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L'Italia di Ventura non è stata all'altezza del Mondiale
14 nov 2017
14 nov 2017
Ventura aveva preso le giuste misure alla Svezia, ma la rigidità del suo calcio e la pressione hanno avuto la meglio.
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Alla fine è successo davvero: dopo 59 anni l’Italia non parteciperà alla fase finale della Coppa del Mondo di calcio. Dopo quella del 15 gennaio 1958 al Windsor Park di Belfast, a eliminare la Nazionale azzurra già nelle fasi eliminatorie dei Mondiali è stata ancora una volta una sconfitta per 1-0, quella di venerdì scorso della Friends Arena di Solna. A San Siro il muro difensivo costruito dalla Svezia si è rivelato inespugnabile, regalando alla squadra del Commissario Tecnico Andersson l’unico biglietto per la Russia disponibile.

Rispetto alla partita di andata Gian Piero Ventura ha cambiato solamente tre uomini, confermando per il modulo di gioco 3-5-2. Al posto dello squalificato Verratti, il ruolo di mezzala sinistra è stato era occupato da Florenzi, mentre Jorginho ha sostituito De Rossi in mezzo al campo e Gabbiadini ha preso il posto di Belotti nel reparto avanzato. Jan Andersson invece ha recuperato Lustig, il terzino destro titolare del suo 4-4-2, che ha preso il posto del difensore del Bologna Krafth, sostituendo l’infortunato Ekdal con Jakob Johansson, autore del gol vittoria a Solna.

Gli aggiustamenti necessari

Nella partita di andata le scelte strategiche di Ventura avevano creato il contesto tattico ideale per il calcio monodimensionale degli svedesi. La scelta di difendere bassi senza pressare la prima costruzione degli avversari aveva permesso alla squadra di Andersson di ricorrere agli amati lanci lunghi, indirizzati verso le punte a ridosso dell’area di rigore azzurra, spostando così il focus del confronto verso un duello fisico più consono alla Svezia che all’Italia. In fase d’attacco invece, lo svuotamento sistematico del centrocampo operato dal costante inserimento sulla linea offensiva delle mezzali Parolo e Verratti, aveva canalizzato il gioco offensivo sulle fasce, proprio nella direzione desiderata dal 4-4-2 svedese che proteggeva strenuamente il centro e non aveva paura di difendere, coi suoi centimetri, il centro dell’area di rigore dai 28 cross effettuati dall’Italia a Solna.

Per la partita di ritorno, costretti anche dal risultato, gli azzurri hanno pressato la prima costruzione svedese ottenendo il risultato voluto, anche se non troppo complesso, a dir la verità, di ridurre al minimo la produzione offensiva degli avversari. Le capacità tecniche limitate e i meccanismi di gioco troppo elementari a disposizione, non consentivano alla Svezia di eludere il pressing offensivo dell’Italia e di guadagnare il tempo e lo spazio necessari ad abbassare la difesa italiana per poi lanciare verso le punte.

La Svezia è riuscita a giocare il pallone nell’ultimo terzo di campo solamente nel primo quarto d’ora di gioco, grazie soprattutto ai troppi calci di punizione concessi dagli azzurri, che hanno commesso addirittura 5 dei 16 falli complessivi nei primi 12 minuti. I calci piazzati venivano utilizzati dagli scandinavi per posizionare i propri giocatori offensivi al limite dell’area di rigore azzurra, e provare come sempre a raggiungerli con il lancio lungo, attaccando le seconde palle oppure con una buona aggressione appena persa la palla.

L’Italia, a differenza della partita di Solna, ha pressato in parità numerica la linea arretrata svedese, costretta a giocare il pallone dietro, verso il portiere Olsen. In questo modo la linea difensiva azzurra ha potuto alzarsi ed evitare lo scontri fisico con Berg e Toivonen a ridosso della propria area di rigore.

Dopo i primi 15 minuti l’Italia ha alzato il proprio baricentro, riducendo il numero di calci di punizione concessi alla Svezia e prendendo il dominio totale del pallone. L’Italia ha giocato più in alto rispetto all’andata: a Milano la posizione media degli azzurri è avanzata lungo il campo di 8 metri, mentre quella svedese si è spostata indietro di ben 11 metri. La scarsa qualità dei lanci lunghi e la mancanza di tempo per posizionarsi correttamente per riceverli ha influenzato negativamente l’efficienza delle due punte scandinave nella gestione dei duelli aerei, con Toivonen che ha perso ben 11 dei suoi 14 duelli, in contrasto con il dato del match di Solna che lo aveva visto perdere un solo duello aereo dei 9 giocati.

Una volta aggiustata la fase difensiva, adottando la semplice accortezza di pressare la prima costruzione avversaria per alzare la linea difensiva, bisognava però trovare anche una soluzione ai problemi in fase offensiva emersi nella partita d’andata. Un aspetto che si è rivelato molto più complicato.

Il nuovo 3-5-2

Nel match di Solna è stato evidente come la priorità difensiva della Svezia fosse quella di proteggere il centro, evitando la destrutturazione del proprio blocco difensivo, contrastando anche il fraseggio palla a terra degli avversari. Forte della fisicità e del tempismo dei propri difensori centrali, la Svezia accettava volentieri di difendere dentro la propria area i palloni provenienti dall’esterno. Ventura, per evitare di essere inevitabilmente attirato negli imbuti esterni della difesa scandinava, ha preferito non cambiare il modulo di gioco, ma piuttosto dare un’interpretazione diversa al proprio 3-5-2. A variare, rispetto all’andata, è stato soprattutto la posizione delle due punte e quella delle mezzali.

Se, in Svezia, Immobile Belotti avevano giocato in orizzontale, a San Siro, le due punte azzurre si sono disposte in verticale, con Gabbiadini alle spalle di Ciro Immobile. L’idea era probabilmente quella di togliere i due riferimenti fissi e comodi ai centrali svedesi, Lindelof e Granqvist, lasciando spazio per i tagli in diagonale del centravanti della Lazio; e, al tempo stesso, seminare dubbi all’interno dei meccanismi difensivi avversari con un giocatore tra le linee di difesa e centrocampo svedesi, da utilizzare per sviluppare un gioco interno.

Al lavoro di Gabbiadini, per la creazione linee di passaggio alle spalle del centrocampo scandinavo, ha contribuito anche la diversa posizione assunta dalle mezzali durante le fasi di costruzione bassa. Come di consueto, l’inizio dell’azione italiana è stato appannaggio del rombo arretrato, costituito dai tre centrali difensivi e dal mediano, con i due esterni aperti ad occupare l’ampiezza. A Solna, le due mezzali si alzavano immediatamente ai fianchi delle due punte, impegnando i terzini avversari e liberando le ricezioni di Candreva e Darmian, svuotando però il centrocampo azzurro; a Milano, Parolo e Florenzi si sono schierati al fianco di Gabbiadini, alle spalle del centrocampo svedese, costituendo una sorta di linea a 3 dietro al centravanti Immobile.

I tre giocatori – da destra a sinistra: Parolo, Gabbiadini e Florenzi – avevano il compito di disegnare, con la loro posizione, linee di passaggio interne alle spalle del centrocampo avversario per questo si sono disposti negli spazi di luce tra i quattro componenti della linea mediana svedese.

Le due mezzali e Gabbiadini si posizionano alle spalle del centrocampo avversario, negli spazi tra i giocatori svedesi.

Al diverso schieramento posizionale adottato dal 3-5-2 si è aggiunta la diversa interpretazione del ruolo di mediano data da Jorginho, che, in costante movimento per disegnare linee di passaggio e ricevere il pallone, è riuscito a ricevere palla davanti alla coppia di attaccanti svedesi - che avevano il compito di schermarlo ma, rimanendo stretti, non sempre sono riusciti a coprire il passaggio in diagonale alle loro spalle, proveniente da Barzagli e ricevuto dinamicamente correndo verso destra da Jorginho.

Il mediano del Napoli ha ricevuto ben 13 palloni da Barzagli e 11 da Chiellini, più del doppio di Daniele De Rossi, che venerdì scorso ne aveva ricevuto rispettivamente 6 e 4.

 

Nonostante questi piccoli miglioramenti, il gioco sull’esterno è rimasto comunque l’opzione privilegiata degli azzurri: assieme a quelle che coinvolgevano tra di loro i centrali difensivi, le linee di passaggio più utilizzate (come nel match di andata) sono state quelle da Barzagli a Candreva e da Chiellini a Darmian. La posizione inizialmente più bassa e interna delle mezzali ha consentito, però, un attacco verso l’esterno più dinamico di quello visto a Solna, con le mezzali che potevano attaccare in un secondo momento le spalle del terzino svedese dopo la ricezione aperta dell’esterno.

Darmian riceve aperto e Florenzi attacca la profondità alle spalle del terzino svedese partendo dalla sua posizione interna.

Il meccanismo ha funzionato meglio a sinistra che a destra, creando alla fine del primo tempo due occasioni da gol per l’Italia concluse con un cross sotto porta e un tiro di Florenzi. A destra, la tendenza di Candreva a portare palla e finalizzare da solo l’azione con un cross o un tiro ha reso meno efficaci le combinazioni tra esterno e mezzala. Con 4 tiri e ben 17 cross arrivati a buon fine, più 5 intercettati, in 75 minuti di partita, Candreva è stato il giocatore dell’Italia a produrre il maggiore volume offensivo, fermando però troppo spesso l’azione con le sue iniziative personali e monodimensionali.

Come ha funzionato?

Quindi, ricapitolando: la nuova disposizione in campo della seconda punta e delle mezzali, così come il cambio di De Rossi con Jorginho, avevano lo scopo di aumentare il gioco interno dell’Italia. Per disordinare le 3 linee orizzontali svedesi disponendo tanti giocatori in verticale. E in effetti è aumentato il coinvolgimento nel gioco dei centrocampisti e anche le loro ricezioni negli spazi del blocco difensivo avversario. Jorginho ha giocato 80 passaggi contro i 45 di De Rossi; i passaggi diretti tra il rombo arretrato e le mezzali o la seconda punta sono aumentati (61 a Milano, 43 a Solna), sia in valore assoluto che percentualmente sul totale dei passaggi.

In particolare, Gabbiadini è stato raggiunto per ben 8 volte da Bonucci, quasi sempre con passaggi taglia-linee, e altre 8 volte dalla coppia Barzagli-Chiellini, trovando, nel primo tempo, la corretta posizione per ricevere alle spalle della linea svedese.

Il nuovo schieramento posizionale ha anche creato un habitat tattico più consono alle caratteristiche di Immobile, che, schierato da solo tra i due centrali svedesi, ha trovato gli spazi - che venerdì venivano occupati dalla presenza di Belotti e dalle due mezzali piazzate sulla sua stessa linea - per tagliare con movimenti profondi tra Lindelof e Granqvist.

Dalle ricezioni di Jorginho dietro le due punte svedesi e dai seguenti tagli di Immobile sono nate, nel primo tempo, le due migliori e più nitide occasioni da gol per gli azzurri.

Immobile ha lo spazio per tagliare alle spalle di Granqvist e Jorginho lo spazio e il tempo per servirlo. È la migliore occasione della partita per l’Italia.

Il problema è stato che la pazienza degli azzurri nel cercare le combinazioni di gioco più efficaci per scardinare il sistema difensivo svedese si è esaurita presto: a un primo tempo in cui l’Italia ha provato a utilizzare il gioco interno e combinazioni dinamiche sull’esterno per arrivare al tiro, è seguita una ripresa giocata con frenesia e parecchia confusione.

