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Emanuele Atturo
Cosa non va nelle convocazioni di Mancini
22 mar 2023
22 mar 2023
Arrivano le partite ufficiali e i convocati lasciano qualche dubbio.
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Emanuele Atturo
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Nick Potts/IMAGO
(foto) Nick Potts/IMAGO
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“Siamo tutti ct” recita un modo di dire sarcastico, che scherza sulla smania del popolo italiano di dire la loro su come dovrebbe giocare la Nazionale, e soprattutto sui giocatori che andrebbero convocati. Le polemiche sulle convocazioni sono antiche quanto l’Italia, e in un certo senso hanno fatto l’Italia. Siamo il paese che voleva Pruzzo o Beccalossi al Mondiale di Spagna dell’82. Quando le polemiche non ci sono, tendiamo a inventarle, come per assecondare una vecchia abitudine, o anche solo perché stare troppo tranquilli ci annoia. Ci piace che la nostra Nazionale sia sempre circondata da un pizzico di veleno, di caos, di polemiche. Ci fa sentire vivi. Come quei pranzi di Natale in cui un po’ di litigate ci rinfrescano lo spirito.

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Insomma, non c’è niente di nuovo nel mettersi a scrivere delle convocazioni del commissario tecnico della Nazionale italiana, e so di cadere in un cliché. Le convocazioni uscite per le gare che l’Italia dovrà affrontare contro Malta e Inghilterra, sono però oscure, ermetiche, difficili da capire. Non solo perché è presente Mateo Retegui, centravanti argentino del Tigres, che in fondo ha l’aria della scommessa che vale la pena tentare. Ci sono però giocatori fuori forma, o altri che sembrano aver raggiunto un certo limite d’età, e poi altri adolescenti che non giocano mai. È difficile trovare una coerenza, tra i nomi inclusi e quelli esclusi, e riuscire a immaginare qual è l’Italia che ha in mente il CT. Se non le avete presenti, queste sono le convocazioni per la Nazionale maggiore, queste per l'Under-21.

A un certo punto bisogna domandarsi qual è il piano di Mancini. O quanto meno qual è il suo problema con certi giocatori. Dopo due mancate qualificazioni la FIFA ci è venuta incontro estendendo il Mondiale di Stati Uniti, Canada e Messico a 48 squadre, forse troppe persino per la nostra recente tendenza al suicidio sportivo. Ora però bisogna fare una squadra. In genere così funzionano i cicli delle Nazionali: si costruisce un nuovo gruppo dopo la fine di un campionato del mondo, e si punta a quello successivo, usando l’Europeo come tappa intermedia per far crescere insieme gli stessi giocatori. Non è una ricetta universale, ma forse è la migliore possibile. Il nostro rapporto con i giovani oggi appare incerto.

Uno dei giovani più talentuosi, fra quelli convocabili, è Destiny Udogie. A vent’anni è già alla sua seconda stagione da titolare in Serie A, entrambe giocate ad alti livelli. È un giocatore formidabile in conduzione, con una frequenza di passo impressionante per la sua altezza, capace di corse imprevedibili, che tagliano il campo spesso in diagonale. Un profilo ideale per il nuovo sistema dell’Italia, che prevede una grande influenza offensiva degli esterni di centrocampo. Udogie però non ha ancora esordito in Nazionale e le sue mancate convocazioni si ammantano, di volta in volta, di un mistero sempre più fitto. Si possono solo azzardare delle ipotesi. Con già Dimarco considerato titolare, e diventato importante, Mancini preferisce forse avere un giocatore esperto e importante nello spogliatoio come Spinazzola, piuttosto che un giovane in competizione. L’aspetto principale da considerare, però, è l’arrivo dell’Europeo Under 21, che vale la qualificazione ai Giochi Olimpici. Messa in questi termini, tanto vale non domandarsi nemmeno cosa fare di Fabiano Parisi (Ora che Dimarco ha dovuto rinunciare alla convocazione al suo posto è tornato, ancora, Emerson Palmieri).

