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A Lukaku e Lautaro è bastato poco
22 feb 2021
22 feb 2021
I due attaccanti sono stati decisivi nella netta vittoria nel Derby, e non solo per i gol.
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Foto di Claudio Villa - Inter/Inter via Getty Images
(foto) Foto di Claudio Villa - Inter/Inter via Getty Images
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Il rischio è di diventare ripetitivi. Di scrivere ancora un volta di Romelu Lukaku e Lautaro Martínez, di quanto facciano la differenza per l’Inter, e di trascurare altri temi magari meno decisivi ma comunque importanti, altre prestazioni di grande livello. Ad esempio quelle di Eriksen e Perisic, per citarne due particolarmente significative, o quella di Handanovic, che con tre parate in meno di un minuto ha tenuto l’Inter in vantaggio di un gol all’inizio del secondo tempo. Certo, una vittoria, specie se così netta, è sempre merito di tutti, soprattutto in uno sport di squadra come il calcio. O ancora: si potrebbe parlare della solidità della linea difensiva, delle progressioni di Hakimi, del moto perpetuo di Barella, del contributo in copertura e della lucidità con il pallone di Brozovic. E sarebbe giusto farlo. Ma per quanto tutti questi elementi siano sicuramente importanti e da prendere in considerazione nell'analizzare la netta vittoria dell'Inter, se si vuole arrivare all'essenza della prestazione della squadra di Conte è difficile non tornare di nuovo a Lukaku e Lautaro.

Non solo perché nei momenti decisivi la firma è però sempre la loro (insieme sono arrivati a 30 gol solo in Serie A). Ma anche e soprattutto perché, semplicemente, l’Inter non potrebbe giocare allo stesso modo, non sarebbe così pericolosa se i due attaccanti non fossero un appoggio così sicuro per la manovra, così abili a tenere la palla anche se non esce pulita da dietro, a dominare i duelli e a far girare i difensori, costringendoli a correre verso la loro porta.

È fin troppo ovvio dirlo dopo una partita così dominata dalle loro prestazioni, in cui, sul tabellino, c’è spazio solo per loro due: Martínez ha segnato due gol, Lukaku ha firmato un gol e un assist. Il loro impatto non si limita però al lato più visibile e importante, i gol segnati, o al modo in cui indirizzano la manovra dell’Inter con i loro movimenti e le loro giocate. Le certezze dell’Inter a livello mentale, la capacità di non far scivolare via le partite anche quando non vanno come previsto dipende molto da Lukaku e Martínez. Nei momenti difficili è un sollievo per tutta la squadra sapere che basta cercare il movimento in appoggio di uno dei due attaccanti per cambiare le cose.

Prendiamo ad esempio il secondo gol segnato da Lautaro Martínez. L’Inter era in vantaggio ma il Milan aveva iniziato meglio il secondo tempo. Il suo pressing era più efficace, la circolazione più precisa, e nei primi minuti Handanovic aveva salvato per tre volte il risultato. Ai nerazzurri è però bastato appoggiarsi a Lukaku sulla destra, in uno spazio in cui la circolazione interista ha cercato di continuo di isolare il belga contro Romagnoli, per dare una piega diversa alla partita nel momento più difficile. Come fa spesso, l’Inter ha iniziato l’azione dal basso sulla destra, cercando di far risalire la palla con una circolazione ordinata ma verticale per raggiungere Lukaku. Il belga è un riferimento ovvio per i nerazzurri in ogni partita, ma a spingere ancora di più la manovra dalla sua parte era in questo caso proprio il pressing del Milan.

La contrapposizione tra i sistemi, tra il 3-5-2 di Antonio Conte e il 4-2-3-1 di Pioli, creava problemi ai rossoneri in alcune scalate. Quelle dei terzini (Calabria e Theo Hernández) in avanti sui laterali dell’Inter (Hakimi a destra e Perisic a sinistra), e quelle dei centrocampisti centrali (Tonali e Kessié) sui movimenti delle mezzali nerazzurre (Eriksen e Barella). Tonali era chiamato a uscire in verticale su Eriksen, che si abbassava in appoggio ai difensori di fianco a Brozovic. Kessié era invece più portato a muoversi lateralmente verso la fascia, visto che Barella tendeva ad allargarsi. Dovendo però coprirsi a vicenda, e quindi restare a protezione del centro del campo mentre il compagno usciva in pressione, Kessié e Tonali non partivano sempre da posizioni favorevoli per alzarsi con tempismo sui loro avversari, specie se l’Inter spostava velocemente la palla da un lato all’altro. Sia i due centrocampisti sia i terzini del Milan avevano insomma molto campo da coprire per pressare i loro riferimenti, e nei secondi impiegati per avvicinarsi l’Inter aveva almeno un uomo libero su cui appoggiarsi per far circolare la palla con velocità e precisione e arrivare ai suoi attaccanti.

