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L'Italia ha perso il filo
24 mar 2023
24 mar 2023
Contro l'Inghilterra una brutta sconfitta.
(copertina)
Daniele Buffa/IMAGO
(copertina) Daniele Buffa/IMAGO
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L’Italia era tornata al 4-3-3 e aveva cominciato la partita pressando in alto, e con grande foga, spinta dalle grida del Diego Armando Maradona. Erano circa otto mesi che non giocavamo con il modulo che aveva fatto da impalcatura alle ambiziose idee di Roberto Mancini, che ci avevano regalato una Nazionale coraggiosa e controculturale. In campo la formazione che aveva vinto l’Europeo, con solo qualche ritocchino qua e là: in mezzo alla difesa Acerbi e Toloi; sulla fascia sinistra Lorenzo Pellegrini; davanti la grande sorpresa, l’oriundo Mateo Retegui. Per il resto eravamo praticamente gli stessi. Di fronte di nuovo l’Inghilterra che avevamo battuto a Wembley nella partita più importante. All’inizio ci è sembrato normale, quasi razionale, che si potesse invertire il processo di decadenza della nostra Nazionale tornando al momento in cui aveva raggiunto il suo apice. Ma fin da subito ci siamo resi conto dell’inevitabile: “La vita fugge, et non s’arresta una hora, et la morte vien dietro a gran giornate”.

La morte di petrarchiana memoria in questo caso è il secondo anniversario da quella finale di Wembley, che nel calcio significa una quantità gigantesca di storia. Donnarumma non è più in rampa di lancio per il suo orizzonte dorato e indefinito, ma sta vivendo la peggiore stagione della sua giovane carriera. Spinazzola, un infortunio al tendine d’Achille dopo, è leggermente ingrassato e incanutito. Verratti ha iniziato ad essere contestato anche nella città dove si è trasformato in una leggenda locale. Berardi ha ripreso il suo posto nell’undici titolare per un nuovo infortunio a Federico Chiesa, il cui ingresso, a Euro 2020, aveva rielettrizzato la Nazionale nel suo momento più difficile.

Di questa partita abbiamo parlato anche in Che Partita Hai Visto, il podcast dedicato ai nostri abbonati in cui commentiamo le partite più importanti della settimana. Se non lo avete ancora fatto, potete abbonarvi cliccando qui.

C’è stata un’azione, nello specifico, in cui abbiamo capito che, nonostante le apparenze, non eravamo più gli stessi. Al nono minuto cerchiamo di ragionare dal basso con Acerbi, che potrebbe scaricare a sinistra, dove Jorginho è sceso in salida lavolpiana, o a destra, dove anche Verratti si è allargato per facilitare il possesso. Forse però c’è ancora troppa adrenalina nell’aria perché Acerbi lancia immediatamente in diagonale per il lontanissimo Berardi, largo sulla fascia opposta. La palla fende il campo da parte a parte ma prima che arrivi sul petto dell’ala del Sassuolo viene colpita di testa da Shaw, che l’allunga in avanti verso Grealish. L’Italia cerca di riaggredire immediatamente il possesso avversario per recuperare una palla pericolosa, ma gli avversari sono sempre più veloci, più pronti. Grealish viene aggredito alle spalle da Di Lorenzo e di fronte da Berardi ma non perde la calma. Si sposta palla sull’esterno destro, finta di andare verso il vicolo cieco del fallo laterale, ma poi torna indietro e fa passare il pallone tra le gambe di Berardi, che riesce solo a sfiorarlo. Sembra finalmente l’occasione per recuperare la palla, su cui si fionda Barella, il nostro giocatore più elettrico. Prima che ci arrivi, però, la sfiora di nuovo Shaw, che la indirizza verso la propria area. Barella continua a inseguire il pallone immaginandosi già il contropiede in area, ma ecco che arriva Declan Rice, che con un singolo enorme passo gli sbarra la strada. Arriva Maguire, il centrale di difesa più sbeffeggiato di tutto il calcio contemporaneo, che anche nei suoi tempi migliori veniva inneggiato dai suoi stessi tifosi in maniera sarcastica per avere una testa gigante. Sembra che debba semplicemente spazzare a caso l’area, e invece il suo lancio di sinistro è morbido e preciso, pensato insomma, arriva docile docile sui piedi di Bellingham, che è una quarantina di metri più avanti sulla fascia sinistra.

Jude Bellingham è lo specchio in cui vediamo tutti i nostri difetti. Classe 2003, oggi gioca titolare con il numero 10 sulle spalle, tre stagioni dopo essersi trasferito in Germania a 17 anni appena compiuti. Tre stagioni in cui ha quasi sempre giocato titolare in una delle squadre più importanti della Bundesliga, il Borussia Dortmund. Quasi ogni settimana sui social compare un video di un suo numero in campo che sembra uscito da una pubblicità della Nike. Il controllo di Bellingham, però, incredibilmente è sporco, la palla gli sfugge da sotto la suola, e allora Di Lorenzo pensa sia fatta per rubargli il pallone e alle sue spalle accelera. Bellingham, però, in progressione è una forza della natura: le sue gambe lunghe e fine sembrano dargli un vantaggio troppo grande quando il campo si apre. Di Lorenzo, dopo aver provato a intervenire da dietro, è costretto a lasciarlo andare; Jorginho, che è lì accanto, non ne parliamo nemmeno. Tra Bellingham e Donnarumma ci sono una cinquantina di metri, che però sono occupati solo da Toloi e Acerbi, che è lontanissimo. Il centrale dell’Atalanta, tra l’altro, si era spostato tutto sulla destra e sembra sorpreso dal fatto che Bellingham stia puntando il centro del campo. Per evitare che la situazione diventi davvero disperata, quindi, lo colpisce con una spallata sul fianco per buttarlo a terra. È questa l’unica arma che abbiamo per competere con l’Inghilterra? L’arma che, in una visione tradizionalista del calcio britannico, l’Inghilterra dovrebbe utilizzare contro di noi?

L’Inghilterra non è però quella squadra rozza che ci piace immaginare. Per tutto il primo tempo la Nazionale di Southgate è riuscita a giocare con grande naturalezza dentro il nostro pressing privandoci del pilastro su cui si poggia qualsiasi squadra che cerca di dominare l’avversario con il possesso. I nostri centrali sono andati in crisi di fronte ai movimenti sempre molto intelligenti di Kane e Bellingham, che si spartivano la trequarti a piacimento, mentre Retegui ha fatto grande fatica a capire come schermare Declan Rice, un giocatore dalle sottovalutate qualità tecniche e tattiche spesso ingiustamente appiattito sulla sua evidente dimensione atletica. Semplicemente non riuscivamo a recuperare il pallone in alto e non abbiamo mai vinto la battaglia per la riconquista delle seconde palle, mentre l’Inghilterra faceva ruotare il suo centrocampo e con l’aiuto di Kane davanti riusciva a dare sempre una soluzione al portatore di palla. A fine primo tempo il possesso palla per la squadra di Mancini si è fermato al 46.7%: impossibile in questo modo pensare di avere un qualche controllo su ciò che succedeva nella metà campo avversaria.

Dopo una lunga circolazione in difesa, che aveva fatto correre l'Italia da una parte all'altra del campo, Stones cambia gioco con grande naturalezza a sinistra per Shaw. Il terzino dello United mette giù e davanti a sé due linee di passaggio: una verticale per Grealish e una diagonale per Kane, liberata dal movimento in avanti di Jorginho, che è stato attratto fuori posizione da Bellingham. Dalla ricezione sulla trequarti per Kane, su cui Toloi è ancora una volta in ritardo, l'Inghilterra arriverà a un cross basso dal limite sinistro dell'area di rigore.

Non che Southgate avesse preparato un piano gara particolarmente raffinato, semplicemente i loro giocatori sembravano migliori dei nostri, o comunque più in palla, e non di poco. Abbiamo già parlato di Jude Bellingham, su cui si potrebbe fare un pezzo a parte. Il calcio d’angolo che porta al gol dell’1-0 nasce da un suo tiro di potenza inaudita sotto la traversa, che Donnarumma era riuscito a sfiorare per miracolo. Tutta l’azione che porta a quel tiro sembra un inno all’inadeguatezza dell’Italia di fronte al livello tecnico degli inglesi. Nasce da una palla recuperata un po’ fortunosamente a destra, dove un cross in area di Mateo Retegui era finito male. L’Inghilterra in un attimo ribalta il campo. Saka trova tra le linee Kane, sempre mobile nella sua intelligenza sopraffina da numero 10, che controlla con il destro spalle alla porta e appoggia per Grealish accanto a lui. Dietro di lui Toloi è in ritardo pauroso. La palla però è leggermente arretrata e Grealish deve fare un piccolo numero di magia per tenerla viva. La alza con un mezzo esterno e poi la tocca di nuovo con la punta per superare il ritorno di Barella. Da lì l’apertura a destra per Bellingham, che arriverà al tiro dal limite dell’area.

Tutto il primo tempo dell’Inghilterra è tappezzato di queste piccole giocate tecniche che soffiano vita dentro l’architettura tattica pensata da Southgate e fanno sembrare i giocatori di Mancini camerieri in affanno dentro un ristorante troppo affollato. Al 23esimo Bellingham, per esempio, ha evitato Di Lorenzo con un sombrero delizioso sulla propria mediana. Poi, una manciata di secondi dopo, Kane ha messo a terra un rilancio altissimo di Pickford direttamente dalla propria porta poco prima di mettere a terra anche Verratti, fintando un passaggio all’indietro e girandosi su se stesso.

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Per i giocatori italiani non deve essere stato facile specchiarsi in tanta ricchezza tecnica e l’insicurezza che ne è derivata è stata palese in alcuni errori troppo banali per essere veri. Al 32esimo, ad esempio, Toloi, in uscita dalla difesa, ha dato una palla leggermente troppo arretrata a Jorginho, che non è riuscita a controllarla con il destro, finendo per impicciarsi da solo. Sulla palla recuperata da Bellingham, Kalvin Philips è andato al tiro da fuori area sfiorando lo 0-2.

L’insicurezza dell’Italia è aumentata di minuto in minuto, e nei momenti finali del primo tempo è diventata tale da trasformare la confidenza dell’Inghilterra in tracotanza. Subito dopo il rigore che ha regalato all’Inghilterra lo 0-2 e ad Harry Kane il primato all-time tra i marcatori della Nazionale britannica, l’Italia si è buttata tutta in avanti già dal calcio d’inizio rischiando di prendere subito lo 0-3 che avrebbe messo una pietra tombale sulla partita dopo appena 45 minuti. Spinazzola si è fatto anticipare da Saka sulla trequarti, ai limiti del fallo laterale, e la Nazionale di Southgate ci ha messo un attimo ad arrivare in area avversaria, mentre sei dei nostri giocatori annaspavano sopra la linea della palla. L’esterno dell’Arsenal ha prima dialogato con Kalvin Philipps, poi ha imbucato per Kane in area. Sul capitano dell’Inghilterra è stato costretto ad andare in diagonale Toloi, mentre Di Lorenzo scalava alle sue spalle. Con questo effetto domino si è liberato da solo ai limiti dell’area piccola Grealish che però a porta vuota ha incomprensibilmente deciso di colpire di mezzo esterno mandando la palla al lato.

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L’incredibile leggerezza di Grealish, che ieri ha giocato con l’indolenza di chi a tedesca cerca di segnare di spalletta, è stata di fatto l’incipit del secondo tempo e anche la sua cornice emotiva. Mentre l’Inghilterra, forte della netta superiorità dimostrata nel primo tempo, ha alzato il piede dal pedale dell’intensità fisica e mentale, per l’Italia era fondamentale recuperare il risultato, più per salvare la faccia che per reali ragioni di classifica. Al di là delle occasioni avute nel secondo tempo, delle recriminazioni, comunque, viene da chiedersi perché a fine partita Roberto Mancini abbia dichiarato di aver visto nel secondo tempo «una grande squadra, la nostra squadra». Certo, i risultati possono essere casuali, e spesso lo sono. Magari ieri ancora prima del gol di Retegui il sinistro in area di Lorenzo Pellegrini sarebbe potuto finire sotto al sette anziché in curva. E magari Politano avrebbe potuto scattare in anticipo sul cross basso di Gnonto e battere a rete Pickford. E magari Declan Rice avrebbe potuto prendere il rosso ancora prima di Shaw, permettendoci di sfruttare ancora più minuti di superiorità numerica. Tutto questo però non avrebbe cambiato il contesto dentro cui si è giocata la partita, che è stato deciso da quanto e come l’Inghilterra ha alzato e abbassato il livello nel corso dei 90 minuti. È questa la squadra che si immagina Mancini, quindi, quella che gioca nelle distrazioni dell’avversario? Che alza il livello per disperazione, quando non ha più nulla da perdere?

Quello che preoccupa di più della partita di ieri non è tanto il risultato e nemmeno l’andamento dei 90 minuti. L’Italia affronterà avversari meno tecnici dell’Inghilterra, avversari contro cui potrà imporre la sua identità, e non bisogna dimenticare che anche nei suoi momenti migliori era riuscita a passare attraverso a partite sporche, alcune anche fortunate, in cui si era difesa bassa in area rispolverando gli antichi attrezzi del mestiere della scuola tattica italiana. Agli Europei, per esempio, era già successo contro l’Austria, agli ottavi, e poi di nuovo contro il Belgio ai quarti, e contro la Spagna in semifinale. Proprio quelle partite, però, sembrano segnare la differenza più grande tra quella Nazionale e questa. Mentre prima l’Italia di Mancini, forte della propria identità, sembrava avere una risposta a qualsiasi imprevisto, pescando anche la carta vincente dalla panchina, oggi la situazione sembra essersi completamente ribaltata, e gli Azzurri sembrano sempre in balia delle contingenze, qualsiasi partita gli si presenti davanti. Quando hanno alzato il pressing l’Inghilterra gli è girata intorno con facilità disarmante, quando si sono abbassati sotto la linea della palla non sono mai sembrati in controllo della situazione, e quando infine sono riusciti a riprendersi il pallone non sono mai stati realmente pericolosi. In tutto il secondo tempo, in cui ha avuto quasi il 70% di possesso palla, l’Italia è riuscita a tirare in porta solo una volta, quella del gol dell’1-2 di Retegui.

A sconcertare, a lasciare quel senso di vuoto che sentiamo il primo dell’anno dopo la sbornia, è più che altro l’impressione di non avere più il controllo sui nostri risultati. Di aver perso il filo, la visione sul futuro che fino all’eliminazione dagli scorsi Mondiali ci faceva immaginare una Nazionale forte e moderna al di là degli inciampi in cui ci si poteva imbattere. Oggi invece guardiamo ai risultati come numeri della cabala, segnali da un destino che non riusciamo più a capire, o che comunque ci spaventa. Dopo questa prima giornata di qualificazione agli Europei dell’anno prossimo in vetta al nostro girone ci sono Inghilterra e Macedonia del Nord: apice e abisso della Nazionale di Mancini. E se significasse qualcosa? Il nostro CT, dopo questa prima brutta sconfitta, ha provato a rassicurarci così: «Solitamente iniziavamo bene e poi facevamo un po’ di fatica, magari questa volta succede il contrario».

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