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L'eterno ritorno del gol di Pellegrini al derby
22 set 2025
Un altro gol decisivo nel momento più inatteso.
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7 min
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IMAGO / Insidefoto
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Alle 11.30 quando sono uscite fuori le formazioni il pubblico si è diviso tra chi è rimasto sorpreso e chi invece sapeva. Da una parte chi non vedeva nessun ordine logico dietro la scelta di schierare Lorenzo Pellegrini titolare nel derby. Dopo un inizio di stagione complicato, senza nemmeno un minuto nelle gambe e più volte punzecchiato in conferenza, titolare nella partita più importante? Dall’altra parte chi invece se lo aspettava, credendo a un allineamento collettivo al pensiero magico per cui l’illogico diventa logico. Pellegrini titolare proprio perché non aveva alcun senso, e perché segna sempre nei derby, e perché nel calcio ci sono energie che scorrono al di sotto di ciò che vediamo.

Possibile che persino Gian Piero Gasperini, il più gelido e anti-sentimentalista degli allenatori italiani, avesse creduto alla favola del capitano romanista che si riscatta al derby? Alla favola del capitano romanista che si riscatta sempre al derby? È possibile che un allenatore così ruvido fosse disposto a prendere scelte simboliche sacrificando pure certe sue idee?

Pellegrini a volte sembra essere nato nell’epoca sbagliata. Un giocatore che va sempre più piano in un calcio che va sempre più forte. Uno con un’idea di calcio tecnica e gentile, stritolato da un calcio di duelli, tempi e spazi ristretti. Un poeta, ma senza l’intelligenza, la visione di gioco e il carisma per fare delle sue debolezze la sua forza. Sfruttare, per esempio, la velocità e la forza altrui a proprio vantaggio. Un giocatore minimalista in un calcio massimalista. Insomma: un soccombente.

Date però a Pellegrini una palla al limite dell’area, sul suo destro, senza uomo addosso, e lui la metterà all’angolo. Farà sembrare facile una cosa difficile. Pellegrini cammina un po’ sonnolento verso il centro dell’area, mentre Devyne Rensch si aggrappa a un pressing tignoso su Nuno Tavares. Mentre gli altri sgomitano e lottano in un calcio ruvido, lui aspetta la palla. Quando arriva calcia di prima inarcando il corpo in avanti e puntando all’angolo basso lontano. Quell’idea che alla lettura delle formazioni ci sembrava pura scaramanzia brilla in tutta la sua lampante realtà.

Pellegrini allarga le braccia e guarda verso terra, accoglie il frastuono dell’Olimpico mentre guarda dentro se stesso. Sembra la sua unica cifra emotiva possibile, il silenzio, l’introversione; la serietà che spesso sconfina nella tristezza. Proprio in quell’emotività così ermetica, e inusuale per un calciatore, si racchiude un’intensità liberatoria tutta sua. Pellegrini criticato, cacciato, odiato, Pellegrini amato, osannato, decisivo sempre in ogni derby. Pellegrini che dopo il gol si lascia travolgere dalla gioia collettiva con l’aria indurita di chi forse non ci crede più. È caduto e si è rialzato già troppe volte e non sa nemmeno dove ha trovato ancora le energie. A vederlo così ti fa chiedere se è normale, ridursi così per il calcio.

Un anno fa, quasi la stessa scena.

A ottobre i tifosi erano corsi a Trigoria a contestarlo. Juric era stato esonerato e per qualcuno la colpa era di Pellegrini. I tifosi si accalcano attorno alla sua macchina minacciosi, «Quanti ne volemo fa fori ancora?!». Lui aveva commentato tra lo stupito e l’amareggiato: «Non capisco i fischi. Ci ho sempre messo la faccia, mi prendo sempre le mie responsabilità».

Ranieri lo mette titolare alla prima contro il Napoli ma lo sostituisce a fine primo tempo. A fine partita dice che bisogna stargli vicini, esponendolo così alla preoccupazione pubblica: «Sta passando un momento particolare». Il rimedio del tecnico è metterlo in panchina a tempo indeterminato, perché così non si diverte più.

Pellegrini fischiato, contestato, Pellegrini odiato e rifiutato. Non gioca mai, la sua parabola alla Roma sembra ormai esaurita; poi Pellegrini viene schierato a sorpresa titolare nel derby, riceve un passaggio diagonale di Saelemaekers, rallenta la corsa, compie due gesti di preparazione - uno stop, una finta - deliziosamente semplici, una sintesi del suo stile essenziale, poi tira d’interno sul palo lontano.

La storia di Pellegrini a Roma era cominciata, del resto, con un derby. Nel 2018, dopo essere tornato alla squadra del suo cuore, e dopo un inizio complicato con un gol clamoroso sbagliato a Bologna, aveva realizzato un gol di tacco contro la Lazio. Un altro gesto piccolo e geniale. In mezzo alle polemiche e alle contestazioni aveva portato i palmi delle mani alle orecchie.

Niente si crea e niente si distrugge, e siccome il mondo è fatto di un numero limitato di elementi, questi finiranno per riaggregarsi allo stesso modo un numero infinito di volte. Almeno così crede Nietzsche, alle prese con la circolarità schiacciante di un tempo senza Dio. E così la carriera di Pellegrini ha assunto questa forma circolare al contempo gloriosa e sinistra. Una circolarità auto-profetica a cui forse Gasperini ha finito per credere: se è già successo, può succedere ancora. Proprio nel momento in cui la parabola di Pellegrini alla Roma sembra esaurita, c’è un derby in grado di rilanciarlo.

In realtà l’utilizzo di Pellegrini va al di là del pensiero magico. Gasperini lo ha schierato titolare perché aveva bisogno di lui. Prima della conferenza aveva lanciato un brutale appello al pubblico: serve tutto l’ambiente per recuperare Pellegrini, non basta lui. Pellegrini serve per superare i limiti tecnici della Roma. Una squadra che ha già l’aggressività di una squadra di Gasperini, ma non la sua qualità offensiva: crea poco, segna poco e manca drammaticamente di giocatori con idee e qualità negli ultimi metri di campo. Il mercato non gli ha dato quello che voleva, e così Gasperini si è trovato a fare con quel che ha, e quindi recuperare Baldanzi e Pellegrini, che erano già con un piede fuori dalla squadra.

Pellegrini è l’unico destro che può giocare a sinistra con gol e assist potenziali. Il problema non è la tecnica; qualcuno dice la testa, altri il corpo. Dopo la partita il tecnico ha spiegato il suo proposito di farlo diventare un atleta: «Il punto è di farlo diventare un atleta con grande personalità e grande cuore, e lo ha perché è un ragazzo sanissimo, ma anche di grande rendimento, di grande fiducia ed energia. Ha 29 anni, è sanissimo e fisicamente ha tutti i valori atletici di medio-alto livello, non ha valori così bassi. Gioca con poco dispendio perché ha qualità tecniche quindi non ha bisogno di spendere molto. Oggi è uscito perché gli stavano venendo i crampi. Può diventare eccellente sul piano atletico».

Nella stessa intervista in cui Ranieri, un anno fa, annunciava il rehab di Pellegrini, lo aveva al contempo definito “un fenomeno”. «Io nella mia carriera ho avuto due fenomeni di centrocampisti a far gol: uno è Lampard e l’altro è Pellegrini». Gasperini ora ne sta facendo soprattutto una questione atletica. Se non si fosse infortunato, nel finale della scorsa stagione, probabilmente la Roma sarebbe riuscita a venderlo come progettato.

Quest’estate Gasperini ha praticamente messo Pellegrini sul mercato, e la società lo ha messo sul mercato, e lui aveva accettato questa situazione nell’unica modalità che conosce: il silenzio. Gasperini gli ha tolto la fascia da capitano, dando una fredda motivazione burocratica: indossa la fascia chi ha più presenze nel club. Dietro le sembianze di un gesto neutro ce n’è uno forte, in un club attaccato ai simboli come la Roma. La storia sembrava ripetersi: dopo Florenzi, un altro capitano messo da parte per sempre. Gasperini è stato incendiario in conferenza, ammettendo pubblicamente che la società non vuole rinnovare il contratto a Pellegrini e che lui ha bisogno di giocare - quindi ammettendo tra le righe che lui non aveva intenzione di farlo giocare. «Se lui trova una situazione adeguata anche lui è contento ad andare, ma la situazione adeguata è faticosa a trovarsi».

Pellegrini non ha mai parlato pubblicamente. Una buona parte del pubblico romanista, soprattutto quella del tifo organizzato, apprezza questo profilo basso e continua a sostenere Pellegrini. Lo ha accolto allo stadio con lo striscione “Bentornato capitano” e in qualche modo - so che è strano a dirsi - sembra capire la sua sofferenza. Rispetta la sua serietà, la sua tristezza, accetta anche i suoi limiti tecnici e caratteriali. Come se i tifosi e Pellegrini fossero stretti in una muta comprensione reciproca.

Dopo la partita, col premio di migliore in campo in mano, Pellegrini ha dedicato la vittoria ai tifosi, con una tenerezza e una felicità che può suonare lunare, se pensiamo che era un giocatore separato in casa fino a ieri. Poi è andato a festeggiare con i tifosi, sulla balaustra della Curva Sud. «Mi sono commosso dopo il gol. È da quando mi sono fatto male che le persone che mi sono vicine sanno quanto ci tenessi a tornare bene». Poi ha detto una cosa piccola e vera: «C'è una costante: io amo la Roma».

Dopo il gol dello scorso anno al derby, segnato a dicembre, Pellegrini non ha più segnato su azione fino a ieri. Riuscirà a rompere la circolarità in cui sembra imprigionato?

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