Stesso discorso per Fagioli e Miretti, che dimostrano che oggi nemmeno giocare titolare nella Juventus basta per avere la convocazione in Nazionale. Bisognerebbe domandarsi se questo piano ha davvero un senso sportivo, o se non sia solo un gioco politico di sapienti contrappesi. Oppure una complessa rete di protezione alla pressione mediatica su squadre e giocatori. Profili come Udogie, Fagioli, Ricci, Miretti o Baldanzi sono davvero indispensabili per le qualificazioni dell’Under 21? Lo scopo delle selezioni giovanili non sarebbe preparare i giovani alla Nazionale maggiore? Se questi giovani sono già pronti, come del resto dimostrano le loro prestazioni in Serie A, a cosa serve usarli nell’Under 21?

Fa pensare all’ossessione dei nostri settori giovanili di vincere i rispettivi campionati di categoria, tralasciando il loro obiettivo principale, e cioè formare e modellare il talento. Fagioli e Ricci avranno 25 anni nel 2026, Udogie 24, Miretti 23: sono loro che dovrebbero portarci al prossimo Mondiale, e che poi dovrebbero giocarlo - almeno in teoria.

È anche difficile capire la ratio. Perché Gnonto, Scalvini e Pafundi meglio in Nazionale maggiore, mentre Baldanzi, Udogie, Colombo meglio in Under 21? In fondo ci sarebbero anche altri giocatori eleggibili nell’Under-21: Kean, Raspadori, Tonali, per esempio, non può essere solo una questione d’età. Mancini ha detto che in Italia ci sono “tanti Bellingham” e il loro unico problema è che non giocano, ma non è semplice capire a chi si riferisse.

Il sistema non aiuta le selezioni italiane. La legge esclude dalle nazionali giovanili i ragazzi nati in Italia da genitori extra-comunitari e pochi giorni fa Wisdom Amey, più giovane esordiente della storia della Serie A, ha accettato la convocazione del Togo U-23. L’Italia non potrà convocarlo fino almeno alla prossima estate, e a questo punto chissà se succederà. Viene in mente anche il caso di Nicola Zalewski, nato in Italia ma che ha scelto la Polonia perché la federazione si è interessata a lui sin da giovane. Stessa cosa successa a Kristjan Asllani, convocato ormai nell’Albania. Forse da qui nasce anche la nuova smania dell’Italia di sfruttare lo ius sanguinis per convocare gli argentini di origini italiane. Mateo Retegui in Nazionale A e Bruno Zapelli in Under-21. Non è ancora chiaro quanto siano mosse politiche o giocatori effettivamente utili - la loro carriera, per ora, non può spiegarcelo. Mancini ha detto che bisogna guardare a quel calcio perché si gioca ancora per strada, mentre in Italia non più e quindi non ci sono più talenti, giocatori estrosi in grado di dribblare.

Non aiuta non convocare l'unico dribblatore italiano del nostro campionato, Mattia Zaccagni, che forse ha fatto qualcosa a Mancini. Non ironicamente, su di lui c'è un retropensiero disciplinare, ma è difficile da dimostrare. Stiamo comunque parlando di uno dei migliori giocatori offensivi del campionato italiano, uno dei migliori nel gioco spalle alla porta, utile per risalire il campo anche con l’uomo addosso. Nell’ultimo anno Zaccagni è migliorato anche nel rapporto con la porta. Tocca più palloni in area, ha più occasioni, segna di più. È diventato un giocatore più completo.

Grafico Statsbomb.

In rosso Zaccagni, in blu Gnonto. Non si vuole qui discutere la convocazione di Gnonto, sia chiaro, visto che è un giocatore raro nel calcio italiano. Solo che ecco, i numeri dell’esterno della Lazio non si possono ignorare ancora per molto. Zaccagni inoltre è esploso in Serie A nel 3-4-3 di Juric e Tudor: è un sistema di gioco che conosce e in cui si muove come un pesce nell’acqua. Mancini si è lamentato dell’assenza di attaccanti, ed è strano che continui a lasciare a casa uno dei giocatori offensivi più efficaci sotto porta.

