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Quando David Luiz si è fatto difendere dalla madre
09 mar 2021
09 mar 2021
È stata colpa di Luis Suarez.
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Chissà se David Luiz guarderà la partita domani sera e chissà se guardandola ripenserà a quella sera, la sera in cui è stato umiliato. Chissà quante volte ci ha pensato in questi sei anni, a quel 15 aprile del 2015, se Luis Suarez viene a visitarlo nella notte vestito da fantasma terrificante, se si ritrova a chiudere le gambe nel sonno, urlando di paura. Chissà se invece i suoi sogni assumono una forma più metaforica. Una enorme dentiera che lo insegue mentre corre in un deserto verde come l’erba del prato; questa dentiera che infine lo castra, senza che lui possa farci proprio niente. Oppure David Luiz che vede un pallone in lontananza, in un luogo fuori dal tempo e denso di nebbia, per terra tutto allagato come negli incubi di Hill House; gli va incontro per controllarlo, ma all’ultimo momento quello gli passa sotto le gambe; allora lui si gira per andare a controllarlo, ma di nuovo quel pallone si anima e gli passa ancora tra le gambe. Oppure David Luiz seduto al tavolo di un bar, una sensazione di sete abissale, gola secca ma una tazza vuota davanti a sé; di fronte a lui Luis Suarez beve dalla tazza e non la smette di guardarlo e ridere. David Luiz che vorrebbe alzarsi, ma non può.

 

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Quando David Luiz è comparso in Europa nel 2007, con la maglia del Benfica, aveva già le sembianze di uno strano animale. Non solo per la somiglianza con Telespalla Bob, il cespuglio di capelli riccissimi, il colorito esangue, gli occhi a palla; ma soprattutto perché giocava come nessun altro. Se oggi siamo abituati ai centrocampisti prestati alla difesa, all’epoca lo stile di gioco ambizioso e ultra-offensivo di David Luiz era un’eresia. Certo, la scuola dei difensori brasiliani ci aveva abituati a giocatori eleganti e con un’abilità tecnica sopra la media - Aldair, Juan, Lucio - ma nessuno di loro aveva la raffinatezza nella scelta di passaggio di Luiz. Per quanto riguarda la fase difensiva, cioè il mestiere antico del difensore, se la cavava ma aveva il problema non da poco di perdere facilmente la concentrazione. In questi quasi quindici anni di carriera David Luiz ha rappresentato un dilemma: erano più i benefici che portava la sua qualità nella costruzione dal basso, o più i danni che faceva alle sue squadre con i suoi errori, con le palle perse, con le disattenzioni in area di rigore, gli uno contro uno maldestri. I suoi momenti negativi sono rimasti così calcati nella nostra memoria che hanno costruito un’immagine di David Luiz poco realistica. Abbiamo finito per considerarlo

, la sua presenza in campo un mistero a voler esser buoni, una debolezza di allenatori troppo attenti alla moda, che hanno dimenticato che un difensore - come si dice con straordinario qualunquismo -

, qualsiasi cosa voglia dire. Abbiamo dimenticato che David Luiz è stato un grande difensore, che il suo talento gli ha permesso di giocare in alcune delle migliori squadre al mondo: Benfica, Chelsea, PSG, Arsenal. Ha vinto tanto: 3 campionati francesi, 1 campionato portoghese, varie coppe nazionali, una Champions League, 2 Europa League, e una Premier League col Chelsea di Conte vissuta da protagonista, da uno dei migliori giocatori della squadra.

 

Questa è una lunga premessa per dirvi che sì, stiamo parlando di un’umiliazione subita da David Luiz, ma questa storia non racconta di quanto David Luiz sia un difensore scarso. Questa umiliazione dice soprattutto del talento, della strafottenza, della furbizia, dell’istinto omicida di Luis Suarez.

