
Le immagini satellitari della città sudanese di El-Fasher, diffuse giovedì 29 ottobre in seguito alla caduta della principale città del Darfur settentrionale nelle mani delle Rapid Support Forces (RSF), sono agghiaccianti: si vedono le strade disseminate di enormi chiazze rosse, formate dal sangue delle persone sterminate dai paramilitari.
Forse tra qualche anno diventeranno le foto simbolo delle stragi che stanno avvenendo in Sudan in cui da diversi anni va avanti un conflitto che sui nostri media emerge solo a singhiozzo. Una guerra civile che ormai va avanti da più di due anni e mezzo, che prolifera sulle macerie del regime di Omar al-Bashir (rovesciato da un colpo di stato nel 2019) e che sta provocando una quantità indicibile di sofferenze, tra massacri, stupri e una carestia che sta provocando centinaia di migliaia di vittime.
Le RSF, in questo scenario, hanno portato una situazione già catastrofica nel baratro, dopo il tentativo dell'esercito regolare di farle rientrare nei ranghi, e in tutto questo, per quanto possa sembrare strano, potrebbe avere un ruolo anche Mansour bin Zayed Al-Nahyan, vicepresidente e vice primo ministro degli Emirati Arabi Uniti, nonché proprietario del Manchester City. Ma andiamo con ordine.
PERCHÉ MANSOUR È IMPORTANTE
Innanzitutto chi è Mansour bin Zayed Al-Nahyan? Allo stadio, a tifare per Pep Guardiola ed Erling Haaland, lo si vede di rado. I suoi impegni politici lo tengono molto occupato, anche perché il 54enne membro della famiglia reale di Abu Dhabi è una delle figure centrali della politica estera del Paese. L’acquisto del Manchester City, nel settembre del 2008, ha fatto da apripista al coinvolgimento delle monarchie del Golfo nel calcio europeo, e quindi nell'economia del Vecchio Continente, a partire dal Regno Unito. A quell'operazione, com'è noto, sono seguite quelle del Qatar a Parigi e quella dell'Arabia Saudita a Newcastle, solo per rimanere nel calcio.
Nel 2013, Mansour ha dato vita al City Football Group, una holding che ha iniziato ad acquistare club di calcio in giro per il mondo, e che oggi viene considerato uno dei prototipi più avanzati delle cosiddette multiproprietà. Attualmente il City Football Group possiede dodici squadre e ha partnership consolidate con altre quattro, investendo complessivamente in 15 Paesi diversi in tutti e cinque i continenti. Del City Football Group si è parlato spesso come di una rete di società per controllare mercati strategici per lo sviluppo dei giocatori, sottovalutando però l’aspetto politico: dove il CFG investe, gli Emirati Arabi creano o consolidano una rete di relazioni economiche e diplomatiche. Non che sia una novità o una grande notizia: il calcio, anche se si pensa come un mondo separato da tutto il resto, fa parte a tutti gli effetti dell'economia di un Paese.
Per fare un esempio che ci riguarda da vicino, nel luglio 2022 il CFG ha acquistato il Palermo, e gli Emirati hanno iniziato a incrementare la propria presenza in Italia. Lo scorso febbraio, il Presidente Mohamed bin Zayed, fratello di Mansour, è venuto a Roma (prima visita ufficiale di un capo di stato degli Emirati in Italia) per incontrare Giorgia Meloni e presentare un piano d’investimenti del valore di 40 miliardi di dollari.
Ancora maggiore, inevitabilmente, è stato l’impegno degli Emirati nel Regno Unito, guidato proprio dalla missione esplorativa di Mansour attraverso il calcio, diciassette anni fa. Nel 2012, pochi anni dopo il suo approdo a Manchester, lo sceicco ha siglato anche un’importante collaborazione tra una delle sue società, l’Abu Dhabi Media Investment Corporation, e il network britannico Sky News, per avviare il canale Sky News Arabia, di fatto una rete televisiva attraverso cui gli Emirati cercano di rivaleggiare con la qatariota Al Jazeera per il monopolio dell’informazione nel mondo arabo.
COSA C'ENTRA IL SUDAN?
Acquisito questo capitale politico in Europa, nel febbraio 2022, Mansour viene fotografato ad Abu Dhabi insieme a Mohamed Hamdan Dagalo, noto anche come Hemedti, il capo delle RSF. Che ci fa lì? Il loro rapporto inizia durante il regime di al-Bashir, che aveva inviato delle truppe in aiuto degli Emirati nella guerra contro gli Houthi in Yemen - guerra che va avanti addirittura dal 2014 e in cui, forse lo ricorderete, era coinvolta anche l'Arabia Saudita. In ogni caso, quelle truppe, anche se allora integrate nell'esercito regolare sudanese, facevano parte proprio delle RSF.
Circa due mesi dopo quella foto, la milizia di Hamdan dà il via alla guerra contro l’esercito regolare (chiamato con l'acronimo inglese SAF, Sudanese Armed Forces), guidato da Abdel Fattah Abdelrahman Al-Burhan. Da allora, secondo un’inchiesta del New York Times pubblicata lo scorso giugno, gli Emirati Arabi hanno continuato a inviare armi e droni militari alle RSF, sfruttando come copertura l’invio di aiuti umanitari in Sudan e gli ospedali che le stesse autorità emiratine hanno finanziato nel vicino Ciad.
Qui è dove il calcio collega le economie europee, in particolare quella britannica, ai massacri in Sudan in cui in teoria avrebbe un coinvolgimento solo relativo. Dal suo arrivo in Premier League, le relazioni tra Abu Dhabi e Londra hanno visto intensificarsi soprattutto il commercio di armi: nel 2024, gli Emirati sono stati il terzo Paese per importazione di materiale per la difesa dal Regno Unito, dopo USA e Danimarca. Secondo alcuni report del consiglio di sicurezza dell'ONU, proprio queste armi vengono poi inviate alle RSF, che poi le usa come abbiamo visto. E il Sudan è solo una delle destinazioni verso cui gli Emirati mandano aiuti militari: ci sono anche lo Yemen e la Libia, dove Abu Dhabi sostiene il generale Khalifa Haftar.
L’interesse per il Sudan è anche economico. È legato principalmente al controllo di alcuni ambiti strategici, come i porti sul Mar Rosso, un importantissimo snodo dei traffici marittimi internazionali, e forse anche, almeno potenzialmente, le risorse agricole del Paese. In fin dei conti, nonostante le risorse economiche quasi illimitate, gli Emirati rimangono un piccolo paese desertico con una popolazione in aumento e un crescente problema di sicurezza alimentare. Tuttavia, il bene di cui si discute maggiormente è l’oro: Dubai è il principale hub globale di raffinamento e commercio di oro, che arriva in gran parte proprio dai giacimenti sudanesi. Nel 2023, questo business generava guadagni per quasi 47 miliardi di dollari, che indirettamente alimentano anche le aziende statali emiratine, che indirettamente finanziano il Manchester City e tutto il City Football Group. A voler scavare nei bilanci della società, insomma, si potrebbero trovare violazioni più gravi del Fair Play Finanziario della Premier League.
In uno strano circolo vizioso, non va ignorato nemmeno l'effetto che il conflitto in Sudan sta avendo sul calcio lì. La guerra in Sudan, infatti, ha portato alla devastazione degli impianti di gioco, e alcuni stadi a Khartoum sono stati trasformati in cimiteri improvvisati. Le competizioni locali sono state sospese, la Nazionale gioca in campo neutro e due dei club principali hanno disputato la scorsa stagione nel campionato della Mauritania (l’Al Hilal di Omdurman lo ha addirittura vinto, pur non venendo riconosciuto ufficialmente come campione). Nei giorni scorsi, altri tre club sudanesi sono stati accolti come ospiti nel campionato del Ruanda.
La guerra in Sudan è inoltre un conflitto su base etnica. Le RSF sono una milizia appartenente alla comunità di origine araba, e sono portatrici di un’idea suprematista nei confronti della popolazione nera sub-sahariana: è la prosecuzione di ciò che era stata la guerra nel Darfur, combattuta tra il 2003 e il 2020. Insomma, se dovessero delinearsi i contorni di un vero e proprio genocidio, per il proprietario del City le cose si potrebbero fare davvero gravi - in questi mesi abbiamo parlato lungamente della responsabilità di Israele nella striscia di Gaza, delle sue potenziali ripercussioni, ma qui il coinvolgimento potrebbe riguardare direttamente il proprietario di un club professionistico.