È impossibile non legare la mancata convocazione di Zaccagni al mistero del talento che gioca solo in Nazionale, ovvero Simone Pafundi. Su di lui ho già scritto: basta vederlo toccare la palla un paio di volte per capire che ha qualcosa di speciale. Dalla sua ultima convocazione, però, non ha giocato che nove minuti con l’Udinese. Ha 17 anni, fisiologicamente non sembra ancora un calciatore. Siamo sicuri che sia il momento giusto di chiamarlo in Nazionale maggiore? Pafundi non ha praticamente esperienza nel calcio professionistico e queste convocazioni rischiano solo di mettergli pressione. La sua convocazione sembra l’ultimo residuo del primo Mancini, che convocava giocatori giovani e sconosciuti plasmandoli come proprie creazioni.

Ci sono poi casi di giocatori che non giocano in Serie A e di cui quindi non si parla nemmeno. Ibrahima Bamba è ormai titolare nel campionato portoghese e su di lui pare ci sia l'interesse dell’Arsenal e dell’Aston Villa. È uno dei giovani difensori più interessanti in Europa, ma la sua esperienza in Nazionale è limitata allo stage a cui Mancini lo ha chiamato lo scorso maggio. Non sarà nemmeno in Under 21. Nel frattempo il reparto difensivo è formato da Francesco Acerbi (38 anni nel 2026), Leonardo Bonucci (39 anni nel 2026), Toloi (36 anni nel 2026). Mancini ha detto che ci sarà tempo per trovare l’erede di Bonucci, e che in ogni caso in difesa ci sono tante soluzioni. L'impressione però è che il passaggio alla difesa a tre sia stato causato proprio dall'assenza di centrali affidabili per una linea a quattro, e questo nonostante la seconda miglior difesa del campionato sia composta da due centrali italiani, Romagnoli e Casale.

Cher Ndour ha esordito pochi giorni fa con la maglia del Benfica, prossima semifinalista di Champions League. Una mezzala tecnica di prospettiva: chiedere una sua convocazione magari è eccessivo, ma nemmeno lui è stato chiamato in Under 21 (del resto Nicolato ha a disposizione il centrocampo della Juve, perché dovrebbe pensare a Ndour?).

La strategia di Mancini è quella di altri CT europei, come Flick con la Germania e Luis Enrique con la Spagna: su gradi diversi, trattare la Nazionale come fosse un club. Creare un gruppo consolidato in cui le cui convocazioni hanno solo relativamente a che fare col rendimento in campionato. È riuscito a vincere l’Europeo dando vita così una squadra per molti versi controculturale rispetto al nostro calcio, evitando troppi compromessi ma scegliendo un’identità chiara e ambiziosa. Ha accostato tra loro calciatori che abitavano la stessa lingua calcistica. Una squadra fondata sul centrocampo, che voleva dominare la partita attraverso il pallone, giocare nella metà campo avversaria. Una squadra che poteva restringere e allargare il campo dando una forma e un ritmo diversi al proprio palleggio. La squadra dei giocatori minuti e tecnici che si scambiano la palla in spazi stretti. Una squadra che faticava a segnare, ma che subiva poco anche grazie al fatto che detta il contesto. La bravura di Mancini era stata quella di creare quest’identità così coerente, che sembrava impensabile per la Nazionale italiana.

Quello che preoccupa di queste convocazioni, quindi, al di là dei singoli nomi, è la mancanza di chiarezza e di coraggio che nascondono. Mancini sembra di nuovo puntare su un gruppo di giocatori ben preciso: ma è un gruppo anziano, composto da molti giocatori che già sappiamo non potranno giocare il prossimo Mondiale. Per questo è lecito domandarsi qual è il piano, e se non siamo di nuovo ricaduti nel peccato di riconoscenza verso i giocatori che hanno vinto qualcosa con la Nazionale.

Dopo la mancata qualificazione in Qatar, l’Italia aveva bisogno di un rinnovamento radicale, anche solo per questioni anagrafiche, mentre sembra che la squadra in questo momento sia imprigionata in uno strano limbo, incapace di abbandonare la strada vecchia per prenderne una nuova. Dopo la traumatica sconfitta contro la Germania, dove l’Italia ha subito 5 gol, Mancini è passato alla difesa a tre, assecondando uno degli istinti più antichi dei tecnici italiani: when in trouble, go difesa a tre. In fondo è un processo naturale: se la nostra scuola calcistica non fa altro che produrre centrali di difesa a 3 ed esterni a tutta fascia, cosa ci si aspetta che faccia il CT della Nazionale?

L’Italia che ha vinto l’Europeo era fondata su giocatori cresciuti respirando i principi posizionali di Sarri e De Zerbi, allora quest’Italia dovrà somigliare di più allo standard degli ultimi anni di calcio italiano: difesa a tre, marcature a uomo, esterni a tutta fascia. Per semplificare, dovrebbe prendere una forma più gasperiniana, o comunque più vicina ai suoi eredi che hanno cominciato a monopolizzare la Serie A.

L’ossatura della squadra rimane però sostanzialmente quella che ha vinto l’Europeo, impoverita dal ritiro di Chiellini dalla Nazionale, dallo scadimento di forma di giocatori come Jorginho, Verratti, Spinazzola, Immobile, Bonucci, Insigne. Molti di loro non sembrano adatti alla nuova identità. I due mediani per esempio devono coprire molto campo in orizzontale e avere letture difensive complesse. Contro l’Austria la coppia Verratti-Barella è sembrata decisamente troppo fragile nelle tante transizioni portate dagli avversari.

Costruendo un gruppo giovane, con meno certezze, l’Italia magari attraverserebbe un periodo di transizione, di scarsi risultati, ma perché non potremmo permettercelo? Quando Mancini si è seduto sulla panchina dell’Italia ha impiegato cinque partite per vincerne una. Nel frattempo però ha avviato un processo di sperimentazione che ha permesso alla sua Nazionale di trovare una forma coraggiosa, durevole nel tempo. Non bisogna dimenticarsi del record di risultati utili consecutivi, e naturalmente della vittoria dell’Europeo. Era un'Italia modellata sulle caratteristiche dei suoi giocatori di maggiore talento, ma è una ricetta che può essere valida ancora oggi, a pensarci bene. Ci sono centrocampisti che amano toccare il pallone come Fagioli e Rovella, attaccanti intelligenti nell'associazione coi compagni come Raspadori, terzini bravi nell'impostazione come Di Lorenzo, Dimarco o Udogie; ci sono anche esterni offensivi in grado di puntare l'uomo, infine, come Zaccagni, Gnonto (e persino Pafundi).

Il gioco delle convocazioni è sempre speculativo: ognuno si fa le proprie idee. Nella lista di Mancini non ci sono autentiche assurdità (oddio, forse tolte un paio), però l’elenco restituisce un’impressione di scarsa ambizione. L’Italia, soprattutto, sembra aver perso quella sfrontatezza dei suoi giorni migliori con Mancini. Non può nemmeno interamente essere colpa sua. La Nazionale è sempre l'espressione di un movimento calcistico, e quello italiano - a dispetto dei grandi risultati europei - sta attraversando una preoccupante fase di riflusso. Dopo un paio d'anni vissuti in una bolla d'irrealtà, dopo l'Europeo ci siamo risvegliati nei nostri panni grigi. Nel nostro vestito vecchio e liso, e quel tempo in cui siamo stati felici - i rigori passeggiati di Jorginho che entravano, i falli di Chiellini, i lampi di Chiesa - è vicino eppure ci sembra così distante.

Oggi l'Italia somiglia a una squadra più banale, più sbiadita, irrigidita dai tanti compromessi. Di Lorenzo ha ammesso che la squadra ha perso entusiasmo. Speriamo che il campo smentisca queste impressioni. Nonostante tutto, giovedì sarà un nuovo inizio, e le premesse sono sempre migliori di quanto il nostro pessimismo cosmico ci permette di immaginare. C’è molto tempo da qui al 2026, e per fortuna moltissimi posti per qualificarci.

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