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Dario Pergolizzi
Manchester City-Fluminense è stato uno scontro fra mondi
23 dic 2023
23 dic 2023
Una partita interessante anche oltre il punteggio.
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Dario Pergolizzi
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Il Mondiale per Club non è mai stato un torneo particolarmente seguito e atteso dagli appassionati, fatta eccezione (forse) per i tifosi delle squadre interessate. L’edizione di quest’anno, però, era circondata da una curiosa forma di hype, ed era presentata come uno scontro fra mondi. Da una parte gli spettatori brasiliani e sudamericani, per cui il confronto tra il Fluminense di Diniz e il Manchester City di Pep Guardiola aveva assunto i connotati di una sfida culturale; dall'altra parte i cultori del gioco di posizione, con un approccio quasi da “Fine della storia”, interessati a ribadirne la superiorità ontologica. Insomma: a rendere interessante la finale tra Manchester City e Fluminense era l'idea di una specie di resa dei conti tra le due tendenze tattiche di cui si parla di più oggi, talvolta con troppa rigidità e amor d'etichetta: Posizionismo e Relazionismo.

Confronto tra stili

Nelle ultime due stagioni, la squadra allenata da Diniz è diventata rappresentativa di un nuovo/vecchio modo di intendere il gioco di possesso. Uno stile fatto di sovraccarichi estremi intorno al pallone, avvicinamenti dinamici, connessioni irregolari e, soprattutto, tantissima fluidità di posizione. Uno stile ispirata ad alcune grandi squadre e nazionali brasiliane pre anni 90, in controtendenza rispetto al tipo di possesso più in voga nel calcio europeo, generalmente più orientato al mantenimento di una struttura posizionale per progredire lungo il campo.

Questo dualismo è stato diffusamente inquadrato come “Posizionismo vs Relazionismo” e ha dato vita a un filone di dibattiti filosofici e ragionamenti pratici stimolanti - anche e soprattutto dal punto di vista di chi nel calcio ci opera. Non sono mancati esponenti di squadre di alto livello che in Europa che hanno trovato nel calcio di Diniz una fonte di ispirazione per mettere in discussione pre-concetti e convinzioni acquisite, trovando nuove soluzioni di gioco. L’esempio più fruttuoso dalle nostre parti è sicuramente quello del Malmoe di Henrik Rydstrom.

Ammetto di essere stato subito attratto dagli spunti offerti dalle squadre di Diniz, e ancor di più mi è piaciuta l’ondata di riflessione collettiva che ha investito i canali del dibattito, dalle più recondite cerchie di Twitter fino alle interviste di allenatori di prima fascia.

Per anni siamo stati immersi in un contesto di riflessione poco stimolante.Il massimo del dualismo era rappresentato dall’eterno confronto tra il calcio di possesso e quello del non possesso; per un periodo abbastanza breve questo filone è stato sostituito dalla proattività contro la reattività, una contrapposizione ambigua e che si perdeva facilmente nelle zone grigie. Cosa si può fare, a priori, e cosa invece dipende dal comportamento dell'avversario? Difficile da dire, possesso o meno. La riscoperta di un approccio al possesso fatto di avvicinamento e condensamento prima che di struttura e posizionamento, è stata una ventata di aria fresca. Da qualche anno parliamo del fatto che le dinamiche del nostro gioco preferito siano fatte innanzitutto da relazioni, da connessioni interdipendenti, da collegamenti non lineari. Forse sarebbe più accurato usare locuzioni alternative come “Gioco di Approssimazione” o “di Avvicinamento”, che forse restituiscono l’idea di elementi più peculiari allo stile di queste squadre senza “rubare” il concetto di relazione ad altri stili.

Questa premessa era necessaria per inquadrare il fatto che lo stile di possesso del Fluminense non è inquadrabile secondo le solite premesse che applichiamo quando valutiamo squadre “posizionali” o, meglio, squadre che abitano l’area concettuale in cui ogni tipo di interazione in possesso palla derivi prima dall’organizzazione di una struttura funzionale. Nel Fluminense, ogni tipo di struttura visibile in possesso è invece un elemento emergente, che nasce in funzione delle interazioni dei giocatori, incentivati a muoversi – sempre secondo dei principi regolatori e non in completa libertà – per formare supporto e garantire progressione attraverso cambi di ritmo, giocate eleganti, fraseggi fatti di uno-due, veli/esche, torelli lungo le fasce esterne. Quello che un occhio abituato ai concetti più comuni nel calcio di possesso contemporaneo potrebbe ritenere come agglomerati casuali e difficoltà di progressione, per il Fluminense di Diniz, e chi ne segue le orme, sono invece degli intrecci che danzano sull’orlo del caos naturale del gioco, ricercando il proprio equilibrio su delle premesse radicalmente diverse rispetto al convenzionale.