PERCHÉ SE NE PARLA ADESSO?
Va detto che i massacri di El-Fasher hanno portato forse per la prima volta il Sudan all’attenzione dei media internazionali in questi due anni di conflitto, e non è possibile escludere che questo possa avere un contraccolpo sull’immagine degli Emirati Arabi. Vale soprattutto nel Regno Unito, dove da qualche tempo la reputazione del Paese del Golfo è stata messa in discussione.
I successi del Manchester City hanno attirato critiche per le spese del club, e infine indagini sull’uso di sponsorizzazioni illecite per aggirare i regolamenti relativi al Fair Play Finanziario interno alla Premier League. Il caso è scoppiato nel febbraio 2023, ma al momento ancora non c’è stato alcun verdetto: inizialmente si pensava potesse essere emesso la scorsa primavera, mentre a inizio ottobre la stampa britannica sosteneva che potesse arrivare entro la fine del mese. Nel frattempo, Mansour ha provato ad assicurarsi un alleato nella stampa anglosassone, facendo un’offerta per il Daily Telegraph, ovvero il quotidiano conservatore più influente nel Regno Unito.
Il precedente governo Sunak si era però messo di mezzo e aveva stoppato la trattativa, preoccupato che un importante organo di stampa (e un punto di riferimento del suo elettorato) potesse essere acquistato da un governo straniero. Ma l'operazione non è stata del tutto accantonata, e ora sembra che Mansour potrebbe accontentarsi di una quota del 15%, mentre la maggioranza delle azioni verrebbe rilevata da un socio americano, il fondo RedBird (proprio quello che ha la proprietà del Milan, sì).
L’acquisto del Telegraph, il caso delle armi britanniche finite in mano alle RSF e le violazioni del FFP da parte del Manchester City ricadono tutti nel complicato quadro delle attuali relazioni tra le autorità britanniche e quelle emiratine. Lo scorso febbraio, Bloomberg ha rivelato le preoccupazioni del governo laburista in merito al fatto che una possibile sanzione contro il City potesse peggiorare ulteriormente le relazioni con Abu Dhabi, già incrinate a causa degli ostacoli posti all’acquisto del Telegraph.
Nel discorso rientra in parte anche il discusso ente regolatore del calcio, un progetto annunciato dai Tories e oggi portato avanti da Starmer. Il piano iniziale prevedeva che questo ente governativo dovesse anche impedire che stati stranieri detenessero il controllo di società sportive nel Regno Unito, ma dopo le critiche della UEFA (e probabili operazioni di lobbying da parte di società come City e Newcastle), nell’ottobre 2024 è stato reso noto che il regolatore non si occuperà di questioni geopolitiche.
Il tema dell’influenza degli Emirati nella politica e nell’economia britanniche è destinato, però, a non essere messo in secondo piano tanto facilmente, alla luce dei massacri in Sudan. Sabato pomeriggio, un gruppo di persone si è riunito fuori dall’Etihad Stadium di Manchester, ventiquattr’ore prima della partita tra City e Bournemouth, per protestare contro il sostegno degli Emirati Arabi alle RSF.
Sui social nel frattempo circolano immagini del logo dei Citizens grondante sangue, e degli utenti stanno accusando di complicità gli altri club con sponsor emiratini. Tra di essi c’è pure l’Arsenal, finito al centro delle polemiche già mesi fa a causa della partnership col Ruanda, che a sua volta arma la milizia M23 nella Repubblica Democratica del Congo.
Non possiamo esattamente sapere a cosa è dovuto questo raffreddamento dei rapporti tra Gran Bretagna ed Emirati Arabi, da cui probabilmente proviene tutta questa storia, ma sicuramente fa un certo effetto pensare che la proprietà del Manchester City faccia parte di un mosaico così complesso, in cui è presente anche un massacro come quello che sta andando in scena in Sudan.