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Tra Marc Marquez e Valentino Rossi manca ancora l'ultima parola
29 set 2025
Il catalano ha raggiunto il suo rivale per numero di Mondiali vinti: come la stanno vivendo i tifosi del "Dottore"?
(articolo)
23 min
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IMAGO / Action Plus
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Il Gran Premio di Misano per la MotoGP è sempre un appuntamento speciale per i piloti italiani: si corre nel cuore della Romagna (intesa come regione storica: ufficialmente è il GP di San Marino), ossia la regione che ha regalato al motociclismo italiano i suoi campioni più grandi, di cui capostipite è Valentino Rossi, nato nel piccolo comune di Tavullia, in provincia di Pesaro e al confine con l’Emilia-Romagna.

È qui, a Misano, che il 13 settembre, durante la sprint race, succede qualcosa di speciale. A quattro giri dalla fine Marc Márquez, fino ad allora in testa alla sprint e avviato verso l’ennesima vittoria della sua trionfale stagione, cade e butta via la gara. Un episodio che non cambia niente nella sua marcia trionfale verso il Mondiale ma che scatena un fatto curioso. La regia, furba e speculatrice, inquadra sugli spalti un nugolo di tifosi che esultano vistosamente alla caduta. Dopo la gara, OA Sport parlerà addirittura di "boato" mentre DAZN Spagna recupererà un frame appena successivo alla caduta, in cui si vede Valentino Rossi a bordo pista che accenna un sorriso.

È stato solo l'ultimo episodio di una rivalità che continua a far discutere anche quattro anni dopo il ritiro del "Dottore", e che è cominciata ormai un decennio fa. Sicuramente lo ricorderete: era un pomeriggio argentino della primavera del 2015 e, se avete degli amici tifosi di Valentino Rossi, sapete benissimo che nessuno di loro ha mai dimenticato.

Ieri Marc Márquez ha vinto il suo nono motomondiale sul circuito di Motegi, in Giappone, e grazie a questo trionfo ha raggiunto proprio Valentino Rossi per numero di titoli in carriera. Mi sembrava quindi il momento di ripercorrere questa rivalità e di farmi un'idea di cosa significasse, ancora oggi, per i tifosi del "Dottore".

DA AMICI A NEMICI
C’è stato un tempo in cui Rossi e Márquez avevano un rapporto idilliaco. Negli anni in cui Márquez correva nelle serie minori e poi nel suo primo biennio in MotoGP, quando era già chiaro che fosse la next big thing del motociclismo, Rossi affrontava uno dei momenti più duri della sua carriera e più in generale della sua vita.

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Dopo il nono Mondiale vinto, nel 2009, una serie di episodi sfortunati e scelte sbagliate hanno messo a dura prova Rossi, che aveva già superato i trent’anni: la frattura della tibia al Mugello 2010, il fallimentare biennio 2011/12 in Ducati, con la miseria di tre podi in due anni, e soprattutto la morte di Marco Simoncelli a Sepang, nel 2011. Simoncelli era un pupillo e un grandissimo amico di Rossi, e da molti (probabilmente Rossi compreso) era considerato il suo erede.

Rossi, che fu coinvolto in prima persona nell’incidente (investendo del tutto involontariamente "il Sic") ne fu comprensibilmente colpito duramente a livello emotivo, tanto da meditare nei mesi successivi il ritiro dalle competizioni. Rossi per più di un anno non riuscì a parlare al padre di Simoncelli, Paolo, prima di scusarsi con lui e la sua famiglia. Il ritorno alla sua amata Yamaha nel 2013 lo rilanciò pian piano, fino ad arrivare alla stagione 2015, l’ultima grandissima annata di Rossi in MotoGP, in cui guidò la classifica generale dalla prima fino alla penultima gara della stagione.

In questo contesto, l’arrivo di Márquez è stata per Rossi una sfida difficile ma in un certo senso rigenerante. Paragonati fin da subito per tantissime caratteristiche (precocità, stile di guida, caparbietà nei duelli, racecraft e carattere esuberante), Rossi è stata una figura chiave nell’infanzia e nell’adolescenza del giovane Márquez.

Nato nel 1993, il pilota catalano cresce nel mito di Rossi e di Pedrosa, sentendosi più affine al connazionale sulla moto, ma affezionatissimo a VR46. Ancora oggi è possibile trovare tante foto che ritraggono un Rossi già campione di tutto e un Màrquez adolescente, che aveva in camera sua poster e modellini del suo idolo (cosa su cui Rossi però solleverà dei dubbi proprio durante l’ormai celebre stagione 2015, ma ci torneremo).

Già nella prima stagione in classe regina, nel 2013, Márquez infrange alcuni record di Rossi, oltre a ricalcare alcuni suoi gesti simbolici: vince il titolo mondiale da rookie, cosa che a Valentino non era riuscita nel 2000; a Laguna Seca, storico circuito statunitense oggi fuori calendario, lo supera nella curva del Cavatappi con un sorpasso in cui va fuori pista, copiando esattamente la mossa che Rossi effettuò ai danni di Stoner nel 2008.

La stagione dell'arrivo di Marquez e la successiva scorrono almeno all’apparenza abbastanza tranquille, e ci sono diverse scene molto cordiali tra i due nelle occasioni in cui condividono i podi. Nel frattempo, Rossi torna competitivo ma non abbastanza da insidiare Márquez (che nel 2014 impone un dominio stratosferico sul campionato) e si presenta competitivo ai blocchi di partenza dell’annata 2015, dove emerge subito che Yamaha (la moto guidata da Rossi e Jorge Lorenzo) sia nettamente superiore, in quella stagione, a Honda (la moto di Márquez). È in quell’annata che i rapporti si incrinano definitivamente.

La prima miccia arriva al terzo GP, Termas de Rio Hondo, Argentina. Márquez prende il largo presto, ma Rossi, con il suo solito ritmo crescente, si libera degli altri avversari e lo insegue, fino a raggiungerlo a due giri dalla fine. Il duello è rapido e indolore: Rossi lo supera ma Márquez torna dentro; dopo due curve Valentino completa il sorpasso con un block pass; all’incrocio di traiettorie, Márquez, che rimane dietro, risponde con una carenata, ma mentre le moto si rialzano il colpo assestato gli fa perdere l’equilibrio, con la sua moto che si scontra con il posteriore di Rossi e che lo fa cadere rovinosamente. Márquez la prende con filosofia: «Succede, sono le gare. Valentino è il mio riferimento, si impara sempre da lui».

Il secondo capitolo della guerra arriva dopo qualche gara: Assen, l’università del motociclismo, una delle piste predilette di Rossi. Si arriva anche qui all’uno contro uno nelle ultime battute, stavolta all'ultima curva dell'ultimo giro, dopo l’ennesima battaglia. L’ultima curva di Assen è una chicane strettissima, in cui non riuscirebbero a piegare assieme nemmeno due moto di Moto3 (la classe leggera). Alla staccata Rossi frena per primo, Márquez cerca un ingresso impossibile e si tocca con Rossi, che è costretto così a tagliare la chicane, passando attraverso la ghiaia. "Il Dottore" rimane miracolosamente in piedi e vince. Da questo duello Márquez ne esce più stizzito: «Sappiamo entrambi cos’è successo. Mentalmente sento di aver vinto, ero all’interno e avevo la traiettoria migliore».

«Non so cosa avrei dovuto fare», risponde Rossi «Lui mi ha buttato fuori, ma io ero davanti di più di mezza moto. Con Márquez una carenata la prendi sempre». Nonostante tutto, il campionato procede più o meno tranquillo. Rossi dimostra una continuità impressionante: ottiene 12 podi consecutivi dall’inizio della stagione, sacrificando qualche vittoria in cambio della continuità. Lorenzo, suo avversario diretto, vince più gare ma paga un avvio di campionato incerto e rimane dietro di lui.

LA TRILOGIA DEL CAOS
Si arriva a Phillip Island, GP di Australia, terzultimo GP stagionale, con Rossi davanti a Lorenzo di 18 punti. Quella gara è ancora oggi considerata tra le più belle della storia della MotoGP, con tantissimi duelli tra i primi quattro: Lorenzo, Márquez, Iannone e Rossi. A metà gara Lorenzo prende un discreto margine sugli altri tre, che lottano tra loro per il secondo gradino del podio tra sorpassi e controsorpassi. Negli ultimi giri Márquez si disfa di Iannone e riesce a recuperare quasi un secondo intero nell’ultimo giro a Lorenzo (un’infinità, considerando il passo di entrambi), superandolo e vincendo la gara. Nell’immediato post-gara, non accade nulla di rilevante di fronte alle telecamere, ma probabilmente Rossi si confronta con qualcuno che gli accende una miccia. Qualche settimana dopo Márquez rivelerà: «[A fine gara] Rossi è venuto da me per chiedermi a che gioco stavo giocando. Non ho capito il perché della domanda, visto che avevo vinto».

Il polverone esplode quattro giorni dopo, nel famigerato “giovedì di Sepang”. L’accusa di Rossi è chiara: «Márquez ha giocato con me in Australia, aveva un passo più veloce di tutti eppure è sempre stato lì con me. È importante che lui sappia che io lo so. Lui preferisce che vinca Lorenzo, è arrabbiato con me per l’Argentina e per Assen. Siccome è rimasto fregato per il Mondiale ha pensato: non vinco io, ma non vinci nemmeno tu. Se si mette in mezzo ora diventa difficile: mi dispiace e mi fa arrabbiare».

Rossi è poi profetico sul futuro: «Sarà vero che mi idolatrava? Forse un tempo, ora si confronta sempre con me. Lui vuole arrivare ai miei risultati, e se vinco questo Mondiale per lui è un Mondiale in più per arrivare a prendermi». In quel momento il pilota di Tavullia è ancora primo in classifica con 11 punti di vantaggio su Lorenzo.

Qui bisogna fermarsi per comprendere meglio il contesto. Nel corso della sua carriera, Rossi si è sempre distinto per la furbizia, la scaltrezza e i mind games comunicativi che ha saputo fare con i suoi rivali. Nel duello mediatico tutto italiano con Max Biaggi, in un’epoca in cui i motociclisti erano gli sportivi pop italiani per eccellenza, quasi alla stregua dei calciatori, Rossi ne è uscito vincitore; Casey Stoner, talento puro tra i migliori cinque della storia di questa disciplina, si è ritirato a 27 anni, tra i vari motivi, anche per via della pressione mediatica arrivata dalla rivalità con Rossi; Jorge Lorenzo, per il quale Rossi ha fatto innalzare un muro nel box quando i due erano compagni di squadra (era il 2008, rookie season dello spagnolo), ha resistito, ma l’ha fatto a suo modo, assorbendo tutto. Márquez è stato ed è ancora oggi un animale diverso; non a caso molto più simile al suo mentore, istrione, estroverso e mentalmente fortissimo.

A Sepang, nel frattempo, bolle un vulcano sotto l’asfalto. Márquez non risponde nell’immediato, ma il weekend è molto lungo. Si arriva alla domenica con le due Honda che partono davanti a tutti (Pedrosa 1° e Márquez 2°), Rossi completa la prima fila 3°, Lorenzo inaugura la seconda, 4°. Alla partenza Pedrosa scatta meglio, Márquez prova a tenere il ritmo ma va largo e viene subito superato da Lorenzo, che nel frattempo ha superato Rossi e svernicia il due volte campione in carica al primo tentativo. Pedrosa e Lorenzo fuggono, così Rossi può rifarsi sotto su Márquez. Il loro duello dura quattro giri all’incirca, in cui i due si scambiano 13 (!) sorpassi.

Márquez si rialza sempre al limite, tira staccate fortissime («Ha cercato di farmi cadere 3-4 volte», ha detto Rossi lo scorso anno), ma Rossi non si arrende. Al 7° giro succede il fattaccio: dopo l’ennesimo contatto, in cui Rossi rimane davanti, il 46 rallenta, “aspettando” il 93: i due finiscono larghissimi, le loro moto si avvicinano e Márquez cade. Sul “calcio” di Rossi ai danni di Márquez, su cui a distanza di 10 anni aleggia ancora un alone di mistero, si dibatte senza soluzione di continuità: l’ha dato - e ha fatto cadere Màrquez? Non l’ha dato e Márquez è caduto perché, come sostiene Rossi, il suo ginocchio e la manopola del freno si sono incrociati? O, come addirittura sostiene qualcuno, Márquez ha volontariamente artefatto quell'episodio dando una pinzata di freno? Interviste, discussioni, programmi televisivi e articoli dedicati alla questione popolano ancora oggi i media, in particolare quelli italiani e spagnoli, su una questione mai risolta.

Livio Suppo, all’epoca team manager Honda, ha dichiarato che avrebbe voluto rendere pubblica la telemetria di Márquez (ossia la scatola nera della gara di un pilota) ma che gli è stato impedito da Dorna (la società che gestisce il motomondiale da un punto di vista commerciale, passata quest'anno a Liberty Media, che già gestiva la Formula 1) e FIM (Federazione Internazionale Motociclismo). In ogni caso, Márquez si ritirerà appena dopo la caduta (un fatto alquanto raro per lui, che di solito si rialza e prova a finire tutte le gare quando la moto è ancora integra), mentre Rossi termina terza.

Il boccone amaro arriva per Rossi nel dopo gara. Rossi, infatti, subisce una sanzione di 3 punti sulla “patente piloti” (il metodo utilizzato all’epoca per gestire il comportamento dei piloti in stagione), abbastanza per arrivare ai 4 punti di penalità che, secondo quel metodo, comportavano la partenza dal fondo della griglia nella gara successiva, Valencia. Quando Rossi viene convocato in race direction per comunicargli la decisione trova una situazione inaspettata. «Lì trovo Alzamora [manager di Márquez, ndr], che nemmeno avrebbe dovuto essere lì (ci doveva essere un rappresentante di Honda) che inizia ad insultarmi», ha raccontato un anno fa al podcast Mig Babol. «Quando Mike Webb [responsabile della race direction, ndr] ha detto che sarei partito ultimo, ho guardato subito Márquez, e lui ha guardato subito Alzamora facendo un cenno d’intesa».

La storia di Valencia è risaputa: Rossi parte ultimo e rimonta fino al 4° posto, quando però Lorenzo, Márquez e Pedrosa (in rigoroso ordine) lì davanti sono troppo lontani da raggiungere. Márquez, che chiude secondo, arriva ripetutamente a ridosso di Lorenzo, ma non prova il sorpasso nemmeno una volta. Lorenzo è campione del mondo, Rossi perde il titolo all’ultima gara e non vincerà mai il decimo Mondiale, che diventerà un’ossessione per lui e per i suoi tifosi, che quel titolo se lo arrogano di diritto sin da allora.

«Quel che è accaduto nel 2015 è stato talmente forte, decisivo e amaro che non permette, per i tifosi più accaniti, un perdono», mi ha raccontato Fabio Fagnani, scrittore e giornalista di Fanpage. «Quel mancato decimo titolo per mano di Marc ha fatto infuriare tutti gli sportivi e soprattutto coloro che hanno amato il 46. Non riescono a mandare giù quell’evento nonostante siano passati dieci anni. Da una parte sarebbe bello mettere da parte i dissapori, dall’altra è vero che è una macchia indelebile nella carriera di una leggenda che ha conquistato il suo nono titolo».

Aggiunge un ulteriore layer interpretativo Cosimo Curatola, giornalista di MOW Magazine e creatore del canale YouTube Benzine. «Marc Marquez è fortissimo e sta vincendo tutto, per questo è un tema di attualità. Tutto questo risentimento non c’era negli ultimi anni di Marc in Honda, quando abbiamo visto il suo lato più umano e disperato [Màrquez ha passato 4 stagioni in cui, tra gravi infortuni e problemi tecnici, ha patito moltissimo e ha anche meditato il ritiro, ndr]. Attaccarlo in quel periodo sarebbe stato come picchiare un poveretto. Farlo adesso che ha tutto dalla vita, invece, fa sentire la gente meno in colpa».

CONSEGUENZE E PRESENTE
Dopo il 2015, la rivalità in pista tra i due ha continuato a ribollire, forse senza arrivare a questi picchi ma regalandoci nuovi episodi significativi. Quello più eclatante è ancora una volta a Termas, sul tracciato argentino, nel 2018. Che gli episodi decisivi tra i due siano avvenuti su quel tracciato sembra quasi uno scherzo del destino: entrambi hanno un rapporto particolare con quel circuito e con quella gente, entrambi hanno un idolo calcistico argentino, con la cui maglia hanno festeggiato le loro vittorie su quel circuito, con cui sono cresciuti e che ne ricalcano perfettamente i tratti caratteriali e generazionali. Due epoche e le loro rispettive leggende a confronto.

Rossi a Termas ha celebrato Diego Armando Maradona, l’icona e capopopolo, l’uomo teatrale ed esibizionista, larger than life, che attirava su di sé tutte le attenzioni e che ha contribuito a rendere il suo sport popolare in tutto il mondo: una descrizione che ricalca perfettamente anche Rossi. Marquez ha dato invece spazio a Lionel Messi, riproducendo l’esultanza del Clàsico 2017, quello in cui mostra la sua maglia ai tifosi del Real Madrid: entrambi fuoriclasse assoluti e indiscutibili, dal carisma denso ma a volte difficile da afferrare e comprendere, dal carattere forte sì, ma talvolta chiuso e spigoloso. Entrambi hanno vissuto per anni nel dubbio che il loro valore non fosse davvero quello che si diceva, entrambi, in un momento della carriera in cui ormai non sembrava più possibile, sono riusciti a superare l'ultimo ostacolo che impediva ai più scettici di riconoscerlo (il Mondiale nel caso di Messi; il nono Mondiale in quello di Marquez).

La gara parte da condizioni miste bagnato-asciutto, con la pista che va asciugandosi. Márquez ne combina di ogni: sistema male la moto in griglia, la fa spegnere e deve riposizionarsi, quindi gli viene assegnato un ride through. Va così forte però che, con una condotta di guida molto rischiosa, risale a pochi giri dalla fine al settimo posto, arrivando a ridosso proprio di Rossi. In poche curve lo spagnolo gli si fa sotto e tenta il sorpasso con una staccata ardita, ma nel farlo gli frana addosso e gli fa perdere equilibrio; Rossi sbanda, finisce fuori pista e scivola sull’erba bagnata, compromettendo la sua gara. A fine gara Márquez, che nel frattempo viene penalizzato e termina la gara 18°, si affaccia nel box Yamaha cercando di scusarsi con Rossi, ma Uccio Salucci (lo storico manager di Rossi) lo caccia via severamente.

«Io ho paura quando sono in pista con Márquez», dichiara Rossi «Questa è una situazione molto brutta, perché ha distrutto il nostro sport e non ha mai rispetto per i suoi avversari». L’annata 2018 segna la chiusura definitiva di ogni rapporto di Rossi con Marquez, con un episodio simbolico che avviene durante una conferenza stampa a Misano, a tre anni di distanza da quella caduta a Sepang: il rifiuto, da parte di Rossi, di stringere la mano al suo rivale.

Marquez scuote le braccia, come a dire: io ci provo, ma non vedo apertura.

Sono episodi che hanno polarizzato ulteriormente il tifo intorno a Valentino Rossi, spaccando ancora di più a metà il pubblico tra chi lo amava e chi lo odiava. «Valentino è stato (ed è) un gigante», mi dice Luca Cassetta, fondatore di Warmuppers, media house a tema MotoGP «Io, come tanti, mi sono innamorato delle corse grazie a lui, però il suo carattere peperino lo ha portato spesso in rivalità roventi: fa parte del personaggio e del campione. La verità è che le storie si scrivono in due: anche le “colpe” si dividono. Senza entrare nel tribunale dei social, dico questo: giudicare dall’esterno è facile, ma per stabilire responsabilità servirebbe aver vissuto ogni frammento da dentro. Detto ciò, su episodi recenti, tipo l’incrocio in pit lane di questa estate [quando i due, durante il Gran Premio di Austria, non si sono nemmeno salutati facendo finta di non vedersi, ndr], capisco pure le reazioni istintive: siamo umani. Giudicare è davvero davvero difficile, si può al massimo supporre. Ma diplomaticamente, e con raziocinio, mi viene da dirti che solo chi conosce esattamente le versioni dei fatti di tutti e ha vissuto da vicinissimo ogni singolo momento può stabilire delle colpe. Anche perché, come dicevo prima, parliamo sempre di due piloti le cui personalità sono merce rara».

La rivalità tra Marquez e Rossi ha continuato a influenzare tutto il circus anche negli ultimi anni della carriera del "Dottore", anzi anche dopo, visto che questa storia è uscita pochi giorni fa. Era l’estate del 2019. Alex Márquez, fratello minore di Marc, oggi protagonista in MotoGP ma all’epoca in Moto2, aveva firmato con Petronas, il team satellite di Yamaha, casa di cui Rossi era all’epoca dei fatti pilota e di cui oggi è ambassador. Secondo lo stesso Alex Marquez, intervistato pochi giorni fa a El Cafelito, podcast di Josep Pedrerol, Rossi però si mise di mezzo, facendo naufragare quest'esperienza ancora prima del suo inizio. «Quel contratto è durato cinque giorni», ha detto ironicamente Alex Marquez «Non me l'hanno detto direttamente che il motivo erano i trascorsi di Valentino Rossi con mio fratello Marc. Ne ho pagato il prezzo anche se non è stata colpa mia». Il fatto che questa indiscrezione sia arrivata nel miglior momento della carriera di Alex Márquez (attualmente secondo in campionato con 2 gare vinte e 9 podi totali) ha riacceso ulteriormente le critiche nei confronti di Rossi, e di conseguenza la rivalità con Marc.

D'altra parte, anche gli “eredi” di Rossi, ossia i piloti di punta della sua Academy, sono stati in qualche modo toccati da questa rivalità. Marco Bezzecchi, per sei anni pilota del Team VR46 tra Moto2 e MotoGP, ha avuto per lungo tempo un rapporto difficile con Marc Marquez, che lo fece cadere con una manovra sconsiderata durante un Gran Premio a Valencia nel 2023, tanto per fare un esempio.

«Se Rossi per primo lo avesse perdonato sono sicuro che la maggior parte dei tifosi ci avrebbe messo una pietra sopra», mi dice Fagnani «È evidente che lui in primis abbia ancora quella ferita aperta che gli avrebbe consentito di vincere il decimo titolo e di fare cifra tonda, cosa che con tutta probabilità farà Marc il prossimo anno, andando a chiudere il cerchio di quella strategia. Ma come disse Lucchinelli, la colpa fu anche di Rossi che provocò in conferenza Marc [il riferimento è al “giovedì di Sepang”, ndr]. Forse, senza quello sfottò in pubblica piazza, oggi non ci sarebbe un caso Sepang 2015».

«Per me è molto semplice», mi dice Curatola «Valentino avrebbe perdonato quasi sicuramente Marc se quest’ultimo si fosse ritirato con otto titoli mondiali, sarà difficile che lo perdoni una volta vinto il nono e quasi impossibile nel caso in cui dovesse arrivare al decimo o addirittura oltre. Perché il tema è ancora quello lì: il decimo mondiale e di conseguenza il titolo di pilota più vincente della storia».

La rivalità tra Valentino Rossi e Marc Márquez è la più grande arma a doppio taglio del motociclismo. Sono stato al Mugello lo scorso giugno e ad ogni passaggio di Márquez c’era un certo rumoreggiare del pubblico. Da un certo punto di vista, i tifosi di Rossi amano odiarlo. È diventato il loro bersaglio preferito, il villain perfetto. Dopo la vittoria della sprint race di Márquez sul circuito toscano, il pubblico della tribuna Materassi lo ha sonoramente fischiato, una cosa piuttosto rara nel motociclismo. In risposta ai fischi Davide Tardozzi, team manager Ducati e più in generale uomo immagine della squadra di Borgo Panigale, ha agitato la polo che indossava, indicandone il colore e urlando: «È ROSSO!», come dire: è uno di noi. Probabilmente però non sarà mai così, e forse persino un perdono di Rossi, dopo ormai dieci anni, non cambierebbe molto le cose.

"Gli insulti, le volgarità, le offese e le cattiverie assortite sono molto più presenti in ambito sportivo, dove discutere pacificamente di un atleta, un allenatore o una squadra è diventato sempre più complicato, a volte impossibile", spiega Simone Salvador nel suo libro #Siamoquesti. Viaggio tra i paradossi dello sport italiano nel capitolo legato proprio alla cultura sportiva. Lo abbiamo visto recentemente nel tennis, che in questo senso ha ripercorso le orme del motociclismo come fenomeno di massa esploso quasi “da zero”, e pensate cosa significa avere come punta dell'iceberg non una persona imperscrutabile come Sinner ma un agitatore di folle come Rossi.

«Per me la rivalità era in pista, ormai sono passati degli anni», mi dice Cassetta «Per forza di cose quando la posta in palio è così alta, difficilmente il sentimento cambia, a meno che non ci sia un vero e proprio chiarimento faccia a faccia. Dal punto di vista mediatico e del tifo, sicuramente io credo che oggi questo faccia molto male alla disciplina. Perché tifosi e appassionati fanno quasi sempre riferimento al 2015 ed ai trascorsi tra Rossi e Marquez».

Dal suo canto, Dorna cavalca l’onda, e da un certo punto di vista non potrebbe essere altrimenti. Per dire, il video del duello di Rossi e Márquez a Sepang 2015 può contare 127 milioni di visualizzazioni su YouTube - per fare un confronto: quello tra Verstappen contro Hamilton nello storico showdown di Abu Dhabi nel 2021, in Formula 1, ne ha “appena” 28 milioni. Non a caso, recentemente Dorna ha annunciato che lancerà un documentario su Sepang 2015, che verrà pubblicato esattamente nel decennale dell’incidente, ossia il prossimo 25 ottobre. Il tema insomma è troppo ghiotto, scatena troppe reazioni per essere sgonfiato o anche solo ignorato. «La rivalità fa bene allo sport, qualunque rivalità in qualunque sport», mi dice invece Cosimo Curatola «È lo sport, in un certo senso, a basarsi sulla rivalità. Pensare che faccia male sarebbe, secondo me, un filo ipocrita o quantomeno ingenuo».

UNA RIVALITÀ SENZA FINE, FORSE
Nonostante sia difficile prevedere il futuro, sarebbe curioso vedere un riappacificamento tra i due, anche per capire come possa proseguire il loro rapporto. «Secondo me se nessuno dei due penserà mai di aver sbagliato più dell’altro non finirà mai», mi dice Fagnani «Dal mio punto di vista ha sbagliato di più Marc. Perché le parole sono una cosa, i fatti in pista un’altra e lì si rischia davvero. Basterebbe una scusa per chiudere i giochi. Ma non credo arriverà mai. Sono troppo orgogliosi entrambi. Forse, chi lo sa, quando si ritirerà anche Marc qualcosa potrebbe succedere, magari al ranch. Se ci pensi alla fine Rossi ha invitato praticamente tutti i suoi avversari, non ultimo Stoner. Insomma, Rossi ha dimostrato storicamente di amare le moto più di quanto possa odiare un avversario. Mi auguro che ci sia spazio per rasserenare i rapporti. Farebbe bene all’intera MotoGP».

«Come dicevo in precedenza, l’unico modo per porre fine a questa rivalità è un confronto tra i diretti interessati, che per forza di cose potrebbe dover essere seguito da dichiarazioni pubbliche», aggiunge Cassetta «Ma non solo, qualcuno chiede anche informazioni e dati ufficiali, come le famose telemetrie mai pubblicate, che possano aiutare a chiarire diversi aspetti. Più che altro mi auguro, in riferimento ad alcune indiscrezioni delle settimane passate, che non si continui a mettere benzina sul fuoco (come ad esempio con la realizzazione di una serie a tema). Quello che possiamo fare tutti noi che esprimiamo pareri sullo sport è sorvolare e concentrarci sugli aspetti positivi della disciplina».

Se c'è una cosa su cui Marquez si è sempre dimostrato superiore a Rossi di sicuro quella è la furbizia. L'ultima dimostrazione è arrivata venerdì mattina, quando AS ha pubblicato una lunga intervista a Màrquez dal titolo eloquente: “Raggiungere Rossi sarà un onore”. Dentro, a più riprese, Márquez tesse le lodi di Rossi (come pilota, ovviamente).

Dall’altro lato, Rossi, pur riconoscendo, se obbligato dal contesto, le qualità di Màrquez, ha quasi sempre evitato il tema. Quando parla di rivali menziona Biaggi, Lorenzo, Stoner. Per lui Màrquez non è un rivale, è «un’altra cosa». Anche per questo, d'altra parte, Rossi è percepito come più autentico, almeno in Italia, mentre Màrquez come più machiavellico e opportunista.

Anche io, in fondo, mi sono chiesto se Marquez volesse davvero ricucire il rapporto, almeno in uno slancio di opportunità. «Sinceramente, dopo dieci anni di non-rapporto, non credo che a Marc oggi interessi ricucire la relazione con Rossi», mi risponde Noemi Pirazzoli, marketing manager e content creator a tema MotoGP. «E se anche fosse, lodare i suoi numeri davanti ai giornalisti non sarebbe certo la strategia migliore. Allo stesso tempo non definirei le dichiarazioni di Márquez come di facciata, penso semplicemente che stia prendendo atto della realtà: i suoi nove titoli eguagliano i nove di Valentino Rossi, ed è un dato di fatto. Penso che nel menzionare Rossi non stia facendo altro che riconoscerne il talento e l’importanza per questo sport. Poco c’entrano la rivalità o gli screzi: in quell’intervista Marc parla di “numeri che definiscono chi è il migliore”, e io credo sia sincero quando dice di sentirsi onorato nel vedere il proprio nome accostato ai più grandi di sempre».

«Credo che se i due venissero chiusi in una stanza da soli», conclude Pirazzoli «Lui proverebbe a fare una battuta o a tendere la mano, ma non credo che Valentino restituirebbe la stretta». Quante altre rivalità vi vengono in mente che non riescono a chiudersi nemmeno nella nostra immaginazione?

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