Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Moris Gasparri
Michela Cambiaghi, con la forza della volontà
05 dic 2023
05 dic 2023
L'inaspettata ascesa dell'attaccante dell'Inter potrebbe rivitalizzare la Nazionale.
(di)
Moris Gasparri
(foto)
IMAGO / Gribaudi/ImagePhoto
(foto) IMAGO / Gribaudi/ImagePhoto
Dark mode
(ON)

Molti anni prima di scrivere il celebre articolo sulla bellezza estetica del tennis di Roger Federer, che sarebbe subito diventato un best-seller mondiale, David Foster Wallace si invaghì di un altro tennista. Era il 1995 e l’atleta in questione si chiamava Michael Joyce, in quel momento numero 79 della classifica ATP. Il grande scrittore statunitense lo seguì da vicino nel torneo di Montreal, regalandoci un lungo e denso reportage. È una testimonianza preziosa perché oggi come allora l’attenzione nel mondo dello sport è inevitabilmente rivolta verso i più forti e/o i più vincenti. Lo sport professionistico, però, si regge però su una nutrita classe media di atleti che permette ai più forti di poter competere, classe media che partecipa ai grandi circuiti, campionati e organizzazioni, ma di cui raramente si parla. Lo scritto giovanile di Foster Wallace su Michael Joyce ha quindi il valore della rarità, in quanto il protagonista non era di certo uno dei tennisti più forti o più vincenti del tempo, ma ugualmente colpì e impressionò l’autore di Infinite Jest per il livello comunque elevatissimo di talento, abilità, abnegazione, qualità motorie e cognitive possedute, requisiti essenziali per far parte della classe media anonima dello sport professionistico, ma quasi mai riconosciuti e valorizzati dal pubblico spettatore, che spesso al contrario associa questo livello a mediocrità, o, peggio, al marchio d’infamia dell’essere scarsi.

A volte nello sport accade però l’imponderabile: che un rappresentante della classe media si stacchi dall’anonimato e ascenda verso l’aristocrazia che gestisce e si spartisce i dividendi della gloria di cui sopra. Nel caso del calcio femminile italiano, è questa la vicenda recentissima di Michela Cambiaghi, attaccante dell’Inter e della Nazionale che nelle ultime settimane è stata la grande protagonista con un gol e un assist della storica vittoria in Nations League dell’Italia in casa delle campionesse del mondo in carica della Spagna, e prima ancora della vittoria dell’Inter nel derby di campionato per la prima volta disputato all’Arena Civica di Milano, sempre con un gol decisivo.

Qualche mese fa, ricevendo un premio per il suo percorso universitario, Cambiaghi ha detto di non ritenersi una studentessa-modello, né tantomeno una calciatrice-modello. Un inno alla normalità, o meglio una grande onestà nella propria valutazione che ci torna utile per descrivere la sua carriera calcistica. C’è un confronto, sempre riferito al contesto del calcio femminile italiano, che può aiutarci a illuminare il concetto da cui siamo partiti, il rapporto tra aristocrazia e classe media.

Nel tabellino delle marcatrici della vittoria azzurra contro la Spagna figura anche Valentina Giacinti. Nella primavera del 2016 Le Iene dedicarono un lungo servizio alla situazione del movimento femminile italiano, realizzato dalla compianta Nadia Toffa, centrato in particolare sul Mozzanica, squadra dilettantistica della provincia bergamasca oggi non più esistente, ma al tempo seconda forza del campionato italiano. Valentina Giacinti era la stella di quella squadra, e nelle parole orgogliose e nell’ancor più orgoglioso sguardo dell’altrettanto compianto presidente Luigi Sarsilli, era percepibile il senso di predestinazione verso una grande carriera. Dal servizio non si evince, ma nel reparto d’attacco di quella squadra giocava anche una giovanissima Michela Cambiaghi.

Due stagioni dopo Giacinti passa al Brescia, vince la Supercoppa e perde lo scudetto solo allo spareggio contro la Juventus, poi l’approdo al Milan, il gol contro la Cina agli ottavi di finale dei Mondiali, ancora Milan da protagonista riconosciuta e acclamata, la querelle con Ganz e la fuga a Firenze, infine l’approdo a Roma, un’altra Supercoppa, il primo scudetto della sua carriera vinto da protagonista, lo straordinario percorso in Champions, l’affetto di un nuovo pubblico, e infine i gol alla Svezia e alla Spagna in Nations League con la maglia della Nazionale.

Michela Cambiaghi invece nell’anno successivo al servizio delle Iene passa al Como 2000, successivamente scende in Serie B al Fiammamonza, poi il ritorno in A con il Mozzanica e l’approdo nel mercato invernale al Sassuolo, dove nella seconda parte della stagione 2018/19 segna sei reti mettendo in mostra le sue qualità maggiori, la presenza fisica in area, la forza sui colpi di testa, la buona capacità di tiro e la grande velocità in spazi aperti. Poi un serio infortunio, seguito da due stagioni anonime, per lei ma non per il Sassuolo, diventato nel frattempo la squadra rivelazione della Serie A femminile, tanto da sfiorare ripetutamente la qualificazione in Champions. La partita più importante di quel ciclo della squadra neroverde coincide nel gennaio 2022 con la semifinale di Supercoppa giocata contro la Juventus e persa ai rigori, partita di cui però emblematicamente Michela Cambiaghi gioca solamente cinque minuti.

[@portabletext/react] Unknown block type "imageExternal", specify a component for it in the `components.types` prop

Questo articolo è stato realizzato grazie al sostegno degli abbonati. Sostienici regalando o regalandoti un abbonamento a Ultimo Uomo.

La scorsa stagione la troviamo in cerca di rilancio a Parma, dove parte bene, segna subito nel derby emiliano contro il Sassuolo, realizza un grande gol contro il Pomigliano, e tutto sommato è una delle poche a salvarsi in una squadra che ottiene una retrocessione sorprendente per il tipo di budget investito e le risorse tecniche e organizzative a disposizione, specie se confrontate a realtà come Pomigliano e Como, o alla Samp in odore di fallimento e senza stipendi pagati per mesi alle proprie tesserate. Per questi motivi il suo trasferimento estivo all’Inter non fa notizia. La scena è occupata dall’abbandono di Chawinga, o dagli arrivi di Bonfantini e Bugeja, e non a caso di lei avevamo parlato nella guida alla Serie A Femminile 2023/24 come di un buon innesto per le rotazioni, immaginando un suo frequente utilizzo a partita in corso.

Poi, appunto, l’imponderabile. Alla prima di campionato sfrutta bene la maglia da titolare, segnando contro la Sampdoria. Contro la Fiorentina sfiora ripetutamente il gol, contro il Sassuolo prende una traversa, poi segna ancora contro il Pomigliano. Nel frattempo la sua posizione in campo è cambiata, spostata al centro e non sulla fascia destra, e la buona partenza le guadagna, a ventisette anni, la primissima convocazione in Nazionale maggiore: un altro dato eloquente per testimoniare la distanza che separa l’aristocrazia calcistica dalla classe media. Debutta a Salerno contro la Spagna, e viene schierata titolare a sorpresa con la Svezia, dove se la cava bene ed è tra le migliori in campo. Ha doti fisiche da far valere, in Italia sono pochissime le calciatrici in possesso di una fisicità adeguata agli standard internazionali.

Poi l’ulteriore salto di qualità, lo sconfinamento di status e territorio, il diventare protagoniste imprimendo il proprio marchio alle partite, segnando gol decisivi. Lo fa prima nel derby milanese, che non è un derby qualunque perché si gioca per la prima volta in uno stadio che possiede una storicità evocativa come l’Arena di Milano, di fronte a un pubblico molto numeroso. Michela Cambiaghi il derby lo indirizza con un grande gol a venti minuti dalla fine che risolve una partita fin lì ferma sullo 0-0, uno stacco di testa perentorio ad anticipare il portiere e le avversarie su cross di Tomter dalla sinistra, un marchio di fabbrica leggermente diverso dai colpi di testa di un’altra specialista di questo fondamentale come Cristiana Girelli, che, al contrario di quelli di Cambiaghi, non sono quasi mai nell’area piccola.

Contro la Spagna cambia il lato di provenienza della palla, non più da sinistra, ma da destra su un cross di Giugliano, ma identici sono la posizione, il tempismo e l’impatto con la palla. La cosa più difficile la realizza poco dopo, la spizzata su una palla sempre da destra che libera Linari davanti alla porta. C’è però un filo comune più ampio e meno visibile che lega le due partite, ed è il lavoro svolto nella fase di non possesso. Sia nel derby che contro la Spagna, Cambiaghi è ovunque a portare pressione alle avversarie, sradica diversi palloni mostrando doti di resistenza e abnegazione mai esibite a questi livelli negli anni passati, e confermando un tratto peculiare dell’Italia di Soncin, l’aggressione per riconquistare la palla nella metà campo avversaria, da cui nascono il primo e il secondo gol. In generale il livello mostrato da Cambiaghi in queste due partite è da giocatrice di valore internazionale, in un panorama generale del calcio femminile continentale che sembra di stallo, una medietà in cui di attaccanti d’area in giro non ce ne sono molte e non ce ne sono di nuove.

