Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
L'uomo che vuole trascinare la Roma in Champions League
05 mag 2025
Contro la Fiorentina Mile Svilar ha sfoderato l'ennesima prestazione decisiva.
(articolo)
9 min
(copertina)
IMAGO / NurPhoto
(copertina) IMAGO / NurPhoto
Dark mode
(ON)

Da quando Claudio Ranieri è tornato in Serie A, lo scorso 14 novembre, c’è solo una squadra che ha fatto più punti della Roma, e cioè il Napoli: 51 contro 50. Le due squadre sono accomunate da un’antica ricetta che in Serie A non smette mai di funzionare: cercare di vincere le partite prendendo un gol in meno dall’avversario. Se però la solidità del Napoli è visibile a occhio nudo, nella concentrazione della squadra, nelle strategie conservative di Antonio Conte, nell’attenzione maniacale per la riduzione del rischio, per la Roma il discorso si fa più complesso.

Anche prendendo solo il periodo di reggenza di Claudio Ranieri, non sono poche le squadre che hanno subito meno Expected Goals della Roma: il Napoli, l’Inter, il Genoa, il Bologna, la Juventus, anche se di poco. A nessuna di queste squadre, però, è riuscito il miracolo che è riuscito ai giallorossi, e cioè di subire meno gol rispetto a quelli attesi. Il Napoli ne ha subito quasi uno e mezzo in più, così come il Genoa; l’Inter ne ha subiti più di due; il Bologna e la Juventus circa otto. La Roma, che dal 14 novembre a oggi secondo i dati raccolti da Hudl StatsBomb ha subito 18.87 xG, di gol ne ha presi invece appena 15: quasi quattro in meno. In tutta la Serie A c’è solo una squadra che è riuscita ad overperformare in maniera significativa da questo punto di vista, cioè il Torino, con uno scarto però molto più risicato: 22 gol subiti da 23.31 xG. Quella della Roma è un’eccezione nell’eccezione.

I numeri ci dicono insomma che, nonostante la nota prudenza del suo allenatore, il sistema difensivo della Roma non è perfetto. A volte le maglie si allargano, o le distanze si perdono, e c’è sempre un momento, nelle partite, in cui i tifosi giallorossi non hanno altro che sperare che la situazione venga risolta da Mile Svilar.

Ieri, contro la Fiorentina, quel momento è arrivato al 27’, quando il risultato era ancora sullo 0-0. La squadra di Palladino era riuscita ad andare alle spalle del pressing alto della Roma con un bel passaggio in verticale di Comuzzo per Richardson che, dopo essersi liberato dalla rincorsa di Shomurodov, aveva trovato sulla trequarti Moise Kean in uno contro uno con Celik. Di spalle, il numero 20 si è liberato dalla marcatura del suo avversario con l’agilità di un serpente. Ha controllato con il destro tenendo con il corpo l’avversario alle spalle; poi però è andato dal lato opposto a dove gli aveva fatto credere, portandosi la palla in avanti con l’interno. A quel punto era una questione tra lui e Svilar, e per come si erano messe le cose era difficile prevedere che si sarebbe risolta con una parata di petto del portiere belga.

Kean è arrivato al tiro libero da pressione, dal limite dell’area e in posizione quasi frontale, quindi con l’angolo più aperto possibile rispetto allo specchio dalla porta. È una di quelle situazioni in cui il portiere diventa quasi una presenza simbolica, per quanto è grande lo specchio da coprire. Tra quel momento e quello in cui Kean si era preparato al tiro toccando il pallone per l’ultima volta, però, Svilar aveva accorciato la distanza, come in una versione iperaccelerata di uno, due, tre, stella. L’attaccante della Fiorentina aveva abbassato la testa per l’ultima volta, concentrandosi su dove colpire la palla e su cosa fare davanti al portiere avversario, e non poteva vedere con quale velocità Svilar era corso in avanti. Quando Kean ha rialzato la testa, lo specchio ancora disponibile si era praticamente dimezzato.

mile1

Di momenti come questo, nell’incredibile rincorsa della Roma al quarto posto, se ne possono ricordare diversi. Il riflesso che ha mandato il colpo di testa a botta sicura di Nico Gonzalez sulla traversa, contro la Juventus (anche quello al 27’ di una partita ancora sullo 0-0); quello che ha alzato in calcio d’angolo l’incornata di Romagnoli, al derby di ritorno; la mano messa sul tap-in di Piccoli, contro il Cagliari, a tre, quattro metri da una porta che da quella distanza deve sembrare sconfinata; la parata da terra con i piedi su Cutrone, contro un Como alla disperata ricerca del pareggio a pochi minuti dalla fine. Chiedersi come sarebbero andate a finire queste partite senza il talento di Svilar è un esercizio retorico, che però con una come la Roma di Ranieri diventa interessante.

I giallorossi non hanno un'identità di gioco chiara, alternano fasi di pressing alto ad altre in cui il baricentro è nel cuore dell’area di rigore, e ruotano uomini e principi tattici a seconda dei momenti della partita. Se andare in vantaggio per primi è comodo per tutti, per una squadra così è decisivo. Chi ha visto una qualsiasi partita della Roma di Ranieri sa che il passaggio a una strategia di difesa dell’area di rigore e transizioni è quasi immediato in caso di vantaggio, e spesso anche dopo aver recuperato un risultato di svantaggio. Per arrivare a questa comfort zone la Roma deve percorrere una strada pericolosa - un momento delle partite in cui prova ad alzare ritmo e pressing, esponendo i suoi limiti difensivi all’avversario - che probabilmente sarebbe fatale senza Mile Svilar.

La grande parata sul colpo di testa di Nico Gonzalez.

Fa un certo effetto scrivere oggi queste parole, ripensando al giocatore che era poco più di un anno fa, quando ancora assomigliava a uno di quei portieri costretti a rimanere nel limbo di colleghi più esperti per tutta la propria carriera. Svilar era arrivato dal Benfica nell’estate del 2022, quando aveva ancora 23 anni, con l’idea di crescere all’ombra di Rui Patricio. Sul suo arrivo a Roma avevano pesato probabilmente i contatti con il Benfica dell’allora direttore sportivo, Tiago Pinto (in precedenza dirigente proprio del club portoghese), ma forse anche il fatto che José Mourinho lo avesse già incontrato.

Era la fine di ottobre del 2017, l’allenatore portoghese era ancora sulla panchina del Manchester United, mentre Svilar era solo un portiere appena diciottenne al suo esordio in Champions League che il Benfica aveva deciso di prelevare dall'Anderlecht: il viso sbarbato, lo sguardo impaurito di chi sente di starsi giocando tutto, una vistosa fascia fucsia per tenersi i lunghi capelli all’indietro. Era quasi un bambino.

Quella tra Benfica e Manchester United dei gironi di Champions League è la partita in cui Svilar diventa il più giovane portiere nella storia della competizione, battendo il precedente record di Iker Casillas, ma anche di fatto l’unica che per molti anni a seguire ricorderemo di lui. Al 65’, mentre tutti si aspettano un cross in mezzo, Rashford batte una punizione velenosa forte verso la porta, che Svilar legge con un attimo di ritardo. Il portiere belga con qualche fatica riesce a bloccare il pallone, ma riesce a farlo solo quando è già dentro la porta. È l'errore che di fatto regala la vittoria al Manchester United.

A fine partita, persino gli avversari provano a consolarlo. Lukaku gli tiene il viso tra le mani come si fa per rassicurare i bimbi che pensano di essersi fatti male; Mourinho nel post-partita gli concede un lusinghiero monologo di consolazione, che allora sembrava solo di circostanza e che invece con il tempo si è rivelata essere una descrizione molto lucida di alcuni dei suoi punti di forza. «Solo un grande portiere incassa un gol come quello», dice Mourinho «I portieri scarsi rimangono sulla linea, non escono sui cross, non cercano di analizzare il gioco, non utilizzano lo spazio davanti a sé per coprire le spalle alla difesa, come ha fatto nel primo tempo. Per me è un fenomeno».

Visto che il Manchester United vinse anche in quel caso, in pochi ricordano che al ritorno Svilar sfoderò una prestazione prodigiosa, con tanto di rigore parato a Martial (diventando così anche il più giovane portiere della storia a parare un rigore in Champions League).

Difficile sapere se Mourinho fosse sincero in quel momento, se le sue parole abbiano avuto un ruolo nel suo passaggio a Roma. Dopo il ritorno di quella partita il Benfica praticamente lo esclude dalla prima squadra e le sue partite tra i professionisti si contano sulle dita di una mano. Svilar passa stagioni intere nella squadra B del Benfica e quando i giallorossi lo ufficializzano come il proprio portiere di riserva, sembra una scommessa che non saranno mai chiamati a riscattare. D’altra parte nemmeno Mourinho lo faceva giocare, nonostante il deteriorarsi sempre più evidente delle prestazioni di Rui Patricio.

Spiegare cosa succede tra quel giorno e oggi non è semplice. Cos’è che ha trasformato Svilar in uno dei migliori portieri della Serie A? È l'eredità del padre, che è stato portiere fino all'età di 46 anni? È stato l’incontro con De Rossi, che lui ha definito «l’allenatore più importante della mia vita»? Il battesimo del fuoco della scorsa stagione contro il Feyenoord, ai rigori, poche settimane dopo che De Rossi lo aveva definitivamente promosso a titolare? O è stata la serenità di cui si fa un gran parlare a Roma da quando è tornato Ranieri a farlo maturare? Chissà magari è stato davvero quel traumatico esordio in Champions League, che gli ha fatto capire qualcosa di più profondo?

Oggi c’è qualcosa di intangibile ma irresistibile che circonda Svilar. Un portiere che sente di avere un ruolo dentro la squadra, e che sente di doverlo ricoprire con una serietà d’altri tempi. Che la scorsa stagione ha deciso di andare davanti ai microfoni dopo una sconfitta senza appello in semifinale di Europa League contro il Bayer Leverkusen, nonostante fosse tra i titolari solo da pochi mesi. Che fa piovere cori dalla curva dopo una grande parata, che spinge i tifosi ad esporre striscioni per il suo rinnovo di contratto. Che non farebbe discutere nessuno, se domani si prendesse la fascia da capitano.

Forse in nessun ruolo, come in quello del portiere, la personalità di un giocatore ha ricadute nel suo stile di gioco. Un portiere con personalità esce di più, prende scelte più coraggiose, affina l'istinto in momenti chiave, di cui percepisce il peso meglio degli altri.

Forse il portiere è l’unico ruolo, nel calcio, in cui la personalità può essere considerata come un vero e proprio aspetto del talento. È così di sicuro per Svilar, che sembra un portiere uscito da una vecchia figurina Panini e il cui valore va oltre ciò che si vede in campo. Una volta si diceva che i portieri erano tutti matti, che dovevano avere un coraggio diverso perché nelle uscite rischiavano di farsi male seriamente. Oggi le cose sono cambiate, i portieri sono più tutelati e la loro tecnica è andata raffinandosi, eppure Svilar sembra aver mantenuto quella scintilla primordiale che rende i portieri diversi da tutti gli altri giocatori, non solo perché possono prendere il pallone dalle mani. Un portiere magari tecnicamente non sempre perfetto, appariscente solo quando ce n’è davvero bisogno, e che pure in certi momenti sembra fare un lavoro fin troppo semplice per le sue capacità.

Ieri, dopo aver di nuovo salvato il risultato a pochi minuti dalla fine andando a terra su un tiro a incrociare di Kean, Svilar si è gettato tra le sue gambe per recuperare il pallone vagante a faccia in avanti, come si vede fare ai portieri nei video d’epoca. È stato il colpo finale alle speranze della Fiorentina di recuperare il risultato e il suggello definitivo alla sua prestazione da MVP della partita.

Quando è stato raggiunto per ritirare il premio, com’è da rito di questa stagione, Svilar lo ha alzato per indicare la curva che sventolava le bandiere dietro di lui, con uno di quei gesti che parlano da soli e che a lui, per qualche ragione, riescono naturali.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura