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Il Manchester City le sta provando tutte per salvarsi dalle penalizzazioni
12 set 2025
Le APT Rules sono l'ultimo capitolo della battaglia legale tra City e Premier League.
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8 min
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Foto IMAGO / Sportimage
(copertina) Foto IMAGO / Sportimage
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Quando, nel febbraio 2023, la Premier League ha formulato i suoi 115 capi di accusa contro il Manchester City la sensazione – anche giustificata – di molti era quella di essere davanti a un evento di portata simile a quello che Calciopoli ha rappresentato per l’Italia. Per mesi la stampa inglese e internazionale ha prospettato scenari potenzialmente apocalittici per il club, ballando tra una enorme penalizzazione e addirittura l’espulsione dalla Premier League.

Insomma, due anni fa sembrava che il dominio del City fosse destinato a terminare in un’aula di tribunale, ma nel frattempo sono arrivati altri trofei – su tutti la Champions League – e l’implosione del City è arrivata, molto più sorprendentemente, per motivi di campo. Al momento il processo per le 115 accuse – sul cui dettaglio aveva scritto Benedetto Giardina nel 2023 – è ancora in corso e la sentenza, che si prevedeva potesse arrivare per la scorsa primavera, non è ancora arrivata, come si poteva anche immaginare vista l'imponente mole giuridica.

Nel frattempo, però, il Manchester City ha deciso di passare più volte al contrattacco, sempre per vie legali, un po’ per pulire la propria immagine e un po’ per provare a smantellare parte delle accuse, distruggendo direttamente l’impianto normativo su cui si basa la Premier League. Di mezzo, infatti, ci sono le APT Rules, una serie di norme che da qualche anno la Premier League ha introdotto per preservare il proprio equilibrio competitivo.

COSA SONO LE APT RULES?

Facendo riferimento al regolamento della Premier League, con APT (che sta per Associates Party Transactions) vengono indicate tutte quelle transazioni – nel caso specifico le sponsorizzazioni, ma non solo – che coinvolgono tutte le società che fanno parte della stessa controllante, hanno membri del CDA in comune o sono influenzate in qualche modo da un club. È molto probabile che questa descrizione vi abbia fatto pensare subito a una di quelle squadre controllate dalle monarchie del Golfo, ma in realtà le APT sono decisamente più diffuse.

In Germania, per esempio, il Bayern ha accordi di sponsorizzazione con Adidas, Audi e Allianz, che possiedono tutte l’8% delle azioni del club. In Italia la Roma ha tra i suoi sponsor la catena di alberghi Auberge Resorts, il cui proprietario è la famiglia Friedkin, e il Sassuolo, che con Mapei, la sua società controllante, ha accordi di sponsorizzazione che coinvolgono maglia, stadio e centro di allenamento per un totale di quasi 25 milioni di euro (circa un quarto del suo ultimo fatturato).

Questo meccanismo, che può sembrare un modo furbo di aggirare le regole, in realtà è perfettamente legale. Nei regolamenti della UEFA, infatti, le APT non sono vietate, purché seguano il principio del fair market value. Insomma, chiunque voglia immettere del denaro nei club tramite sponsor (e non solo) deve dimostrare che lo sta facendo a cifre di mercato, altrimenti la UEFA può bloccare l’accordo e imporre di rinegoziarlo al ribasso.

Dopo l’acquisto del Newcastle da parte del fondo sovrano saudita nel 2021, anche la Premier League ha deciso di dotarsi di un regolamento per le APT (le “APT rules”, per l’appunto), con l’idea di limitare le possibilità per i club di aggirare i parametri delle PSR (ossia le Profitability and Sustainability Rules, il fair play finanziario interno) aggiustando artificialmente i propri bilanci.

La scelta della Premier League di creare un sistema normativo contro le APT in seguito all’ingresso dei sauditi nel Newcastle non è stata casuale. I club controllati da stati sovrani (quindi Manchester City e Newcastle) possono ricorrere in modo molto più ampio e massiccio alle APT grazie a tutto il portafoglio di aziende statali che, naturalmente, in delle monarchie assolute come gli Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita fanno più o meno direttamente riferimento ai capi di stato. E infatti il City ha sottoscritto vari accordi commerciali con le aziende statali emiratine – su tutte con Etihad – e il Newcastle con quelle saudite.

È probabile che anche l’inchiesta sul Manchester City promossa da Football Leaks – che ha portato alla squalifica poi revocata dalle coppe europee e alla formulazione delle 115 accuse – abbia spinto la Premier League a irrigidire le proprie regole interne, in modo da evitare che con il Newcastle si verificasse un caos simile.

LA BATTAGLIA LEGALE DEL MANCHESTER CITY

In seguito all’esplosione del processo contro il Manchester City, la Premier League ha deciso di dare un’ulteriore stretta sulle APT. All’inizio del 2024 i club hanno approvato (con una maggioranza di due terzi, come previsto dal regolamento) un aggiornamento delle APT Rules, introducendo il meccanismo di verifica del fair value.