Ora, non sappiamo cosa accadrà alla carriera sportiva di Michela Cambiaghi da qui in avanti, il futuro non è nelle nostre mani, com'è noto. Sappiamo soltanto che confermarsi stabilmente ad alti livelli, potendo ambire all’aristocrazia da cui eravamo partiti, è enormemente più difficile di sorprendere per una breve parte di stagione, e che c’è un abisso tra la spensieratezza che guida la trance agonistica di prestazioni clamorose ma non attese, e il tarlo amletico derivante dal doversi confermare una volta che i riflettori si sono accesi, con i pensieri, i dubbi, le pressioni, le aspettative conseguenti.

Nel frattempo, possiamo celebrarla come primo simbolo della nuova Italia di Soncin, che questa sera al Tardini di Parma battendo la Svizzera nell’ultimo turno di Nations League, e sperando in un pareggio o in una sconfitta della Svezia contro la Spagna, potrebbe festeggiare un inatteso secondo posto nel girone. Un momento il cui portato storico è passato quasi inosservato, a simbolo della situazione generale di anonimato in cerca di nuova consacrazione che circonda in questo momento la Nazionale femminile. L’epicità del risultato contro la Spagna non corrisponde infatti se non in minima parte all’eco ricevuta in patria, con la vittoria rubricata tra le notizie minori, e il gol di Linari oscurato negli stessi minuti da quello mediaticamente ben più pesante di Gatti al Monza.

Su questo fatto vale spendere una riflessione finale, che coinvolge quelle che io chiamo le quattro leggi fondamentali della cultura sportiva italiana. La prima legge recita che se non sei calcio (va da sé, calcio dei maschi), o al massimo qualcosa con un grande passato e una grande tradizione vincente come la Ferrari, devi volente o nolente accettare di essere bolla (più o meno grande, ma in tutto subordinata agli sport egemoni) nel mercato dell’attenzione nazionale. La seconda legge recita che la misura delle attenzioni, delle considerazioni e del trattamento che verrà riservato alle varie bolle e micro-bolle sportive risiede nella loro capacità di fornire “carri della vittoria” su cui gli italiani sono sempre ben contenti di salire. Quasi sempre per innescarne la costruzione e il movimento serve il grande successo, o perlomeno il profumo di grande successo o grande exploit, e se a un certo punto il carro non può più muoversi perché non ci sono risultati di spessore, seguirà altrettanto immediata la discesa, magari con rapide salite su altri carri, in una concorrenza aiutata dalla radice plurale e polisportiva che da sempre è il vero tratto genetico dello sport italiano. La Nazionale femminile, aiutata da vari fattori, è riuscita a costruire un carro della vittoria tra il 2017 e il 2019, pur senza vincere, ma trasmettendo appunto la sensazione di impresa collettiva, prima nella conquista dei Mondiali, poi nel raggiungimento di un inaspettato quarto di finale.

La terza legge recita che quanto più forte e fragoroso sarà il tuo fallimento sportivo (e quello della Nazionale femminile, di cinquina subita in cinquina subita nei grandi appuntamenti, in questi ultimi due anni è stato fragoroso), tanto maggiore sarà non solo la velocità della discesa e il ritorno nel recinto angusto della bolla. La quarta legge recita che se nella costruzione del carro sono state utilizzate delle retoriche valoriali, ed è accaduto tanto alla Nazionale maschile di rugby delle virtù pedagogiche del terzo tempo quanto alla Nazionale femminile di calcio celebrata nell’estate del 2019 come paladina delle battaglie di genere, una parte del Paese si fomenterà per rovesciare contro a queste Nazionali tutto il proprio disprezzo. Certo, questo cinismo può anche trasformarsi in un carburante agonistico molto potente, ma è indubbio che al momento - nonostante il risultato raggiunto - la Nazionale femminile sia ferma nel deserto.

In una situazione simile ci sono due strade: disperarsi oppure armarsi per ricostruire il carro, con la consapevolezza che nel deserto si può anche restare intrappolati per anni, se non decenni, ma con la forza della volontà se ne può anche uscire. La storia di Michela Cambiaghi alla fine sembra raccontarci proprio questo e da questo punto di vista la vittoria contro la Spagna delle ragazze di Soncin equivale all’aver comprato tavole e bulloni.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura