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Il Lille è la più grande sorpresa in Europa
27 apr 2021
27 apr 2021
La squadra di Galtier è, a sorpresa, prima in Ligue 1.
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Dieci anni fa, di questo periodo, il Lille viveva i giorni più gloriosi della propria storia. In poche settimane la squadra del nord della Francia vinceva la coppa nazionale e il campionato, in un’epoca ormai lontana in cui la star del PSG era sempre un brasiliano, Nenê, ma non era ancora arrivato il denaro di Al-Khelaifi. Dopo i sette anni di dominio del Lione, la Ligue 1 sperimentava un vuoto di potere, di cui avevano approfittato il Bordeaux di Gourcuff e Chamakh e il Marsiglia di Lucho González. Nel 2010/11 era il turno del Lille di Rudi García: una squadra davvero divertente per la velocità con cui attaccava, guidata dal miglior giocatore del campionato, Eden Hazard, da Gervinho, dal capocannoniere Moussa Sow e con una rosa di livello medio-alto, piena di giocatori che in quel periodo spesso indossavano la maglia della nazionale francese. Debuchy e Rami, titolari della difesa transalpina a Euro 2012, Rio Mavuba, tra i migliori incontristi d’Europa in quella stagione, un gran tiratore come Ludovic Obraniak e Yohan Cabaye, centrocampista di culto in Ligue 1 e anche lui titolare agli europei di Polonia e Ucraina. Il successo matematico in campionato era arrivato a fine maggio grazie a un pareggio contro il PSG al Parco dei Principi.

Ad aprile di dieci anni dopo, in quello stesso stadio e contro lo stesso avversario, è arrivato il successo che ha reso credibile la candidatura del Lille come alternativa al PSG per il titolo. Una vittoria per 1-0, dopo una partita in apnea, che ha mandato su tutte le furie Neymar, espulso a fine gara. La testimonianza più solida della competitività del Lille, però, è arrivata durante l’ultima giornata di campionato, con una vittoria in rimonta per 2-3 in casa del Lione destinata a diventare una delle partite più emozionanti dell’anno in tutta Europa.

A differenza del 2011, stavolta i dogues non dispongono di un fuoriclasse del calibro di Hazard, ma il livello medio dei giocatori è incredibilmente alto. Merito della gestione di Luís Campos, direttore dell’area sportiva che però ha abbandonato la Francia lo scorso dicembre, quando il Lille è passato dalle mani del presidente Gérard López a quelle del fondo d’investimento lussemburghese Merlyn Partners. Campos aveva diretto la costruzione del Monaco 2016/17, l’ultima squadra ad aver sottratto al PSG l’egemonia in Francia, e a Lille è riuscito a costruire squadre sempre competitive nonostante l’uso massiccio del player trading. Alla fine della stagione 2018/19, dopo la conquista della qualificazione in Champions League, il Lille aveva venduto quasi tutte le sue stelle: Nicolas Pépé all’Arsenal, Leao al Milan, Thiago Mendes al Lione. Durante la scorsa estate, invece, sono partiti il centrale Gabriel Magalhães – anche lui all’Arsenal – e Victor Osimhen.

A ben vedere c’è un filo rosso che collega il Monaco di Campos e il suo Lille, al di là dei soldi incassati con le cessioni. Si tratta di due squadre piene di ali e mezzepunte dirette e creative, incasellate in un 4-4-2 o 4-2-2-2 che ama le transizioni ma che in fase di attacco posizionale porta molti uomini sopra la linea della palla. A dirigere Bamba, Ikone, Yazici e compagni c’è Christophe Galtier, stessi occhi di ghiaccio di Rudi García, meno carisma, ma con idee chiare sui principi della sua squadra, soprattutto in fase di non possesso.