Per farla semplice: qualsiasi accordo economico – tra cui sponsorizzazioni, hospitality, cessioni di box negli stadi – sopra il milione di sterline deve essere trasmesso dai club al CDA della Premier League, la quale tiene traccia di tutti questi accordi e può usare i dati in proprio possesso per verificare se viene rispettato il principio di fair value, approvando quindi l’accordo, o chiedere una rinegoziazione.

Poco dopo l’approvazione delle norme, la Premier League si è vista fare causa dal Manchester City in risposta al blocco di due accordi – con Etihad e First Abu Dhabi Bank – che secondo la lega non rispettavano il principio del fair value.

Nello specifico, il City ha contestato l’esclusione dei prestiti da parte delle proprietà – che di solito sono senza interessi, per cui fuori mercato – dal perimetro delle APT, il criterio dei due terzi per l’approvazione delle regole e le procedure di verifica del rispetto del fair value. Nell’ottica dei Citizens, le nuove regole erano percepite come “discriminatorie verso le proprietà del Golfo” e, soprattutto, contrarie alle leggi britanniche sulla competitività. A ottobre 2024 la sentenza del tribunale ha dato ragione al Manchester City, chiedendo alla Premier League di modificare i propri regolamenti, ma al tempo stesso ha confermato la bontà dell’impianto normativo generale. Il risultato, che è stato percepito come una vittoria da entrambe le parti, è che a ottobre, dopo la sentenza, la Premier League ha ridiscusso e approvato un nuovo aggiornamento delle APT, in cui sono stati inclusi anche i prestiti dei proprietari.

Nella votazione che ha portato alla ratifica della norma, su 20 club di Premier League che hanno votato solo 4 si sono espressi contro: Aston Villa, Nottingham Forest e, naturalmente, Manchester City e Newcastle. E a gennaio 2025 il Manchester City è tornato all’attacco, avviando una seconda causa contro la Premier League con l’intento di invalidare anche l’ultimo aggiornamento delle APT Rules. Stavolta, secondo il City, la Premier League ha sì incluso i prestiti nelle APT, ma applicando un controllo troppo blando e di fatto quasi senza intervenire sui prestiti erogati tra il 2021 e il 2024.

Anche in questo caso il City ha ottenuto un parziale successo, ossia il risarcimento per tutti gli accordi rivisti al ribasso prima di novembre 2024, ma probabilmente non quello che si sarebbe aspettato, dato che la Premier League ha subito evidenziato come l’impianto delle APT Rules fosse effettivamente ancora valido e vincolante.

Siamo quindi arrivati a settembre, quando uno scarno comunicato congiunto di Premier League e Manchester City afferma che le parti hanno trovato un accordo per chiudere il procedimento e che le APT Rules sono pienamente valide.

A questo punto è difficile dire cosa rimanga di tutta questa storia. Il Manchester City, facendo leva sui suoi interessi economici, ha cercato di coinvolgere la Premier League in una guerra legale il cui obiettivo profondo era quello di mandare nel caos tutto il sistema normativo alla sua base ma alla fine non è riuscito pienamente nel suo intento. A pagarne le conseguenze dirette, quindi, sono stati i club che hanno ricevuto prestiti dai proprietari – su tutti Arsenal, Everton e Brighton, che hanno ottenuto circa 300 milioni ciascuno in questo modo – e lo stesso Manchester City, che comunque ora dovrà rispondere a queste regole per qualsiasi accordo con le società emiratine.

Su un piano diverso viaggiano invece le questioni politiche. Due anni di battaglia legale non hanno sicuramente aiutato l’immagine della Premier League, che nell'ultimo biennio ha dovuto comminare due penalizzazioni – a Everton e Nottingham Forest – per violazioni delle PSR e ha due delle sue squadre più ricche, vincenti e famose – Chelsea e Manchester City – oggetto di due processi molto grandi e con risvolti potenzialmente esplosivi. Questa vicenda, infine, ha messo l’intera lega davanti alla prospettiva di un’implosione del suo sistema normativo e, soprattutto, ha offerto una possibile sponda a tutti quei club che, in futuro, si sentiranno ingiustamente danneggiati dalle regole interne della Premier League.

Anche per quanto riguarda il Manchester City la situazione politica non è migliorata tanto. L’abolizione completa delle APT Rules non avrebbe liberato il City dalle 115 accuse – per cui, giova ricordare, si continua a professare totalmente innocente – ma probabilmente avrebbe minato alla base tutte quelle che riguardavano gli aspetti delle sponsorizzazioni. Se quindi l’obiettivo della proprietà emiratina era di eliminare la base legale su cui era formulata buona parte della sua accusa si può dire serenamente che tutta questa vicenda è stata un fallimento.

Alla luce di tutto questo fa anche sorridere che entrambe le parti, lungo tutta la vicenda, si siano presentate come le reali vincitrici di questa guerra legale quando la realtà dei fatti sembra dire, piuttosto, che entrambe ne siano uscite in qualche modo sconfitte.

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