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Daniele Manusia e Francesco Pacifico
Lo Spogliatoio s02e18
28 apr 2015
28 apr 2015
Quarti di finale: pressare in alto, differenze tra calcio e pallavolo, soffrire, tirare il rigore decisivo.
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Daniele Manusia e Francesco Pacifico
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Ho rinunciato a molti dei privilegi frutto di anni di fatica, perché ci tenevo alla squadra. Non faccio le convocazioni, non impongo più la mia visione d'insieme su quella degli altri. Devo accettare anche visioni interne alla squadra che non condivido, tipo quella di TL che in campo ci guida da leader silenzioso ma esce scontento quando gli avversari sono più forti e noi ci arrocchiamo. O GG che sottolinea i miei errori mentre gioco. Mi hanno lasciato la tattica e i discorsi nelle pause, io ho promesso che mi concentro di più in partita e non litigo con gli avversari. È la prima volta che sto bene in un rapporto “equilibrato”. È la prima volta che capisco che in realtà non sono un despota, anche se mia madre avrebbe voluto un figlio dittatore del mondo.

 



Durante il riscaldamento assorbo l’ansia dei miei compagni mentre maciniamo giri di metà campo per scaldarci. Sarà l’esperienza, sarà che giocare con degli amici sembra quasi bastarmi a livello di motivazione, sto tranquillo mentre ascolto i loro discorsi durante i nostri giri di campo. I volti dei miei compagni dicono molto della loro giornata e quindi di ciò che sarà la partita di lì a poco. In lontananza, guardo Daniele mentre carta e penna alla mano dispensa le ultime indicazioni di gioco. Daniele trascura sempre il riscaldamento e forse l’ultima volta neanche ha fatto la solita pisciata propiziatoria all’angolo del campo.

 



Dopo la vittoria con il Liverpool, in piedi a bordocampo assieme ai compagni, mentre guardavamo la partita che avrebbe deciso i nostri prossimi avversari Daniele non era con noi a bere, si era seduto in tribuna, poco più in là, a studiare Monaco-Werder Brema. Frutto di quello studio è stata la strategia di pressing alto con la quale abbiamo affrontato inizialmente il Monaco. Calcio d’inizio, palla che va al loro centrale difensivo e da lì si allarga al terzino sinistro: a quel punto corro a mettergli pressione, seguito dai compagni, ognuno su un uomo prestabilito del loro 3-3-1. Vanno in difficoltà, ce la regalano. È stata l’unica volta che ha funzionato. Già dalla fase di non possesso successiva, il nostro pressing ha perso sincronia e l’idea di soffocare gli avversari si è prevedibilmente scontrata con la nostra età e disabitudine a quell’approccio. Abbiamo corso a vuoto, avanti e poi indietro, siamo andati in affanno, gli abbiamo dato ragione di credere che con noi sarebbe stata facile.

 



La partita era iniziata male, per la prima volta nell’anno tentiamo di pressare alti gli avversari ma loro sono molto più dinamici e riescono a saltarci, anche se poi non sfondano negli ultimi metri. Lo fanno su un'azione nata da un nostro errore, che ci fa trovare sbilanciati in avanti, e segnano in superiorità. Torniamo al nostro modulo classico e ricominciamo a giocare come sappiamo, ovvero facendo girare palla finché o uno tra GG, VC e GDA si invola sulla fascia; oppure uno tra TL e MG crea superiorità a centrocampo con un dribbling vincente. GG ha uno stile strano, copre benissimo il pallone quando è in fascia destra, finta spesso di andare verso il centro per poi girare su sé stesso e andare sul fondo palla al piede. Il gol dell'1-1 lo segniamo così, GG se ne va sulla destra e crossa per MG, che anticipa il suo marcatore diretto.

 



Il loro gol è stato nell’aria giusto un po’, poi è arrivato da una palla ricevuta, protetta male e quindi persa da GDA. Quell’errore è il suo marchio di fabbrica (ne aveva fatti due praticamente identici 

) e ogni volta che lo commette mi ricordo di una conversazione con lui, fatta una sera in cui avevo scazzato a lavoro, nella quale provava a spiegarmi che cosa significa imparare a giocare a calcio. Mi stupisco ogni volta che realizzo quanto bassa sia la sua comprensione del gioco, e poi mi stupisco ancora nel constatare quanto comunque riesca a rendersi utile. GDA viene dal volley, a calciotto a volte sta in campo con l’aria di uno che ha sbagliato stanza a una festa.

 



Dopo quindici anni di pallavolo ho imparato a giocare a calcio. Adesso ogni inserimento in area, ogni triangolo si sovrappone ai ricordi del mio vecchio sport, è come quelle chiese edificate sui ruderi dei templi. Ma quando il terzino mi ha soffiato il pallone a centrocampo su un passaggio che veniva dalla difesa, e da lì è partito il contropiede dello 0-1, Daniele mi ha spiegato che è una mia lacuna tecnica: sui passaggi non vado in anticipo, aspetto la palla e perciò sono vulnerabile. Imparerò anche questo.

 



Sbagliamo tutti continuamente. AL, il nostro difensore titolare, ha capito male il giorno in cui si giocava e non si è presentato al campo. Io ho lasciato scorrere una palla su cui ero in anticipo pensando uscisse il portiere, l'attaccante è scivolato alle mie spalle e ha segnato il gol del 1-2. Era l'unico avversario con cui avevo litigato perché su una punizione in cui lui si metteva davanti al portiere e io lo spingevo via mi ha dato uno schiaffo sulla schiena, era alto la metà di me e l'ho minacciato puntandogli un gomito in faccia. Lui che esultava dopo un gol furbo, dopo un mio errore, sembrava l'incarnazione del mio fallimento. Quando succedono cose del genere penso che non ho capito un cazzo della vita.

 



Daniele ha protetto la palla diretta verso MA, il portiere, che forse l’ha chiamata o forse no. Il loro attaccante è saltato di schiena, senza guardare la palla, il portiere è finito a terra mollando la presa e l’altro ha segnato a porta vuota. Abbiamo protestato per la carica ma l’arbitro non ha battuto ciglio. Con la fatica fatta per rimontare la prima rete è stato come scalare una vetta e, dopo aver rifiatato, accorgersi che lì davanti non iniziava la valle ma c’era un’altra montagna alta il doppio. Mancavano meno di dieci minuti al termine.

 



La partita migliore l’ha fatta JJ, 

 di queste due stagioni, difensore silenzioso, esperto, con un baffo che non si inarca quasi mai e infonde calma. Si è messo sul loro numero 11, altissimo ma a suo modo agile e mobile, e dall’ottima tecnica. Noi altri in campo, tutti evidentemente più piccoli, li abbiamo guardati scontrarsi su un livello fisico inarrivabile, era un po’ come guardare

. Se le sono date: JJ nel secondo tempo zoppicava, ha pensato anche di uscire e poi ha deciso che non era il caso, che lasciare il campo era peggio del dolore.

 



La loro punta era il Carsten Jancker di Roma Nord. Lo incrocio appena prima della partita: lui e due suoi compagni vanno verso il campo bevendo Red Bull per caricarsi prima del riscaldamento, penso che starebbe bene dietro un carro techno di una Street Parade. Su un lancio lungo ha stoppato palla con un bagher e poi è stato atterrato. L'arbitro ha fischiato fallo a suo favore, io ho iniziato a urlare, quando l'arbitro si è avvicinato dicendomi di darmi una calmata mi sono girato e non ho visto il cartellino giallo che mi ha mostrato mentre ero di spalle. Ho scoperto di essere stato ammonito quando dopo un intervento duro gli avversari hanno chiesto la mia espulsione, e i compagni mi chiedevano di non fare altre cazzate.

 



Ogni volta che andiamo sotto nel punteggio penso che non ce la faremo mai a recuperare. Il mio copione è il solito: mi arrabbio, me la prendo con la sorte e con i miei compagni. Poi però inizio a giocare meglio. Iniziamo a giocare tutti meglio. Oramai neanche ricordo più le partite che abbiamo rimontato o agguantato in extremis per giocarci tutto ai rigori. Un anno fa vincemmo il torneo soffrendo così ad ogni partita, ma eravamo una squadra in divenire. Quest’anno siamo più forti, abbiamo un’identità, ma si soffre uguale. Sarà che comunque a noi piace soffrire, piace gasarci litigando con l’avversario e lottando sempre contro tutti e tutto. Forse ci piace il dolore.

 



Nel secondo tempo ho spinto sulla fascia. Su una verticalizzazione di Daniele ho preso palla, mi sono accentrato seminando un avversario e ho scaricato di collo esterno sul secondo palo; il portiere si è disteso mandando in angolo. Poco dopo ho tirato al volo su un passaggio a mezz’aria, ma anche lì grande parata. Essere in giornata è inebriante, ma forse dà un piacere più sottile iniziare catastroficamente, non disperarsi e poi giocare bene. È l’ebbrezza di invertire la rotta del Titanic.

 



JJ ha tenuto la squadra in campo sull'1-2 zoppicando, difendeva da solo e ci ha permesso di attaccare in sei. A due minuti e mezzo dalla fine, TL ha premiato lo sforzo collettivo. Una punizione assurda, a giro sul primo palo a sinistra, una parabola che molti calciatori veri non saprebbero rifare. TL ha avuto le palle di calciarla sapendo che era l'ultima azione. Mentre io gli chiedevo se voleva lasciarla tirare a me di destro.

 



Pensavo già ai rigori dopo il gol del nostro pareggio, come se non avessi fiducia nella possibilità di fare un altro gol. Io, che rigorista non sono mai stato, mi propongo sempre di tirarlo quando capita l'occasione. A me è toccato il quarto rigore, eravamo in vantaggio di uno e sentivo un filino di emozione nella pancia, il giusto. Ho posizionato la palla in avanti sul dischetto e ho dato un’occhiata di sfuggita al portiere. In questi casi tiro sempre nello stesso modo: collo destro a incrociare, alla destra del portiere, con un giro a uscire, forte. Non so perché (forse perché, appunto, non sono un rigorista) stavolta decido di tirare un improbabile collo esterno alla sinistra del portiere. Il risultato è che colpisco in terra e la palla esce strozzata, rasoterra e centrale: un disastro.

 



Il campo in cui eravamo non mi piace, la porta è più piccola del normale. Ho sbagliato il mio rigore, tirando potente e rasoterra sulla destra del portiere, mancando di mezzo metro il palo. In un altro campo sarebbe stato gol? Ma ormai dopo due tiri dal dischetto falliti sono diventato lo zimbello della squadra. Sto giocando male, GDA ormai mi ha soffiato il posto e sono utile solo per far rifiatare i titolari. Non trovo spazi né giocate, le rare volte che alzo la testa non trovo Francesco e mi manca, i giocatori avversari si lamentano con l'organizzatore perché a detta loro sono un attaccabrighe. Ma penso che vanno a casa con la Smart prediciottesimo, che vivono in un mondo tanto ricco quanto surreale e capisco che è normale si lamentino, perché sarà anche sullo stesso campo, ma giochiamo a due giochi diversi.

 



Ancora una volta avversari escono dal campo dicendo: «Ma andatevene affanculo».

 



Triplice fischio, rigori. Me la sento, ma non lo esplicito subito e lascio che altri si candidino. È la prima volta da dieci anni che gioco senza essere organizzatore e mister e che lo faccio in una squadra che ha già vari caratteri forti, che non può concedere troppi spazi a primedonne. Ma in caso di necessità ci sarei per tirare il rigore, e lo dichiaro: «Se si va a oltranza, sono io il sesto». Andiamo ad oltranza ma Daniele non mi aveva sentito (o almeno così spero) e dice: «JJ vai tu». Solo io e MG ricordiamo che mi ero candidato. La fiducia che mi infonde MG sostenendo la mia causa è durata il tempo che ci ho messo a realizzare che dovevo tirare davvero il rigore decisivo. In tribuna c'era LNS, la mia fidanzata. Fischio, rincorsa breve, mezza finta con lo sguardo, portiere da un lato e palla nell’angolo opposto. Inizio a zittire alcuni demoni personali, per ucciderli c'è la prossima partita.

 
 

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