L’azione che si concluderà con il gol del 2-0 di Lautaro Martínez inizia quindi sulla destra, con una rimessa dal fondo di Handanovic battuta con un passaggio corto verso de Vrij, che a sua volta si appoggia alla sua destra su Skriniar.

È l’innesco per il pressing del Milan, che alza Rebic su Skriniar, fa scivolare verso il centro Tonali, che inizialmente si era avvicinato a Eriksen, e fa uscire Kessié su Barella. L’ivoriano è però in ritardo e quindi Barella può girarsi e dosare il passaggio verso Lukaku, mentre nel frattempo Theo Hernández si alza su Hakimi.

A questo punto l’Inter è arrivata alla situazione che voleva raggiungere fin dall'inizio, e cioè isolare Lukaku con Romagnoli. L’azione non è però molto promettente. Nella metà campo milanista ci sono solo i due attaccanti, la difesa rossonera è in superiorità numerica e il belga riceve spalle alla porta ma non è a contatto con il difensore - Romagnoli infatti si stacca e aspetta la mossa di Lukaku - e ha difficoltà a girarsi, visto che si trova in una zona poco favorevole, oltre il centrocampo vicino alla linea laterale.

In effetti il belga non riesce a girarsi, ma tenendo la palla per un paio di secondi fa avvicinare Hakimi, un dettaglio magari marginale che però fa continuare l’azione e la rende più pericolosa. A volte basta solo questo a Lukaku per cambiare la circolazione dell’Inter, piccole giocate di raccordo che avvicinano i compagni e danno modo alla palla di avanzare nella metà campo avversaria, una cosa non così scontata per la manovra dell’Inter, che parte dal basso, svuota il centro e ricerca combinazioni precise in verticale, e quindi rischia a volte di allungare troppo le distanze e rendere difficili i collegamenti tra i giocatori.

Dal momento in cui Lukaku si libera della palla l’azione si conclude incastrando in modo perfetto le qualità di ogni giocatore coinvolto, a rivelare nel modo più chiaro possibile il disegno immaginato da Antonio Conte. Hakimi fa forse la giocata più difficile, una conduzione di una ventina di metri che supera tre avversari e cambia in modo netto la pericolosità dell’azione. A proteggere la porta del Milan restano infatti solo Kjaer e Calabria, mentre alle spalle di Hakimi sta arrivando Eriksen in zona centrale e più indietro sulla sinistra sta avanzando Perisic.

Eriksen, dal centro della trequarti e senza avversari vicino, gestisce in modo esemplare i tempi della rifinitura. Aspetta la sovrapposizione di Perisic e lo serve quando il croato arriva sul lato sinistro dell’area piccola. Martínez nel frattempo si era spostato verso il centro dell’area e sul passaggio in orizzontale di Perisic può appoggiare comodamente la palla in porta sul primo palo.

Tutto riesce come aveva immaginato Conte. L’uscita su Lukaku, la progressione di Hakimi che porta la palla nella zona di rifinitura, Eriksen che interviene sul possesso nella zona ideale al centro sulla trequarti, Perisic che offre uno sbocco pericoloso all’azione anche a sinistra e Lautaro Martínez che la chiude a due passi dalla porta.

L’uscita a destra su Lukaku, approfittando delle difficoltà che aveva il Milan ad accorciare su Hakimi e Barella, era già stata decisiva per il primo gol di Lautaro Martínez, che aveva cambiato il corso della partita dopo soli cinque minuti. Una svolta che ha permesso ai nerazzurri di gestire quasi tutto il confronto da una posizione di vantaggio a livello strategico. L’Inter ha potuto cioè ridurre da subito l’aggressività, dosare i momenti in cui si alzava a pressare e difendere per buona parte del tempo con il baricentro basso e la squadra schierata.

Anche in questo caso l’azione inizia da dietro con Handanovic, che aveva appena bloccato con le mani un retropassaggio di testa di de Vrij, ma non è molto elaborata. Il portiere sloveno si appoggia a destra a Skriniar, che a sua volta esce su Hakimi, rimasto basso vicino al compagno. Theo Hernández è distante da Hakimi e non riesce a pressarlo, e alzandosi apre alle sue spalle uno spazio in cui va a inserirsi Lukaku.

Con Hakimi libero di guardare il movimento di Lukaku oltre la metà campo e di dosare con calma il passaggio, e il belga che può correre in campo aperto, i margini di intervento della difesa del Milan sono ridotti al minimo. Romagnoli non riesce a stare dietro a Lukaku lanciato in velocità sulla destra, Kjaer resta solo tra i due attaccanti dell’Inter ma in un primo momento, con grande senso della posizione, rimedia e sembra allontanare il pericolo, intercettando il passaggio di Lukaku verso Lautaro Martínez.

La palla però torna a Lukaku sul lato destro dell’area, mentre nel frattempo anche Perisic si è inserito nella zona del secondo palo. È un movimento decisivo, perché attira Calabria e lo allontana da Martínez, rimasto in area tra Kjaer e il terzino rossonero. Dopo il primo intervento, il danese non guarda più Martínez alle sue spalle, difende la sua zona e forse si aspetta che dietro di lui scali Calabria, che però tiene d’occhio Perisic e non stringe la marcatura, lasciando Lautaro Martínez libero di girare in porta di testa il cross di Lukaku.

L’Inter si è ormai abituata a gestire le situazioni di vantaggio abbassando le linee e lasciando che a creare gli spazi per Lukaku e Martínez siano gli sbilanciamenti degli avversari quando attaccano. Nel derby non ha però avuto bisogno che fosse il Milan a sbilanciarsi, gli spazi se li è creata da sola costruendo dal basso in occasione di ogni gol segnato, attirando la pressione con la circolazione bassa e allungando il campo davanti a Lukaku e Lautaro Martínez. Cambia poco infatti se la palla esce dalla difesa in transizione o con una costruzione dal basso, l’Inter non ha bisogno di alzare con calma le linee e portare molti uomini in avanti, le basta arrivare a metà campo e appoggiarsi a uno dei suoi attaccanti per far succedere qualcosa.

In occasione del terzo gol è stata decisiva un’altra ricezione di Lukaku, stavolta nel cerchio di centrocampo dopo che la palla era risalita sul lato sinistro. A far girare male l’azione per il Milan non è tanto il ritardo nelle scalate laterali dopo che l’Inter aveva cambiato gioco da destra a sinistra, visto che comunque la palla non esce pulitissima dalla difesa nerazzurra, ma la mancata copertura del centro del campo.

Sul lancio di Perisic - a memoria, a cercare le punte come prevede una delle giocate classiche del gioco di Conte - la palla non arriva direttamente a Lukaku o a Barella, ma rimbalza nel cerchio di centrocampo, e sarebbe stata facilmente intercettata se Kessié, con un po’ più di reattività e senso della posizione, si fosse spostato rapidamente verso sinistra.

La palla invece passa e arriva a Lukaku, e a quel punto, con Romagnoli distante e il belga libero nella metà campo del Milan, l’azione è girata di nuovo a vantaggio dell’Inter. Lukaku si lascia dietro Kessié, avanza mentre Romagnoli indietreggia senza mai avvicinarsi e, dopo essersi allungato la palla sul sinistro, il belga segna il terzo gol con una cannonata sul primo palo dal limite dell’area.

L’Inter, insomma, non ha bisogno di far incastrare sempre le qualità dei suoi giocatori come in occasione del secondo gol di Lautaro Martínez, le basta far arrivare la palla a metà campo ai suoi attaccanti, anche in situazioni poco promettenti, per piegare a suo vantaggio le partite. Conte è riuscito finalmente a inserire Eriksen e Perisic, aggiungendo quindi qualità nella gestione della palla, e ad aprire uno sbocco pericoloso per la manovra anche a sinistra senza perdere equilibrio a livello difensivo. Ma al di là di questo, il tecnico salentino sa benissimo che nei momenti decisivi può sempre contare su Lukaku e Lautaro Martínez. Che basta portare la palla nelle loro zone per vincere le partite.

Anche in questo derby, come nei primi due giocati in questa stagione, l’Inter è spesso riuscita a far circolare la palla con precisione dietro le prime linee del Milan, a rendere troppo corta la coperta dei rossoneri. Lo spazio in mezzo al campo è diventato presto troppo grande per Kessié e Tonali, e Kjaer e Romagnoli, isolati e con molti metri alle loro spalle, non sono più riusciti a gestire i duelli con Lautaro Martínez e Lukaku.

Alla fine il più criticato è stato Romagnoli, il principale responsabile della marcatura di Lukaku, ma è stata la strategia del Milan a mettere troppe volte in situazioni scomode i suoi difensori, a imporre ai suoi centrali una partita troppo difficile, contro due attaccanti eccezionali nei duelli, abili a tenere la palla, a pulirla anche quando esce in modo confuso da dietro, capaci sia di migliorare la circolazione nella metà campo avversaria facendo avvicinare i compagni sia di portare da soli il pallone in area. Erano forse rischi inevitabili per il Milan, che avrebbe potuto ridurre solo con un pressing più efficace delle prime linee, più attento a non concedere uscite comode sulle punte. Forse, però, strutturalmente per il Milan era troppo difficile difendere alcune posizioni del sistema dell’Inter, come ha ammesso anche Stefano Pioli alla fine della partita.

La vittoria così netta è un segnale che gli equilibri in testa alla classifica sono ormai girati in modo chiaro a vantaggio dell’Inter. Per il Milan, considerato il brutto periodo che va al di là della sconfitta nel derby, sembra invece aprirsi un nuovo campionato. Lo scudetto è ora un sogno più sbiadito e l’obiettivo principale resta quello di consolidare la posizione in classifica evitando i recuperi delle squadre alle spalle, a partire dalla prossima partita contro la Roma.

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