Galtier è figlio di una famiglia di pied noir, francesi tornati in patria dopo la decolonizzazione dell’Algeria. Allena il Lille dal 2017, giunto per sostituire Marcelo Bielsa. Un tecnico abituato a piantare radici profonde sotto le panchine su cui siede: prima dei dogues, ha guidato il Saint-Etienne dal 2009 al 2017. Ha lanciato giocatori come Matuidi, Aubameyang, Ghoulam e Zouma ed è stato lui a far sbocciare il talento di Dimitri Payet: «È l’allenatore con cui ho mantenuto il rapporto migliore»,diceva a proposito il numero dieci del Marsiglia, che proprio grazie agli anni con Galtier si era guadagnato il trasferimento al Lille di García.

Il Lille in attacco posizionale, ovvero il Lille in Ligue 1

Galtier non ha un undici titolare fisso, ma ci sono comunque dei riferimenti a cui rinuncia mai: oltre al portiere Maignan, la coppia centrale composta da Fonte e Botman; i terzini sono Celik a destra e Reinildo a sinistra, con Bradaric come prima alternativa, l’ala sinistra invece è Bamba. Nelle altre posizioni le gerarchie sono meno definite. Di solito sulla destra giocano Ikoné o Araújo, ma anche Yazici ha occupato quella zona; Yazici e Ikoné, peraltro, agiscono anche nell’attacco a due, in cui però i giocatori più impiegati sono il canadese Jonathan David, giunto in estate dal Gent, e il turco Burak Yilmaz, risorto agli occhi del grande pubblico a quasi dieci anni di distanza da quelle stagioni con Trabzonspor e Galatasaray in cui segnava valanghe di gol in Turchia e in Champions League. L’altra alternativa è Timothy Weah.

Il 4-4-2 del Lille cambia spesso forma, soprattutto in Ligue 1, dove la maggior parte delle squadre preferisce abbassare il baricentro e aspettare nella propria metà campo l’avversario. Contro sistemi di questo tipo, che non pressano i primi passaggi, il Lille esegue con calma la costruzione da dietro e occupa il campo in ampiezza per creare spazi nei corridoi centrali, dove stringono gli esterni che difatti diventano dei trequartisti. Galtier di solito adotta una disposizione a rombo in primo possesso, con Fonte vertice basso del diamante e Botman che diventa terzo centrale di sinistra. Da centrale destro agisce il mediano più vicino –soprattutto André – che si abbassa alla Kroos tra Fonte e il terzino. Più avanti, come detto, Bamba a sinistra e l’altro esterno a destra entrano nel campo e occupano i mezzi spazi tra le linee. L’alternativa è Celik che rimane vicino ai due centrali e l’esterno destro che occupa l’ampiezza.

Le punte, David soprattutto, hanno il compito di eseguire tagli interno-esterno in profondità tra terzino e centrale avversario per allontanare i difensori dal centrocampo e dilatare gli spazi tre le linee. Jonathan David ha iniziato a segnare solo nella seconda parte di stagione, dopo un girone d’andata da appena due gol (adesso è a quota dieci), ma è sempre stato utile grazie a questi smarcamenti profondi, proficui sia per gli esterni che per Burak Yilmaz, più propenso del compagno di reparto a giocare in appoggio. David ha doti atletiche di primo livello. Non è troppo alto, raggiunge il metro e ottanta, però è esplosivo nella corsa e regge bene l’impatto spalla a spalla. Quando minaccia la profondità è davvero credibile e per difensori sempre più lenti di lui è una preoccupazione seria. André e Renato Sanches dal centro e Celik dalla fascia approfittano degli spazi che crea sulla trequarti per disegnare precisi filtranti rasoterra che raggiungano Ikoné, Araújo o Yazici tra le linee.

Fonte fuori inquadratura. André trova il passaggio taglia-linee per Araújo, che approfitta dello spazio creato dal movimento profondo di David ad abbassare il difensore.

Se Bamba e Ikoné o Araújo riescono a puntare la difesa fronte alla porta, il loro obiettivo diventa la combinazione nello stretto con le punte – Burak e Yazici in particolare – sul limite dell’area. Se al centro non è possibile sfondare, si muove il pallone verso la fascia per creare nuclei di possesso formati, seguendo il 4-4-2 di partenza, da terzino, mediano, esterno e punta (o in alternativa, seguendo la reale disposizione, da terzo centrale, giocatore in ampiezza, giocatore nel mezzo spazio e punta che si allarga). Bamba, Araújo e Ikoné sono i principali beneficiari del sistema. Nelle catene sulla fascia il giocatore più arretrato, Celik o Reinildo di solito, fa una corsa in profondità per abbassare un avversario e dare loro spazio per il passaggio verso il centro o per la conduzione interna, visto che giocano a piede invertito. Tornare dentro al campo serve a muovere velocemente palla verso il lato debole dopo aver attratto lo scivolamento avversario.