 

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Nonostante la sua grande carriera, David Luiz ha avuto una capacità sospetta di farsi trovare nel lato sbagliato della storia. Da attore non protagonista ha vissuto alcuni dei drammi più eclatanti della storia recente del calcio. Era al centro della difesa, fascia da capitano al braccio, nel naufragio del calcio brasiliano contro la Germania. Se volete farvi un’idea della sua prestazione, e siete amanti dei video sulla sofferenza umana in stile Jackass,

qualcuno ha montato la sua prestazione individuale con la musica di Benny Hill in sottofondo. C’è un’immagine spezzacuore di quella sera. David Luiz a fine partita buttato a terra con la fronte poggiata sulle mani giunte stese a terra. Il suo corpo contorto in una posa di estremo dolore e costernazione. Mesut Ozil lo guarda dall’alto verso il basso. Non ho trovato un video di quel momento, cosa è successo, poi? Si è chinato per consolarlo o è stato respinto dall’abisso di quel dolore? A cosa stava pensando, David Luiz, atleta di Cristo? Nella sua vita aveva detto: «Tutto appartiene a Dio. Il nostro scopo e la nostra strada è stata già decisa»; quindi ora stava pensando a quel Dio come un’entità malvagia e vendicativa, oppure stava cercando il bene che poteva arrivare da quella incredibile delusione? «Per sei mesi, molti tra noi calciatori si sono nascosti (…). Per molto tempo ho dovuto sopportare il peso di questa sconfitta da solo».

 


(Jamie McDonald/Getty Images)


 

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Un anno dopo David Luiz è in campo con la maglia del PSG. È la squadra di Laurent Blanc, di Thiago Silva e Matuidi, di Cavani e Lavezzi, che cercava un riconoscimento europeo attraverso un calcio quasi arrogante nella ricerca ostentata del possesso palla. L’idea era di proseguire questa strategia contro la squadra che più di tutte, negli ultimi anni, aveva dominato il calcio europeo attraverso il dominio del pallone, cioè il Barcellona. Sulla panchina blaugrana però non c’era più Guardiola ma Luis Enrique, e il rapporto tra principi di gioco e libertà individuale si era invertito. La struttura tattica della squadra si era alleggerita per liberare il talento debordante di Neymar, Messi e Suarez. E così, da una squadra dominata dal centrocampo, si era passati a una la cui identità si definiva nel suo attacco. Era una squadra pericolosa e a tratti ingestibile, che a fine anno vincerà Champions League, Copa del Rey e Liga. Il Barcellona a fine anno avrà segnato 172 gol stagionali, 122 dei quali segnati dal suo tridente offensivo. Come si doveva sentire un difensore a dover affrontare quella squadra?

 

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Dopo 18’ la partita si mette già male per il PSG. Non è una squadra allenata a difendere e a gestire una tale potenza offensiva; era partita bene, con una buona occasione capitata sul piede sinistro di Javier Pastore, quello sbagliato. Appena il Barcellona ha accelerato, però, è arrivato un palo di Messi, e poco dopo la difesa era messa così male che il 10 ha ricevuto sulla trequarti totalmente libero; e alla sua sinistra Neymar era ancora più libero. Gli ha potuto servire un passaggio elementare, e “O Ney” ha potuto segnare con un piatto sul palo lontano ancora più elementare per superare Sirigu.

 

David Luiz ha guardato questo gol dalla panchina, non stava bene fisicamente e al suo posto giocava Marquinhos. Dopo 20’ però si è fatto male Thiago Silva e Blanc è stato costretto a mandarlo in campo. Entrando si è fatto il segno della croce e ha mandato gli indici al cielo. Già nel primo tempo un assaggio delle difficoltà, quando David Luiz si fa portare via la palla da Suarez da ultimo uomo, e per sua fortuna l’uruguagio si è lasciato andare in un tiro a giro velleitario.

 

https://youtu.be/dVlZLH0-Crs?t=297

 

La prima tragedia si consuma in un momento morto della partita. Suarez riceve una palla di Montoya in verticale sul lato destro del campo, è isolato, non ha nessun compagno vicino e sembra innocuo, quindi Luiz ci si avvicina lentamente, quello la lascia scorrere, sembra alzare la testa per cercare qualcuno, ma in uno di quei guizzi da aspide che aveva soprattutto al suo prime - quindi in quegli anni - fa un tunnel d’interno sul difensore brasiliano. C’è semplicemente una tensione mentale diversa tra i due. Si parla spesso degli umori dei difensori, distinguendo quelli ottimisti dai pessimisti. Luiz è uno di quei difensori che pare vivere il suo mestiere in modo spensierato, senza pensare che a quei livelli ci sono assassini come Suarez, nati per accorgersi e per approfittare di ogni minima disattenzione delle linee difensive avversarie. In fondo dopo quel tunnel Suarez sembra ancora non poter fare granché perché gli si para Marquinhos davanti e Maxwell dietro. Chiuso a panino, però, Suarez usa i corpi avversari a suo vantaggio. Se la sposta con l’interno per superare Marquinhos, e poi tiene lontano Maxwell col braccio sinistro con una ferocia spaventosa. La pressione avversaria, più che ostacolarlo sembra spingerlo in modo più deciso verso la porta. Infine segna di piatto sul primo palo.

 

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È difficile trovare due persone più diverse di David Luiz e Luis Suarez. Luiz difensore dallo spiccato gusto estetico, che si è guadagnato una carriera di alto livello più per le sue sue doti offensive - per la tecnica con cui calcia il pallone, per le raffinate letture in costruzione - che per quelle difensive. Dall’altra parte Luis Suarez, detto “El Pistolero”, un farabutto. Uno che ama giocare nelle zone grigie del regolamento, che vuole entrare sotto pelle ai difensori, che annusa le loro debolezze come uno squalo e che sembra provare un piacere sadico nell’approfittarne. Suarez è riuscito a conciliare l’archetipo del finalizzatore spietato e speculativo, e quello dell’attaccante tecnico, creativo e capace di tutto. Nelle sue giornate migliori Suarez sembra il demonio in persona. Un uomo che conosce troppi trucchi perché un difensore possa gestirlo. Nelle sue peggiori partite, invece David Luiz pare giocare in ciabatte, totalmente impreparato alla crudeltà del calcio. Il loro incrocio, anche solo sulla carta, è così infelice che forse David Luiz avrebbe dovuto subito chiedere di non giocare contro Suarez.

 

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Quando mancano 10 minuti alla fine il PSG è stanco e amorfo, a Luis Suarez basta chiedere un semplice uno-due per ritrovarsi solo in uno contro uno con David Luiz. Siamo lontani 35 metri dalla porta e sembra un film western. Il campo all’improvviso si fa più ripido e scivoloso e per Luiz pare complicato persino reggersi in piedi. Il guaio è che Suarez, col piatto sinistro, pare sbagliare il primo controllo; si allunga il pallone e il difensore ci si avvicina perplesso. A quel punto gli eventi assumono una perfidia comica. Luiz pare voler intervenire col piatto, ma quando si accorge che è in ritardo è troppo tardi, Suarez gliel’ha già toccato con l’esterno tra le gambe. Mettete il ralenti, prendete i pop corn e gustatevi: le gambe di Luiz che provano a chiudersi in ritardo, i suoi occhi spaesati mentre Suarez gli è già passato davanti; poi potrete vedere la voluminosa testa di Luiz che si gira e assiste alla sua tumulazione. Suarez si avvicina a Sirigu e tira di interno a giro così vicino all’incrocio dei pali con una precisione francamente superflua. A velocità normale e in campo lungo, invece, vedrete Luiz

mentre i suoi compagni tentano una rincorsa disperata su Suarez. Come se avesse capito che ormai non c’era più nulla da fare.

 

https://www.youtube.com/watch?v=S1AyGchOiOs

 

 

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In epoca pre-digitale sarebbe finita lì, ma nel 2015 David Luiz vive l’obbligatorio processo di memificazione che prolunga la sua umiliazione per settimane. Qualcuno tira fuori un precedente dei tempi della Premier League, in cui Suarez

. Siamo in un’epoca preistorica dei meme, ma ne escono di qualsiasi tipo, il più semplice è anche il più cattivo, con Luiz sostituito alla parte alta della Torre Eiffel, con la base a mimare le gambe aperte. C’è anche la versione con Suarez che fa tunnel alla Torre Eiffel. La foto di un gruppo di persone raccolte attorno a una bara, la scritta in impact: «Siamo qui per dare l’addio alla carriera nel calcio di David Luiz». Qualche tweet sparso: «Suarez è l’unico che sarebbe in grado di fare tunnel a una sirena»; «Suarez ha fatto tunnel due volte a David Luiz, alla terza se lo sarebbe portato a casa»; «80 milioni per due centrali che non riescono a fermare Suarez. Io e Kelly ci siamo riusciti due settimane fa e siamo liberi», scrive Jamie Carragher. Marca scrive che «l’infortunio di Thiago Silva e l’ingresso di un non completamente in forma David Luiz sono stati un invito per Suarez. Come un lupo che vede la luna piena in cielo».

 




Il punto più basso di questa storia viene raggiunto quando interviene la mamma di David Luiz su Instagram. Quanto deve essere grave la situazione se deve intervenire

? I titoli degli articoli raggiungono vette di cringe insuperabili: «David Luiz cocco di mamma: i tunnel? Resti il mio orgoglio». La mamma dice che nonostante i tunnel avrà sempre un figlio: «Dio sa tutto! Gesù si è battuto per noi fino ad oggi eppure certa gente si permette ancora di giudicare! Chi siamo noi per giudicarvi!. Ti vorrò sempre bene, dopo le partite positive e ancora di più dopo quelle che non finiscono bene». Ok mamma Regina, ma non c’era bisogno di specificarlo.

 

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Nel tunnel vive un conflitto tra senso pratico ed estetico della giocata. Nonostante ci siano tunnel che rappresentano il modo più semplice e diretto che ha un attaccante per superare un difensore, una volta realizzati è difficile non leggervi un’umiliazione da regolamento di conti. Un azzeramento di tutte le sovrastrutture professionistiche che ci sono in una partita e un ritorno alla logica di sopraffazione del campetto. Come scrivevamo in

sui tunnel più umilianti del secolo, «Forse perché c’è qualcosa di sessuale nel dribblare l’avversario facendogli passare il pallone in mezzo alle gambe. Quando uno subisce un tunnel è perfido gridargli “chiudi le gambe!” come se quello provasse piacere (ci siamo capiti)». Una classifica che ovviamente conteneva anche il tunnel di Suarez a Luiz. Eppure Suarez dopo quella partita disse: «Ho fatto due tunnel a David Luiz perché non c’era nient’altro che potessi fare», per sottolineare che non c’era niente di crudele e deliberato nelle sue azioni.

 

La verità è che mentre noi celebravamo la morte sportiva di David Luiz, lui - un anno dopo il Mineirazo - ha rimesso insieme i pezzi di sé stesso e si è rimesso a giocare a calcio. Ha vinto ancora molto, con la maglia del PSG e poi del Chelsea. Ha giocato grandi partite e grandi stagioni. Davanti ai microfoni è uno dei calciatori

, ha una grande intelligenza ed emana un carisma naturale che lo ha reso capitano di quasi tutte le squadre in cui ha giocato. Nella sua vita ha imparato ad accettare i suoi errori e a non lasciare che questi lo definissero. «

nella mia carriera che il calcio è una questione di sopravvivenza».

 

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