ward-Prowse, di certo non è la cosa che mi ha spinto a scrivere questo pezzo. Alla fine gli specialisti tornano ciclicamente nel calcio come gli uccelli migratori, non mi sembra nemmeno che ci siano le basi per dire che ce ne sono di meno rispetto al passato. Ciò che è eccezionale dicevo non è tanto il fatto che Ward-Prowse abbia trovato il trucco per segnare su punizione, quanto come lo abbia trovato. Adesso non parlo più della sua storia, particolare per i motivi che ho già detto, ma della sua tecnica di calcio. Guardate una sua qualsiasi punizione e concentratevi solo sui suoi movimenti. Vi chiedo: vi ricorda qualcosa? Avete mai visto nulla di simile?

La cosa più inusuale, o almeno la prima che mi è saltata agli occhi, è il modo totalmente controintuitivo con cui utilizza la gamba d’appoggio. Quando si tira a giro sopra la barriera, come Ward-Prowse fa quasi sempre, teoricamente non ci sarebbe bisogno di dare talmente tanta forza da “fare spazio” alla gamba che calcia, come per esempio accade quando si tira di collo pieno. Beckham, l’idolo giovanile di Ward-Prowse, al massimo faceva scivolare leggermente la gamba d’appoggio su un lato quando era piuttosto lontano dalla porta. Ma la maggior parte delle volte utilizzava la gamba d’appoggio come fanno tutti: ovvero come un perno intorno al quale far ruotare il bacino e la gamba opposta. Ward-Prowse, invece, sembra voler mettere una forza e un giro tale sulla palla ogni volta da essere costretto a far “scappare” la gamba d’appoggio esternamente, sembra avere paura di spezzarla altrimenti con tutta quella pressione. I suoi tiri mi sembrano l’equivalente calcistico del rovescio a una mano, in cui allo stesso modo si fa scappare la mano con la racchetta dopo averla accompagnata con l’altra fino all’impatto con la pallina. Se guardate alcune punizioni di Beckham da particolarmente lontano, per esempio questa contro il West Ham, vedrete questo movimento appena accennato. Ward-Prowse lo accentua talmente tanto che sembra poter cadere di faccia da un lato, senza più l’appoggio della gamba su cui sorreggeva tutto il peso fino a un attimo prima. La sua coordinazione è più vicina alla ginnastica artistica che al calcio, tipo uno di quegli esercizi sulla trave che sembrano poter mandare il corpo di chi li esegue in mille pezzi.

Vedere i fermo immagine del momento in cui calcia è impressionante. Soprattutto è impressionante vedere la forma che assume il suo corpo subito dopo l’impatto con la palla. Ward-Prowse in un attimo passa da una posizione in cui è piegato con la schiena quasi a 90 gradi sulla gamba d’appoggio piantata nel terreno, come se la stesse usando come una vanga, a una in cui sembra stato appena sbalzato via da un’esplosione lì vicina, ritrovandosi praticamente spalle alla porta. Come fa a essere un modo efficiente di tirare una punizione dal limite dell’area? Solo la differenza tra le due posizioni dà l’idea da qui della pressione che Ward-Prowse mette sul suo corpo per dare alla palla quella forza e quell’effetto che rende le sue punizioni effettivamente imparabili. «Ho visto alcune immagini del mio corpo quando calcio la palla e mi hanno lasciato un pochino perplesso», ha detto in un’intervista al Guardian «Quando le guardo penso che sto mettendo troppo stress sul mio corpo, che non sarò in grado di camminare per qualche giorno se tiro dieci punizioni di fila». Forse è anche per questo che Ward-Prowse dice di puntare sulla qualità anziché sulla quantità in allenamento, di provare solo 5-6 punizioni a sessione. La sua è un’arte potente ma al tempo stesso pericolosa.

Forse è una conseguenza diretta, ma anche i suoi tiri restituiscono un senso di violenza che mi sembra nuova, contemporanea. Non sono eleganti come quelli di Beckham, né sensuali come quelli di Maradona, né immaginifici come quelli di Juninho Pernambucano o illusori come quelli di Andrea Pirlo. Sono levigati tecnicamente, sì, ma di una potenza che non lascia mai scampo. Ward-Prowse tira quasi sempre a giro sopra la barriera ma non lo fa mai con dolcezza, come ci si aspetterebbe da tiri del genere, ogni volta sembra voler tirare come se fosse a quaranta metri dalla porta. Le sue punizioni sembrano da lontano anche quando sono da vicino, e incredibilmente anche viceversa. Ce n’è una contro il Newcastle che è talmente lontana dalla porta (a occhio direi intorno ai 25 metri) che sembra una follia tirarla a giro sopra la barriera. Lui stesso in un’intervista ai canali social della Premier League ha dichiarato di aver pensato di essere troppo lontano.