La pressione del secondo tempo

Abbandonata la ricerca delle nuove soluzioni tattiche in cambio di un forcing generoso, ma troppo caotico ed irrazionale (perché poco conveniente), l’Italia ha mostrato la sua impotenza nell’abbattere il muro difensivo svedese. A rendere ancora più arcigna la difesa svedese ci ha pensato Andersson con la prima sostituzione tattica operata: come nel finale della partita di andata, Thelin ha preso il posto di Toivonen cambiando la disposizione difensiva dei due attaccanti, col nuovo entrato che non giocava più affiancato a Berg ma in verticale, occupandosi di disturbare le ricezioni di Jorginho, la fonte di gioco più pericolosa degli azzurri.

Thelin controlla Jorginho, identificato correttamente da Andersson come la principale fonte di pericolo per la sua difesa.

Dopo 18 minuti del secondo tempo, Ventura ha provato a cambiare la carte in tavola inserendo contemporaneamente El Shaarawy e Belotti, per Darmian e Gabbiadini, mantenendo comunque inalterato il proprio modulo di gioco e i compiti assegnati ai nuovi entrati. Così, El Shaarawy ha occupato l’esterno di sinistra e Belotti si è schierato alle spalle di Immobile.

A circa 20 minuti dalla fine, il Commissario Tecnico italiano ha invertito la posizione di Barzagli e Bonucci, schierando il milanista sul centro destra, probabilmente con l’intento di regalargli un angolo di passaggio migliore per spostare il fronte del gioco con i lanci lunghi verso un potenziale isolamento in fascia di El Shaarawy. L’ultima mossa di Ventura, è stata la sostituzione di Candreva con Bernardeschi a un quarto d’ora dal termine, con lo juventino schierato come mezzala sinistra e Florenzi che si è spostato sull’esterno destro. Lo schieramento posizionale degli azzurri è rimasto invariato per tutto il match e le funzioni attribuite ai giocatori nei diversi ruolo praticamente le stesse.

Cosa è mancato?

Rispetto alla partita di andata, gli aggiustamenti di Gian Piero Ventura hanno reso meno agevole il contesto tattico per gli svedesi. La pressione offensiva e il baricentro più alto hanno disinnescato la fase di possesso della Svezia, depotenziando l’arma dei lanci lunghi e dell’attacco alle seconde palle. In fase d’attacco, la posizione assunta da Gabbiadini e dalle mezzali, ha creato una base per sviluppare un gioco interno alle spalle del centrocampo svedese e regalato, più avanti, gli spazi necessari a Immobile per esprimere le sue qualità di attacco alla profondità. In aggiunta, il continuo movimento di Jorginho alla ricerca di una ricezione utile alle spalle della linea di pressione dei due attaccanti ha creato i presupposti, in combinazione coi movimenti di Immobile, per la creazione delle occasioni da gol più chiare per gli azzurri.

Come accennato, però Ventura non ha mai abbandonato il 3-5-2 e l’estrema rigidità che caratterizza il suo calcio, purtroppo un tratto distintivo del suo percorso come allenatore della nazionale. Dopo Solna, sarebbe stato vitale per l’Italia costruire un gioco interno, ma restando all’interno del 3-5-2, il gioco tra le linee avversarie non è stato ricercato in maniera dinamica e tramite una manovra palleggiata, ma solo attraverso un’occupazione statica degli spazi alle spalle del centrocampo svedese, come caratteristico del calcio immaginato da Ventura.

Il posizionamento statico delle mezzali e di Gabbiadini alle spalle dei centrocampisti svedesi ha favorito la dispendiosa e attenta schermatura delle linee di passaggio da parte della linea mediana scandinava, costringendo il rombo di costruzione azzurro a tentare rischiosi passaggi taglia-linee per trovare le ricezioni interne desiderate. In questo modo il livello di manipolazione delle linee avversarie, il reale e principale obiettivo della ricerca di un maggiore gioco interno, è stato davvero ridotto. Il gioco italiano ha fallito il suo compito principale: disordinare il blocco difensivo svedese.

Inoltre, la complessa ricerca di passaggi taglia-linee è stata abbandonata ad inizio ripresa, quando la fatica e la pressione del tempo che scorreva, hanno ricondotto l’Italia a percorrere con costanza i fallimentari sentieri tattici già battuti a Solna, che passavano per le fasce e per i cross verso l’area di rigore svedese.

Gli azzurri hanno effettuato l’enormità di 51 cross verso l’area svedese, aumentando la produzione nel secondo tempo, in cui sono ricorsi alla soluzione alta addirittura 31 volte, creando così il contesto tattico favorevole per la difesa posizionale al centro dell’area dei vari Lustig, Lindelof e Granqvist. La Svezia ha intercettato ogni cross degli azzurri, collezionando il numero record di 56 spazzate, di cui 36 nella ripresa, e 21 sono quelle della coppia di centrali difensivi.

A poco valgono i 27 tiri effettuati dall’Italia: hanno generato solamente 1.2 expected goal con una bassissima media di xG per tiro, pari a 0.04, indice di una pessima qualità delle occasioni di tiro prodotte, quasi tutte sporche e poco limpide. Per chiarire meglio le idee: in serie A il valore medio di xG per tiro è pari quasi al doppio di quello ottenuto dall’Italia nella partita contro la Svezia.

La gestione di Ventura: un problema di rigidità

Alla rigidità e alla staticità della fase offensiva degli azzurri si è sommata inoltre una difficoltà di parecchi calciatori a interpretare con qualità la funzione a loro assegnata. Anche in quest’aspetto è evidente come la rigidità delle convinzioni di Ventura non sia scesa a patti con le caratteristiche dei calciatori e le esigenze della partita. Gabbiadini è stato più volte trovato alle spalle del centrocampo svedese, ma la qualità del suo gioco successivo alle ricezioni non è stata all’altezza delle necessità della squadra. Non ha giocato nessun passaggio filtrante e ha concluso a rete solo una volta.

Nonostante sua la posizione in campo, Gabbiadini non ha svolto la funzione di rifinitore, non è stato un moltiplicatore di gioco capace di amplificare a catena i vantaggi derivanti dalle ricezioni alle spalle del centrocampo avversario, e non è stato impiegato come finalizzatore. Era difficile immaginare facesse di più, in una partita complessa e delicata come questa, considerato che si tratta di un giocatore abituato a svolgere le mansioni di centravanti puro. Considerazioni simili si possono fare per il suo sostituto, Belotti, impiegato alla stessa maniera.

L’ostinata volontà di non abbandonare fino in fondo il modulo di gioco scelto e un calcio fatto di linee di gioco statiche e predefinite è in contrasto con le migliori qualità degli interpreti a disposizione, e con il contesto tattico tutto sommato abbastanza decodificabile offerto dalla Svezia. Viene da qui il fallimento della doppia sfida contro gli scandinavi ma è stato, più in generale, il marchio di fabbrica dell’intera gestione di Ventura, che non può che essere definita fallimentare dal punto di vista dei risultati, della qualità del gioco prodotto dalla Nazionale e della gestione dei rapporti interni ed esterni al gruppo.

Ai Mondiali ci andrà la Svezia, con delle qualità che ha mostrato solo nella difesa del cuore della propria area, grazie ai molti, troppi, cross degli azzurri; e nel gioco fisico offensivo, anche in questo caso agevolato, nella partita di andata, dall’incapacità della squadra di Ventura di impedire ai suoi avversari di lanciare lungo per contendere fisicamente ogni pallone. L’inadeguatezza tattica dell’Italia nel prevalere strategicamente contro il piano gara solido, ma semplice, degli avversari, è stata giustamente punita dalla storica esclusione dalla fase finale della Coppa del Mondo. Se si guardano le due partite senza pregiudizi, se non si tiene conto del dispiacere che si prova anche solo a immaginare un Mondiale senza l’Italia, bisogna riconoscere che per quanto mostrato in campo, è persino giusto così.

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