Difficoltà iniziali e reazione del Fluminense

Dopo appena quaranta secondi di gioco, Julian Alvarez coglie il rimpallo sul palo di un tiro incredibile di Aké, spingendo la palla in porta di petto. Sembra la premessa a un disastro totale per il Fluminense: alla prima azione di possesso della partita, una rimessa laterale nei pressi della bandierina sulla loro sinistra, Marcelo, il giocatore più rappresentativo (insieme a Ganso) fa una giocata in controtendenza con lo stile di possesso della squadra.

Marcelo sceglie di cercare un lunghissimo cambio gioco in diagonale, presumibilmente verso il terzino opposto, Samuel Xavier. Potreste pensare che, data l’intensità del pressing del City (sono 4 i giocatori vicino a Marcelo), l’ex giocatore del Real Madrid non avesse poi molte opzioni. Sebbene possa essere comprensibile la sua scelta di “fuggire” dalla pressione con una giocata lunga; in realtà l’insistenza in zone di estrema densità laterali è uno dei punti cardine del gioco di approssimazione di Diniz. Attraverso giocate individuali che portano a temporeggiare, l’uso della suola, continue rotazioni a supporto del portatore, il Fluminense riesce solitamente ad assorbire questa densità e farne un trampolino per cambiare rapidamente il ritmo del possesso e risalire il campo lungo lo stesso lato. Con otto giocatori lungo la stessa fascia e il giocatore più lontano sul lato opposto non ancora abbastanza interno per fungere da prevenzione, un cambio gioco di questo tipo è una delle cose più pericolose rispetto ai principi adottati, e il Fluminense è stato puntualmente punito.

I primi minuti di partita sono stati caratterizzati da una certa frenesia nel gioco dei brasiliani, che non sembravano a loro agio nel ricercare le solite dinamiche di riciclo del possesso lungo la stessa fascia, pausa sulla palla, ricerca paziente delle rotazioni e degli scambi per scombinare le marcature avversarie. Nell’azione qui sopra, per esempio, Diniz a bordo campo ha reagito male alla scelta di Arias di portare la palla al piede verso il centro del campo anziché insistere sulla stessa fascia (notare la distribuzione e la quantità di uomini); anche qui il Fluminense ha perso il possesso. Ci è voluto qualche minuto dopo il gol subito affinché la squadra di Diniz ritrovasse qualche certezza attraverso le sue solite dinamiche.

Nella parte centrale del primo tempo, infatti, si è giocata la sfida più interessante della partita, tra il pressing iper-aggressivo del Manchester City e le costruzioni sfacciate del Fluminense, fatte di conduzioni prolungate, rotazioni continue, finte davanti alla porta, sombreri e colpi di suola.

Non era scontato che la Flu riuscisse a reagire dopo un gol subito così presto e le difficoltà incontrate nei primissimi minuti, ma in realtà il City non ha avuto vita facile nel recuperare il possesso in alto in questa parte di gara, anche grazie a una maggior quantità di azioni sviluppate lateralmente, più vicino alla linea di centrocampo, dove il Fluminense è riuscito a condensare tanti uomini in maniera più funzionale. In questa azione, per esempio, potete notare l’insistenza del possesso sulla fascia sinistra, Arias (esterno destro) sulla stessa linea di Keno (esterno sinistro) Ganso basso e aperto che lega il gioco internamente con un sottile colpo di suola all’indietro, Marcelo parecchio dentro il campo. Anche se poi il possesso viene perso dallo stesso Marcelo (anche questa volta, scegliendo di non tornare sul lato del sovraccarico) a quell’altezza il Fluminense poteva riuscire a recuperare terreno e difendere più compatto, cosa più complicata se veniva confinato sulla propria trequarti.

Come il City l’ha portata a casa

Purtroppo per Diniz, la sua squadra non è riuscita a creare pericoli concreti nella metà campo del Manchester City, e la sua partita offensiva si è limitata, di fatto, a questi quindici-venti minuti nel primo tempo in cui ci ha regalato un piccolo saggio della propria identità con il pallone, resistendo a un pressing organizzato e intenso. Guardiola si è presentato con una formazione orientata a sfruttare i corridoi intermedi, utilizzando in possesso un trio difensivo piuttosto allargato ai fianchi di Ederson, così da consentire a Stones e Rodri di abbassarsi al bisogno sulla prima linea e tirare fuori i mediani avversari.

La contrapposizione posizionale media vedeva Foden e Rico Lewis come centrocampisti offensivi pronti a legare il gioco tra le linee e combinare con gli esterni Grealish e Bernardo, che insieme ad Alvarez fungevano da fissatori della linea difensiva avversaria. Un assetto frequente ormai per il City, anche se le assenze di Doku e Haaland, oltre alla lunga assenza di De Bruyne, hanno spinto a riadattare Bernardo sull’esterno con Foden all’interno. Il pressing del Fluminense è stato insufficiente per la maggior parte della gara, anche se per pochi centimetri di fuorigioco è andato a un passo dal guadagnare un rigore dopo una riconquista nella metà campo avversaria su una verticalizzazione sbagliata di Ederson. In generale, per Diniz, non c’è stato modo di arginare la costruzione del City, che riusciva agilmente a trovare le ricezioni di Foden e Lewis ai fianchi dei mediani brasiliani.

Uscite spesso riuscite grazie all’avvicinamento dei due mediani e all’allargamento di Walker e Aké, struttura che attirava i 4 giocatori più avanzati del Fluminense mettendone in grossa difficoltà la linea difensiva, fissata dai 3 più avanzati di Pep. Il gol del 2-0, oltre che tagliare le gambe alle convinzioni del Fluminense, è stato anche emblematico delle difficoltà difensive dei carioca nel contenere il City quando riusciva a consolidare il possesso.

Un elemento chiave per il City nella metà campo avversaria è stato lo sfruttamento degli spazi tra terzini e centrali, attraverso Foden e Rico Lewis che una volta nella trequarti erano pronti a tuffarsi in area. Anche nel secondo tempo, e possiamo vederlo anche nell’azione convulsa del terzo gol, l’ingresso in campo di Kovacic nello spazio intermedio ha creato diversi problemi all’assetto difensivo della squadra di Diniz. La capacità del City di tenere palla nella metà campo avversaria e riaggredire furiosamente a palla persa è stata infine la pietra tombale sulla partita.

Tra le due squadre, insomma, si è vista una differenza non trascurabile in termini di capacità di gestire e variare le intensità del possesso, di farlo ad altezze diverse del campo, ma soprattutto di efficacia difensiva, con il City puntuale e a suo agio nel difendere in avanti, meritevole di non aver perso la bussola nella fase migliore del palleggio dei suoi avversari; e il Fluminense, invece, generalmente disarmato sia quando tentava di pressare alto, che nei momenti di difesa bassa. Un risultato preventivabile, forse, ma che non dovrebbe indurre nella tentazione di cassare la proposta e il valore della squadra di Diniz, che comunque ha avuto il coraggio di rinnovare le proprie convinzioni anche nella partita più dura contro l’avversario più forte, ricercando le stesse dinamiche che l’hanno portata a trionfare in campionato e in Libertadores, oltre che a minare i preconcetti del calcio contemporaneo regalando nuovi e ricchi punti di vista.

Per Guardiola è arrivato l’ennesimo record (il quarto Mondiale per Club in tre squadre diverse) e nonostante la versione del City di questa stagione, per varie contingenze, sembra lontana dalla squadra dominante delle stagioni precedenti, ha comunque identificato, resistito e infine controllato agilmente i punti di forza di una squadra con uno stile di gioco mai affrontato prima e che avrebbe potuto creare parecchi problemi grazie alla qualità associativa dei suoi giocatori. In altri sport, forse, il valore della differenza di stile con l’avversario in termini di crescita può essere più evidente, ma è una cosa valida anche nel calcio. Anche se questa finale non è stata poi così combattuta o in bilico, ci ha regalato sprazzi di qualcosa di diverso, inusuale, e probabilmente sarà servita a Guardiola per prepararsi ad affrontare, eventualmente, diversi atteggiamenti anche in partite europee, e a Diniz per rafforzare le proprie convinzioni, magari rivedendo qualcosa nel percorso di preparazione, ma sicuramente uscendo con un’esperienza ancor più formativa.

Ha vinto la squadra più forte e dominante, e magari per chi è più legato al risultato la “rivoluzione” di Diniz ne sarà uscita compromessa. Ma la vera vittoria di Diniz e del Fluminense - e si è visto nella contrapposizione di ieri - è di averci mostrato quanto vari possono essere i contenuti e gli approcci, quando può essere contaminato e diverso questo sport.

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