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Gianni Montieri
Lorenzo Insigne, l'amore che manca
31 gen 2022
31 gen 2022
Riflessioni alla fine della sua esperienza a Napoli.
(di)
Gianni Montieri
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Ho pensato a lungo che quando (e se) Insigne avesse firmato per un’altra squadra ci sarei rimasto molto male, che mi sarebbe dispiaciuto moltissimo. Quel giorno a un certo punto di questo gennaio, insieme alla calza della Befana, è arrivato. Beh, mi ero sbagliato sul mio conto, ma non del tutto. Quando ho letto i primi tweet che davano ormai per certa la firma del capitano del Napoli sul contratto sontuoso offerto dal Toronto, sono stato zitto. Per due, tre, quattro giorni, non ho commentato, non ho scambiato messaggi con gli amici, ho lasciato che questa notizia andasse nel cumulo dentro il quale – come i panni sporchi nel cesto della biancheria – vanno tutte le nuove a fine giornata, sperando forse che diventasse vecchia, trasformandosi in cosa sulla quale non avremmo dovuto nemmeno farci due pettegolezzi. Perché mi comportavo così? E soprattutto per quale motivo l’addio (seppur non immediato) di Insigne non mi stava davvero dispiacendo?


 

Mi sembrava che fossero sbagliati i tempi e i modi, e che la società avesse di nuovo peccato in strategia e – successivamente – in comunicazione. Non è stato bello, vedere il capitano starsene seduto in un hotel di Roma a firmare un nuovo contratto a poche ore dall’inizio di Juventus – Napoli. Questo però è niente, sono cose che mi sto raccontando per fare finta di niente. Mi conosco, ed è per questo motivo che ho usato in alcuni passaggi il modo imperfetto - il tempo verbale capace di collocare le cose in un periodo indefinito, molto lontano, distante, sfumato, quasi già da dimenticare. Stava. Firmava. Non rinnovava. Se ne andava. Comportavo. Dispiaceva.


 

Scrivo queste righe poche ore dopo la fine della partita Napoli – Salernitana, un comodo 4-1 per gli azzurri. L’ultimo gol lo ha segnato Insigne su rigore. La rete gli ha consentito di raggiungere Maradona nella classifica dei marcatori del Napoli. Parliamo di 115 gol. Pochi? Tanti? Uno che ha segnato quanto Maradona (senza pensare, naturalmente, al minimo paragone) e che ha fatto un numero di assist impressionante, insieme a un volume di giocate entusiasmanti e divertenti, senza mai far mancare l’impegno, può mai essere salutato solo con un ciao e buona fortuna? Forse no, sicuramente no. Adesso sono passati diversi giorni dal giorno della firma e dell’addio vero potremo occuparci in estate (o anche non occuparcene e andare al mare), è interessante però provare a capire qualcosa, e vuole capirlo colui che scrive, e vuole capirlo il tifoso.


 

Un fatto è evidente: Io, Insigne, non lo ha amato abbastanza. Non quanto abbia meritato, non quanto avrei dovuto. La prima spiegazione che mi sono dato è che di tutti questi anni, in cui ha giocato nel Napoli, io ho amato un gruppo di giocatori, una modalità di giocare, una serie di giocate e di partite divertenti che mi hanno reso felice (contento di tifare Napoli lo ero già, come tutti lo sono per chiunque tifino). Io ho diviso il mio punteggio 100 di innamoramento calcistico su più fronti, su almeno quattro, se non addirittura cinque calciatori. Ho amato un pugno di futbólisti: Hamsik, Callejón, Higuain (poi un po’ odiato ma sempre ammirato), Mertens e Insigne. Mentre Cavani, Lavezzi, Careca, Maradona li ho amati tutti quanti da soli. Anche Koulibaly lo amo a parte. Qualcuno lo ho amato di più. Diciamo che se scompongo 100 per i calciatori prima citati ottengo più o meno questo risultato: Hamsik 30, Callejón 25, Mertens 25, Insigne 20. Il belga e il napoletano si sono presi nel tempo pure i numeri di Higuain. Dispiace. Le percentuali di Hamsik e di Callejón sono interscambiabili, a volte penso di avere amato lo spagnolo più di tutti. Un calciatore di cui non ricordo il tono della voce ma ogni singola giocata. Ho amato quindi un manipolo di atleti che - nella complessità di azioni che ricordo e che mi ripeto a memoria o che mi riguardo sovente - sfumano come singoli e si realizzano nei recuperi palla, nelle sovrapposizioni, nei triangoli, mediante gli scambi, con gli assist, i gol – spesso, spessissimo, questi ultimi – molto belli.


 

Tutto questo significa qualcosa per me, ma per tutti gli altri potrebbe non significare niente, o poco più. Ma è un punto di partenza per provare a capire perché Insigne faccia sempre così tanto discutere, e molto più nel male che nel bene. A Lorenzo Insigne non si è mai perdonato nulla: dal rigore sbagliato al gol mancato per un tiro a giro di troppo, dall’occasione fallita sotto porta al poco coraggio (?). Soprattutto mi pare che parte del tifo e della stampa (specie cittadina) non gli scusi il fatto di non essere un vincente, di non essere ancora più forte (!) e, infine, non gli si perdona di essersi affezionato alla mattonella (seppur posata a regola d’arte) che gli ha confezionato Sarri lungo la fascia sinistra. Ovvero, non gli si perdona Sarri (E Sarri non lo si perdona a Jorginho, ad Hamsik, addirittura a Mertens), come se aver giocato benissimo – più che benissimo – per tre anni fosse un difetto, un’onta, una macchia. Che fatica. Si va molto più in là della questione calciatore nato a Napoli e quindi della banalità che recita la difficoltà di essere profeti in patria.


 

Vediamo. Sul non essere vincente che dire? Se non perdoni Insigne allora non devi perdonare nessuno che abbia giocato nel Napoli dal 1992 in avanti. Nessuno è salvo nel testamento dopo Maradona. Da quegli anni il Napoli ha vinto tre Coppe Italia e una Supercoppa italiana, in tre di queste finali c’era Insigne e c’erano molti dei calciatori citati in precedenza. Insigne, tra l’altro, nella finale di Coppa Italia del 2014 ha segnato anche una doppietta alla Fiorentina. In quella serata irreale e tremenda poi costata la vita a Ciro Esposito. Io di quella notte assurda ricordo un ragazzo ferito (e poi morto. Ucciso da un fascista) e poi, più sfumati, ricordo i due gol di Insigne segnati nei primi diciassette minuti. Quella sera gli ho voluto bene e ho voluto bene a tutti quelli che hanno giocato quella partita. I non vincenti del Napoli. Ma quello non perdonato è Insigne, lui soltanto.


 





 

Insigne sparisce, ma allora spariva pure Hamsik, spariva Mertens, sono spariti tutti, perfino nell’anno dei 91 punti, perché poi hanno vinto gli altri. Ma noi non perdoniamo Insigne, perché magari un giorno contro un Chievo qualunque ha tentato un tiro di troppo. Lo stesso Insigne del meraviglioso gol in spaccata contro il Liverpool. Quanti giocatori del Napoli hanno segnato contro il Liverpool? Pochi, pochissimi. Perché ci abbiamo giocato poco, e perché ci abbiamo giocato poco? Sì ritorna all’avanti Diego.


 

A Insigne non si perdona di essere sparito nell’ultima di campionato della scorsa stagione, quella contro l’Hellas, quella del posto perso in Champions. È vero, ma sono scomparsi pure gli altri, pure i perdonati. I fatti salvi. Non gli si perdona l’ammutinamento dei giorni di Ancelotti, a lui più di altri. Non gli si perdona di non essere diventato più forte, di non essere un fuoriclasse. Ovvero di non essere Zidane, di non essere Messi. Insomma di non essere uno di quei quattro o cinque che nascono ogni tanto. Non ci siamo accontentati di avere un grande giocatore, capace di un primo controllo in corsa che pochi hanno, collocato in una squadra media, diciamo anche forte, ma mai la più forte. Questo è. Uno alla volta i calciatori vanno, Insigne va troppo presto e gratis. Non si è accontentato dell’offerta del Napoli? Non lo so, io l’offerta della società non l’ho capita, mi viene più facile pensare che – come già accaduto in passato – non sia stata una vera proposta, ma un modo di lasciare andare le cose. Credo che il Napoli non avesse troppa voglia di fare un nuovo contratto a Insigne, cosa del tutto lecita, però sarebbe stato meglio dirlo apertamente.


 

Non l’ho amato abbastanza, ma a ragione spiegata. E mi dispiace per lui che vada a giocare in Canada, che è come smettere di giocare sul serio, però Toronto è anche una delle città più accoglienti del mondo, e allora un po’ forse lo invidio pure.


 

Non l’ho amato abbastanza ma ricordo un sacco di serate in cui avrei potuto offrirgli da bere. E ne voglio raccontare qualcuna.


 

Intanto gli offro da bere per tutte le volte e – credetemi sono state parecchie – in cui ha trovato Callejón sul secondo palo. Quest’ultimo comparso all’improvviso (come per un fotomontaggio) alle spalle di qualunque difensore. Fuorigioco sempre eluso, assist di Insigne quasi sempre arrivato a destinazione, molto spesso il seguito dell’azione è stato concretizzato in un gol. Davvero vogliamo dimenticarci di tutti quei gol? Di quello schema perfetto che nessuno è stato in grado di comprendere? Nemmeno il difensore più forte ha capito il tempo del taglio dello spagnolo e l’attimo in cui la palla si staccava dal piede del numero 24 (molto tra parentesi, tanti detrattori di Insigne tempo fa volevano dargli la 10 di Maradona. Cose da pazzi) del Napoli. Nessuno ha capito, quelle azioni sono diventate un simbolo al punto che qualcuno su un muro (non so bene di dove) ha scritto: “Trovatevi qualcuno che vi cerchi come Insigne cerca Callejón”. Davvero non vogliamo dire grazie?


 

Ho già detto della doppietta alla Fiorentina nella finale di Coppa Italia.


 

Offro da bere a Insigne, pur non amandolo abbastanza, per quel gol segnato al Santiago Bernabeu. Una rete stupenda e impossibile, costruita a impressionante velocità sull’asse Koulibay –  Mertens - Hamsik – Insigne. Non sono molti i calciatori italiani che hanno segnato a Madrid, io ne ricordo giusto tre, uno di questi è Insigne. Quel gol ci ha reso molto felici per almeno mezz’ora, poi il Real è il Real, allora come oggi. Quella mezz’ora non la cambierei per nulla al mondo, nemmeno con la qualificazione, perché quel Napoli non avrebbe potuto in nessun caso battere il Real Madrid, ma ci ha regalato un buon ricordo e alcuni momenti di straordinaria bellezza.


 





 

Offro da bere a Insigne per la punizione segnata contro il Borussia Dortmund in Champions League, era il settembre del 2013. Benitez stava trasformando la mentalità del Napoli, quel gol – ai miei occhi – pose Insigne definitivamente tra i titolari. Tra quelli che con i piedi sanno fare qualcosa. Quel Napoli pur facendo 12 punti non arrivò agli ottavi, ma aveva messo in piedi una storia nuova da raccontare. Eravamo tornati nel campo del possibile.


 

Voglio offrirgli da bere per un gol bellissimo realizzato a San Siro contro il Milan. Gennaio 2017 è il Napoli di Sarri, uno dei migliori. Allan poco fuori dall’area di rigore passa la palla a Mertens nella metà campo del Milan, il belga si guarda intorno e vede sul lato opposto, lungo la fascia sinistra, Insigne arrivare a tutta velocità e lo lancia. L’attaccante, al limite dell’area, controlla una volta sola con il destro e poi incrocia il tiro con il sinistro sul palo lontano. Una conclusione stupenda, imparabile per Donnarumma, che nella stessa partita vedrà il pallone passargli sotto le gambe dopo un tocco delicato di Callejón.


 

È vero, non lo ho amato abbastanza, ma voglio offrirgli da bere per un gol segnato alla Fiorentina. Era il dicembre del 2016, la partita molto bella finirà 3-3. Insigne fa il primo gol dell’incontro, è spostato sulla sinistra, riceve palla da Hamisk, stoppa con il destro, alza la testa e poi improvvisamente accelera, salta Federico Chiesa e calcia, a giro sì ma anche molto forte, e mette la palla all’incrocio dei pali. Il tiro parte da almeno 25 metri, rara bellezza.


 

Pur non avendolo amato abbastanza gli pago un caffè (la bevanda che amo di più) per il gol, tra i suoi, a cui sono più legato, ed è un gol alla Juve. Siamo a settembre del 2015, a Fuorigrotta, è un gol semplice e meraviglioso. Insigne ha la palla a venti metri dalla porta difesa da Buffon, la appoggia al limite verso Higuain, che, da fuoriclasse, quasi senza muoversi, di prima, chiude il triangolo sulla lunetta dell’area di rigore, con Bonucci, Chiellini e chiunque tagliati fuori. A quel punto Insigne con grandissima calma arriva e di interno destro calcia rasoterra, in maniera molto precisa, sul palo alla destra di Buffon e segna. In quella partita uscirà per infortunio, meritava di giocarla fino alla fine e di vedere da vicino il raddoppio di Higuain.


 

In fondo, tutti noi, dovremmo offrirgli da bere (è un off-topic, mi rendo conto) per il gol realizzato al Belgio agli Europei, non solo perché è meraviglioso ma perché ha trasformato il torneo dell’Italia da possibile a realizzabile.


 

No, non l’ho amato abbastanza, forse perché il sentimento è stato diluito in tantissimi anni – non solo tra calciatori – ma anche perché il bene, l’affetto, o quello che vi pare, è stato scomposto nelle tante stagioni. Un po’ come la canzone di Gino Paoli «durerà di più se spendo un po’ per volta l’amore che ho da darti».


 

Con l’addio di Insigne finisce un periodo (mentre forse ne sta cominciando un altro) per il quale credo che da appassionati del Napoli (ma del calcio in generale) dobbiamo essere grati e allora, dopo Hamsik e Callejón, si può dire buona fortuna a Insigne, preparandoci a quando dovremo augurarla a Mertens. Il tempo passa, è naturale, però io sono grato al capitano del Napoli, gli chiedo in cambio di evitare, da qui a giugno, di ricordare a tutti noi quanto ami la squadra e la città. Lo sappiamo, è un tifoso, come tutti. Giochi al meglio delle sue possibilità fino all’ultimo fischio finale dell’ultima partita, sarà buon per lui e buon per noi.


 

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