Guardandola si attiva automaticamente la nostra parte italiana del cervello a chiedersi se il portiere non si sia distratto, se sia partito troppo in ritardo. Dai replay da dietro però si capisce quanto sia difficile gestire un pallone al tempo stesso così potente e così carico di effetto. I tiri di Ward-Prowse partono centrali, e iniziano a prendere velocità e giro mano a mano che si avvicinano alla porta, forse senza rete i palloni tornerebbero da lui come boomerang. Per questa combinazione letale di potenza ed effetto (che lui, se ho capito bene, definisce con una splendida parola inglese: oomph) l’unico paragone sensato che mi viene in mente è quello con Sinisa Mihajlovic.

Lo strano rito che esegue prima di ogni punizione - facendo rimbalzare il pallone due volte a terra con le mani, poi posizionando il logo della Nike verso l’alto, e mettendosi a 45 gradi rispetto al pallone - allora forse serve per rimpicciolire o allargare a piacimento il tempo e lo spazio. Lui dice che è un modo per attivare la «memoria muscolare», di aver bisogno di una «costante, qualcosa che mi fa entrare nel ritmo». Fatto sta che il tiro parte sempre tesissimo come se dovesse infrangersi sulla barriera ma poi la elude come un drone che si alza e si abbassa a comando. A volte, per un qualche prodigio, lo fa così tanto che il pallone rimbalza ancora prima di toccare la rete. Com’è possibile?

«Ho grande fiducia nella mia tecnica, se riesco a mettere la palla dove voglio nessun portiere è in grado di pararla», dice Ward-Prowse. E forse la cosa più incredibile è che è riuscito a codificare la preparazione al tiro, e la coordinazione al momento del calcio, fino al punto in cui può riesce ormai a utilizzarle anche per tiri diversi dal suo classico tiro a giro sopra la barriera. Ward-Prowse ha segnato tirando nell’angolino basso sul lato del portiere, o ingannandolo allo stesso modo con un tiro a mezza altezza, crossando in area sul secondo palo, o, in quella che è la mia punizione preferita, dando al pallone un effetto a uscire anziché a entrare. È successo contro il Wolverhampton, da una distanza davvero assurda, e che comunque non ha rassicurato a sufficienza José Sá, che ha fatto per dirigersi verso il lato coperto della barriera prima di scoprire che Ward-Prowse non aveva tirato d’interno come al solito ma aveva deciso di scavare la palla con le ultime tre dita del piede. Guardando questa punizione vengono in mente le sue parole quando ha detto di avere "più chance di segnare una punizione che un rigore": «Il rigore è più 50-50 mentre con le punizioni sento di avere più potere nei confronti del portiere».

Per una coincidenza un po’ crudele l’interesse intorno alle punizioni di Ward-Prowse ha smesso quest’anno di essere semplice ammirazione estetica, come vedere i video iper-rallentati di Bill Viola, o una mera curiosità da almanacco, scoprire se e quando riuscirà a superare il record di Beckham, ma ha iniziato a legarsi partita dopo partita ai destini del Southampton. I “Saints” stanno vivendo una stagione drammatica, al limite tra il disastro e il trionfo. In campionato sono ultimi, ma a soli tre punti dal Leicester 14esimo, mentre nelle coppe stanno andando incredibilmente bene: sabato giocheranno il quarto turno di FA Cup contro il Blackpool, mentre in Coppa di Lega sono addirittura arrivati fino alla semifinale battendo il Manchester City. Martedì hanno perso l’andata contro il Newcastle per 0-1, vedremo martedì prossimo cosa succederà al ritorno.

Per una squadra in questa situazione, e che non sembra avere grandi risorse offensive (solo tre squadre hanno segnato meno del Southampton in campionato), un gol su punizione non è più solo la differenza tra una vittoria e una sconfitta, ma anche tra una stagione trionfale e una catastrofica. In questo senso, Ward-Prowse sembra davvero un campione medievale, scelto per il torneo dalla propria squadra per la sua abilità specifica. Da questo punto di vista la fascia da capitano sul suo braccio sembra la più giusta di tutta la Premier League.

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