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L'Italia femminile ha creato un nuovo bel ricordo
17 lug 2025
La vittoria contro la Norvegia permette di guardare al futuro con più speranza.
(articolo)
5 min
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Foto IMAGO / NurPhoto
(copertina) Foto IMAGO / NurPhoto
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Se un anno fa ci avessero detto che le Azzurre sarebbero arrivate a qualificarsi alle semifinali di un Europeo 28 anni dopo l’ultima volta, non ci avremmo creduto. E forse è proprio questo il motivo per cui, questa volta, le cose sono andate come dovevano andare.

Come sentiamo spesso dire, se il calcio femminile italiano è riuscito negli anni a ottenere maggior visibilità ma soprattutto ad ottenere conquiste importanti come il professionismo, il merito va dato al Mondiale di Francia 2019, dove le Azzurre guidate da Milena Bertolini erano riuscite nell’impresa di spingersi fino ai quarti di finale. In quel Mondiale nessuno chiedeva all'Italia qualcosa: le azzurre erano a tutti gli effetti delle outsider.

Il 2019 è stato la nostra fortuna ma anche la nostra condanna. Un momento spartiacque che, però, più che segnare un prima e un dopo ha fissato un inaspettato stallo. Da quel momento - noi appassionate, ma anche all'interno il movimento - abbiamo smesso di guardare con lucidità al presente condannandoci un po’ tutti a vivere nel ricordo di quel gol di Barbara Bonansea contro l’Australia.

L'Italia ha fallito il passaggio della fase a gironi sia a Euro2022 sia nel Mondiale 2023. A quel punto la retorica 2019 ha acquisito la massima forza, nonostante sarebbe stato naturale metterci una pietra sopra e guardare finalmente al futuro. Dopo due delusioni sportive così grandi abbiamo consapevolmente scelto di fermare il tempo e continuare a identificarci come movimento in ciò che di bello avevamo costruito a Valenciennes.

Per questo la vittoria di ieri sera contro la Norvegia, arrivata al 90' col colpo di testa strappacuore di Cristiana Girelli, è stata così importante. Ci permette, forse, di lasciar veramente andare quel ricordo. Il merito è di una squadra che per la prima volta ha saputo abbracciare i suoi limiti, sostenendo il peso di tacite e più discrete aspettative.

Ma anche merito di un allenatore, Andrea Soncin, la cui evoluzione personale ha avuto un impatto significativo sulle dinamiche di squadra.

Me le ricordo ancora le prime interviste di Soncin, con lo sguardo fisso rivolto ai microfoni, frasi sempre molto brevi incentrate sulla cultura del lavoro. L'impressione era che non volesse sembrare troppo verboso; evitare parole superflue di fronte a un mondo che lo aveva accolto con un po’ di scetticismo. Era un problema, sembrava, che avesse esperienze maturate unicamente in squadre maschili.

Quello che vediamo oggi invece, a distanza di due anni, è il Soncin che tutti abbiamo visto diventare virale dopo quella corsa spaesata e incredula al gol di Girelli.

È un Soncin che parla con il femminile sovraesteso, che si commuove in diretta parlando della sua squadra, che chiede alle persone di guardare le partite partendo dal presupposto che il calcio è uno, e che la distinzione tra maschile e femminile esiste solo negli occhi di chi guarda con pregiudizio.

Nel tempo Soncin è riuscito a trasmettere la sua maniacalità nella preparazione delle partite, e ha guidato il gruppo con mano esperta anche dal punto di vista mentale. L'Italia era un gruppo fragile, che ha spesso vissuto nell’ombra di sé stesso. Una squadra che è sprofondata spesso nella convinzione di non essere abbastanza. Da un po' di tempo, invece, le Azzurre hanno iniziato a vincere o ottenere i risultati che servivano anche in situazioni di grande pressione. Fino a qualche tempo fa, probabilmente, l'Italia non sarebbe mai riuscita a recuperare dal colpo psicologico ricevuto dall'1-1 della Norvegia - particolarmente doloroso per la dinamica del gol, con la catena di incertezze difensiva, ma anche per essere arrivato dopo il sollievo per il rigore sbagliato da Hegerberg. Quell'1-1 è arrivato in una partita ben giocata, a tratti persino dominata. In un altro momento la squadra si sarebbe buttata giù, avrebbe perso lucidità. Ieri invece è arrivata la reazione, coronata dal magnifico cross di Sofia Cantore sulla testa di Girelli.

Un altro fatto da sottolineare. Soncin è stato sempre molto deciso nelle scelte dell'undici titolare. Ha continuato a dare fiducia a giocatrici che dall’inizio dell’Europeo non sono riuscite a dare il contributo sperato e immaginato per le loro qualità individuali. Le scelte hanno fatto discutere dalla prima partita contro il Belgio fino a quella di ieri contro la Norvegia, e che alla fine - però - gli hanno dato ragione. Aver riconfermato il suo gruppo ha messo le giocatrici nella posizione di non avere via d'uscita: avrebbero dovuto ripagarlo della sua fiducia. Decisioni che dicono molto sulla filosofia di Soncin e sulla sua gestione mentale.

Bisogna ovviamente guardare anche oltre Soncin. Potremmo partire dalle performance straripanti di Cristiana Girelli, che partita dopo partita dimostra di non avere rivali quando la partita pesa e la palla scotta; oppure potremmo parlare della partita in crescendo di Sofia Cantore, o ancora: la solidità dell’asse Di Guglielmo-Linari-Salvai, quest’ultima all’Europeo dopo aver recuperato in corsa un infortunio ostico; oppure dovremmo parlare della freschezza di Severini e Olivero - entrambe al primo Europeo.

La sensazione è che dietro performance di squadra sofferte ma vincenti, c’è qualcosa di diverso che si sta muovendo.

Ci sono tifosi italiani che sempre più numerosi si stanno facendo lunghe e costosissime trasferte per andare in Svizzera; ci sono le giocatrici escluse dalla lista del CT che organizzano macchinate e vanno insieme allo stadio a sostenere la squadra, c’è un gruppo riunito attorno a una cassa per la musica per ballare la Carrá durante le rifiniture.

La retorica del gruppo - che tanto ci ossessiona nella narrazione delle squadre nei grandi tornei - è vera, profonda, per questa Italia.

Il sistema calcistico italiano pare in un momento di grande crisi, ed è alle prese con una complicata rifondazione. Mercoledì sera però ci siamo riuniti davanti alla tv per vedere una ragazza con la 10 sulle spalle segnare un gol all'ultimo minuto; esultare con gli occhi lucidi; abbiamo visto un allenatore che corre spaesato verso la bandierina, come se quella corsa fosse l’unico modo per anteporre il linguaggio del corpo a quello delle parole. E questo è tutto ciò che sappiamo sulla bellezza di questo gioco.

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