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Serie A Daniele Manusia 16 febbraio 2021 9'

Inavvicinabile Lukaku

La capacità dell’attaccante dell’Inter di tenere a distanza gli avversari non è innata.

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A inizio gennaio, quando Romelu Lukaku ha segnato il gol del momentaneo 4-2 contro il Crotone in molti si sono soffermati sull’umiliazione subita da Sebastiano Luperto, che in quel momento si era trovato a difenderlo in campo aperto. Difficile mettersi nei suoi panni senza soffrire, sulla palla lunga Lukaku prima lo tiene lontano col braccio destro e poi, mentre compie un giro completo per mettersi fronte alla porta, lo sposta con il sinistro. Nell’inquadratura ravvicinata sembra che Luperto si sia preso una porta girevole in faccia; Lukaku se lo fa passare dietro alla schiena come una palla da basket.

 

Pochi giorni dopo Barella ha paragonato Lukaku a Shaquille O’Neal, raccontando che anche in allenamento lo devono marcare almeno in due. Ma Lukaku non è solo grande e grosso, corre anche a una velocità irreale per un peso massimo (in realtà, pesando 93 kg, sarebbe un massimo-leggero), e domenica scorsa invece è toccato a Marco Parolo, che neanche sarebbe un difensore: si è trovato a corrergli dietro su cinquanta metri di campo, finendo polverizzato sull’azione che ha portato al gol del 3-1 di Lautaro.

 

Polverizzato però non rende l’idea: non è che Lukaku ha seminato Parolo con la sola velocità, ha accelerato quanto serviva per passargli davanti, infilando prima il braccio sinistro e poi il resto del suo corpo, e una volta davanti se lo è tenuto incollato, come un pesce pilota che nuota insieme a uno squalo, tenendolo a distanza dalla palla con le braccia e con l’anca sinistra. C’è qualcosa di diabolico nel modo in cui Lukaku riesce a giocare la palla con gli avversari addosso, con la disinvoltura con cui d’inverno ci si sposta la sciarpa dietro la spalla quando scivola in avanti. Parolo, in un certo senso, ha difeso persino bene, restando il più vicino possibile alla palla e tentando un intervento in scivolata all’ultimo momento.

 

Absolutely unstoppable in this form #Lukakupic.twitter.com/hzGUXsYdsI

— Nima Tavallaey Roodsari (@NimaTavRood) February 14, 2021


I due gol segnati alla Lazio, il primo su rigore, il secondo sfruttando con freddezza un rimpallo che lo ha messo da solo davanti a Reina, erano il numero 299 e 300 della sua carriera. Un traguardo alla portata di pochissimi, raggiunto a 27 anni come Cristiano Ronaldo. Per dire, Lewandowski ci è arrivato a 28 anni, Zlatan a 31. Solo Messi ci è riuscito prima, a 25, ma Messi è un caso a parte in tutte le statistiche che vi vengono in mente. Pochi giorni fa, dopo la mancata qualificazione dell’Inter in finale di Coppa Italia, Lukaku era considerato in cattiva forma. E dato che non ha mai segnato contro la Juventus (in cinque partite, compresa quella giocata con la maglia dello United in Champions League nel 2018, e a cui volendo si può aggiungere la partita con l’Italia nell’Europeo del 2016, in cui difesa e portiere erano bianconeri) qualcuno ha sostenuto che avesse problemi nei così detti “big match”. E non era la prima volta che glielo facevano notare (anche se in carriera ha già segnato a squadre come PSG, Chelsea, Liverpool, United, Barcellona). La partita che è valsa il primo posto in classifica – il sorpasso sul Milan a una settimana dal derby – era abbastanza grande?

 

Questo tipo di generalizzazioni non ha mai senso – mai – e se da una parte è vero che nel secondo tempo in difesa c’erano Patric e Parolo, dall’altra è vero anche che è naturale per un attaccante faticare di più nelle partite contro le squadre migliori, in cui solitamente si trovano anche i difensori migliori. È strano, anzi, per non dire ipocrita, il poco conto in cui si tengono le prestazioni difensive. Nel 2-2 con la Roma di inizio gennaio, ad esempio, Smalling lo ha marcato molto bene, limitandolo. Anche de Ligt, nella semifinale di ritorno contro la Juventus, su di lui ha giocato una grande partita.

 

Un altro esempio recente può essere preso dalla gara di andata in campionato con la Juventus, vinta 2-0 dall’Inter, in cui Lukaku ha messo in seria difficoltà Chiellini che, però, ha tenuto botta. In un’azione arrivata poco dopo la mezz’ora, nel primo tempo, su una palla in diagonale che arrivava dal lato sinistro del campo, Lukaku ha preso contatto con Chiellini con il braccio destro, tenendoselo alle spalle e girando su se stesso come aveva fatto con Luperto. Solo che Chiellini, dopo il grande controllo di sinistro con cui Lukaku si è lanciato verso l’area, gli è corso dietro, e dopo che il contrasto con Frabotta lo ha rallentato è riuscito a recuperarlo in scivolata (e con una seconda scivolata Chiellini è riuscito anche a deviare il tiro di Lautaro). Insomma, a volte attaccanti fenomenali incontrano difensori fenomenali.

 

 

 

Altre volte, però, difensori “normali” incontrano attaccanti fenomenali. Ai tempi dell’Everton Lukaku ha girato un video con la leggenda del Liverpool Jamie Carragher (che per l’occasione ha persino indossato il completo dei rivali cittadini), oggi uno dei commentatori più autorevoli della tv inglese, in cui spiega che non chiederebbe mai la palla sui piedi col corpo orizzontale al campo, ma sempre di trequarti, e mostrandolo gli appoggia un braccio sul petto. «Se ti metti col corpo così», chiede Carra, «non posso fermarti?». «No, se ti controllo così è finita», dice Romelu, sicuro che in tutto il campionato non ci sia un difensore centrale in grado di fermarlo.

 

Le cose per i difensori sono peggiorate rispetto a quegli anni, considerando che Lukaku è diventato ancora più grosso e potente senza perdere velocità. Semmai ha perso un po’ di agilità, si vedono meno slalom negli spazi stretti e meno cambi di direzione in corsa, ma in quanto a velocità pura direi che più o meno raggiunge i picchi di prima (poco prima di lasciare l’Everton era il quarto giocatore più veloce del campionato e allo United era il più veloce della squadra). Per questo in Premier League, specie nei secondi tempi, quando gli spazi a sua disposizione si ampliavano, Lukaku trasformava le transizioni in micidiali corse spalla a spalla con i difensori – non so se avete visto uno qualsiasi di quei film/telefilm in cui due coatti in moto o in macchina fanno una corsa che si conclude con un passaggio stretto in cui può passare uno solo dei due: ecco, quella cosa lì descrive il calcio di Lukaku. Nell’Inter di Conte capita più spesso che Lukaku prenda posizione, si giri e lanci in profondità un compagno (Hakimi, Lautaro o Barella), e sono diventate più rare azioni come quella che ha portato al gol di Lautaro Martinez contro la Lazio. Lukaku si è adattato al calcio italiano, che di spazi ne lascia pochi.

 

Di Lukaku si parla quasi sempre per sottolinearne la forza, la potenza. «Il suo corpo è spesso l’inizio e la fine dei discorsi su di lui. Lo si indica per esaltarlo o per criticarlo», scriveva qualche mese fa Emanuele Atturo, alludendo al rapporto tra i giudizi più semplicistici e gli stereotipi razziali sugli atleti di pelle nera. È una storia che parte da quando a 13 anni era più alto dell’arbitro e arriva ai nostri giorni. Quando si è trasferito all’Inter, due estati fa, era un “ciccione”, quando gioca meno bene del solito è un “intruppone”, un attaccante goffo, troppo grosso per essere anche tecnico e intelligente. Quando invece fa vincere la squadra è merito del suo “strapotere fisico”, come fosse una cosa del tutto naturale. Che ci vuoi fare – è il sottotesto – è così grosso, e così veloce.

 

 

Nel gol del 2-1 al Mönchengladbach in Champions League, lo scorso dicembre, Lukaku si allunga in profondità un passaggio in verticale di Brozovic, portandosi la palla in area di rigore. Non c’è moltissimo spazio, perché alla sua sinistra, tra la palla e la porta, c’è un difensore, Zakaria, e un altro sta arrivando alla sua destra, da dietro. Quando però Zakaria prende contatto con lui, covando forse l’illusione di riuscire a spostarlo, Lukaku con il braccio sinistro lo fa rimbalzare a un paio di metri di distanza, creandosi lo spazio per incrociare il tiro sul secondo palo.

 

In quello del 1-0 contro il Bologna, di pochi giorni prima, mentre Perisic prepara il cross in area, Lukaku ingaggia un duello con Tomiyasu. Dopo avergli appoggiato la mano destra sulla spalla Lukaku lo sposta verso di sé per passargli dietro, Tomiyasu gli si aggrappa alla maglia per non perderlo del tutto ma viene trascinato a terra come uno sciatore inghiottito da una slavina. Lukaku riesce a coordinarsi per calciare al volo ma colpisce così male la palla che gli resta lì, a pochi passi dalla porta, da dove può calciare di nuovo, stavolta indisturbato.

 

 

In Nations League contro la Danimarca, lo scorso novembre, ha segnato grazie a un passaggio in profondità di De Bruyne. Il terzino danese arrivato poco tempo fa all’Atalanta, Maehle, prova a recuperarlo da dietro ma appena lo tocca perde il passo, inciampa e cade a terra come se avesse provato a scalare una montagna troppo ripida. Poco dopo è Kjaer, nel tentativo di contrastarlo su un cross da destra, a sbattergli addosso senza riuscire a spostarlo significativamente impedendogli di colpire di testa da dentro l’area piccola.

 

Questi sono solo alcuni degli ultimi gol segnati da Lukaku. Ma capita anche che vinca un duello di questo tipo con il difensore e non riesca a segnare, o che lo tenga lontano ma sbagli il controllo. Non si può dire che protegga bene la palla, nel senso che quando è lontano dalla porta e deve solo gestire il possesso fatica nel tenerla vicina a sé più spesso di quanto riesca ad essere brillante (ma a volte riesce ad esserlo comunque, con quella creatività da numero 10 che ricorda i suoi inizi), ma è diventato uno specialista dei duelli corpo a corpo in profondità.

 

La sua è un’evoluzione cominciata parecchi anni fa, con il passaggio dal sistema belga (calciatori polivalenti, tecnica da trequartista obbligatoria anche per i centravanti etc.) a quello inglese (in cui invece veniva usato maggiormente come classico “target man” ), e che che in questi anni con Conte, in un campionato tattico e difensivo come la Serie A, lo ha portato ad affinare ancora di più i duelli corpo a corpo. Ed è diventato uno degli attaccanti più efficienti del campionato, quello che si procura più Expected Goals su azione (0.69 per 90 minuti), secondo solo a Ibra come media gol/minuti (0.67, Zlatan 0.92), e al tempo stesso con lo stesso numero di dribbling riusciti (2) di specialisti come Chiesa e Insigne, grandi quanto una sua gamba. Adesso Lukaku è a suo agio anche giocando in pochi metri quadrati di campo, e ovviamente non c’è niente di casuale nel modo in cui i difensori gli sbattono contro, è lui che, pur guardando la palla, sta attento a usare il proprio corpo come un muro di cinta per tenerli separati dalla palla.

 

Lukaku scatena reazioni nel pubblico italiano, in un certo senso sembra quasi che stia facendo qualcosa fuori dalle regole. O come se non fosse pienamente merito suo, del suo lavoro in questi anni non solo atletico ma anche concettuale, e si aspetti solo la prima occasione per sottolinearne i limiti. Ma va ricordato che, in realtà, Lukaku non ha nessun superpotere, quell’idea machista di dominio puramente fisico non funziona così bene nel calcio – così come non esiste un dominio puramente tecnico, escluso quello di Messi. Se bastasse essere grossi e veloci (fermo restando che non è semplice neanche quello) per giocare in Serie A ci sarebbero più giocatori come lui in campo, e magari Usain Bolt non sarebbe più scarso di Marco d’Ottavi.

 

Non mi vengono in mente molti altri attaccanti capace di resistere alla pressione dei difensori (ricordatevi che a loro in teoria basterebbe spostare lui, non farlo arrivare bene sulla palla) e mentre lottano con loro di tenere d’occhio la palla, ricordarsi dove sta la porta, poi coordinarsi e colpire (forse Duvan Zapata nei suoi momenti migliori, Haaland se vogliamo allargare lo sguardo al resto d’Europa). Mi tornano in mente i duelli che ingaggiava, in corsa, il miglior Christian Vieri, o quelli sul posto di Luca Toni, quando sembrava avere i tentacoli. Ma oggi nessuno sembra inavvicinabile quanto Lukaku, nessuno è accompagnato da quella sensazione che anticipa cosa sta per succedere: ok, adesso Lukaku sposta il difensore e segna.

 

Nessuno regala niente a nessuno, nel mondo del calcio. Il modo in cui oggi manipola i difensori avversari è il frutto di anni di lavoro e allenamenti, di continui pensieri su come sfruttare meglio le proprie qualità; Lukaku sarà anche partito con delle doti fisiche non comuni, ma è diventato il giocatore che vediamo oggi perché è, da sempre, serio e studioso, attento ai dettagli e in continuo miglioramento.

 

Quando Zlatan Ibrahimovic lo ha voluto prendere per il culo, quando si sono incrociati a Manchester (e a dirla tutta Lukaku è stato una delle ragioni per cui Zlatan ha capito che era meglio lasciare la Premier), lo ha fatto stuzzicandolo sulla sua tecnica di base, invitandolo a scommettere su quanti primi controlli gli sarebbero riusciti. Perché quella, la tecnica di base, per uno con il corpo come il suo, con i piedi come i suoi, è la cosa più difficile su cui lavorare. Ma quando un giocatore è molto tecnico lo ammiriamo e basta, senza considerarlo un vantaggio naturale, mentre se si tratta di un super-atleta (e magari ha anche la pelle nera) allora non c’è niente di eccezionale nella sua fisicità. Anzi, ci incazziamo quando non domina e distrugge tutto quello che ha davanti a sé.

 

 

Tags : interlukaku

Daniele Manusia, direttore e cofondatore dell'Ultimo Uomo. È nato a Roma (1981) dove vive e lavora. Ha scritto: "Cantona. Come è diventato leggenda" (Add, 2013) e "Daniele De Rossi o dell'amore reciproco" (66th & 2nd, 2020).

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