I cambi gioco sul versante opposto favoriscono soprattutto Bamba, l’esterno sinistro. L’ala di origine ivoriana è un nome arcinoto tra i giocatori di FIFA, un Robben in miniatura, ma destrorso e col baricentro basso. Bamba è bravissimo a dribblare verso l’interno in isolamento e a calciare, spesso sul secondo palo, grazie a un interno collo potente e preciso. Spesso Burak Yilmaz, centravanti di sinistra, agisce proprio in funzione di questa sua caratteristica: un’altra giocata spesso ricercata dal Lille è il movimento incontro della punta turca, raggiunta da un passaggio in verticale; contestualmente Bamba taglia verso il centro e l’ex Trabzonspor, precisissimo negli appoggi corti, gli sistema la palla di prima per farlo giocare fronte alla porta e permettergli di calciare. Bamba comunque non è il solo specialista del Lille nel fondamentale. Anche Yazici e Araújo amano i tiri dalla distanza. Non a caso, secondo WhoScored i dogues sono primi in Ligue 1 per conclusioni da fuori area (5,7 a partita), quinti se si considerano i cinque principali campionati.

Ikoné rientra da destra e cambia gioco per Bamba. Quanti riescono a calciare da fermo in quel modo?

Limiti di sviluppo

Insomma, il Lille ha diverse armi con cui colpire, alcune difficili da difendere per gli avversari, come i tiri da fuori nati da situazioni di vantaggio. In realtà, però, la squadra di Galtier preferisce non affrontare difese schierate. L’alto tasso di improvvisazione di giocatori come Yazici, Bamba e Ikoné, in controluce diventa tendenza a sbattere contro gli avversari. Ikoné, per esempio, non ama passare la palla, ma quando lo fa ricerca triangolazioni a elevatissimo coefficiente di difficoltà, impossibili da sostenere, anche perché non sempre decelera, si avvicina troppo al difensore e finisce per scaricare con poca precisione o per farsi sporcare il passaggio. Burak Yilmaz si limita alle sponde di prima, mentre David, Weah e Bamba spalle alla porta nei corridoi centrali hanno problemi, soprattutto nel controllo orientato. Secondo WhoScored la squadra di Galtier è penultima in Ligue 1 per tiri dall’area piccola (0,4 a partita): entrare con continuità in area piccola richiede uno sviluppo sulla trequarti più ordinato. Le mezzepunte del Lille non sono giocatori di controllo, né a Galtier interessa imporre una fluidità posizionale che vada contro la natura dei suoi giocatori.

A ciò si aggiunga la poca qualità dei terzini. Celik e Reinildo hanno bisogno di parecchi metri di vantaggio per incidere; il primo, come detto, gioca anche da terzo centrale. Non sanno dribblare nello stretto e questo diventa un problema al momento di cercare il cross. Saltano l’uomo solo se in corsa riescono a prendere in controtempo il difensore. Non a caso, il meglio lo danno quando a centrocampo gioca Renato Sanches, capace di pescarli sul lato debole con cambi gioco liftati, grazie ai quali superano l’avversario che scivola su di loro con il primo controllo. La loro presenza in ampiezza difficilmente rappresenta un pericolo reale in situazioni statiche: gli avversari possono concentrarsi sulla difesa del centro.

La scarsa quantità di tiri da dentro l’area piccola e l’elevato numero di conclusioni da fuori spiegano come mai il Lille, tra le prime sei squadre della Ligue 1, produca i tiri con l’indice di pericolosità più basso: solo 0,11 xG per tiro, al pari di Marsiglia e Lens, contro gli 0,14 di Lione e Monaco e gli 0,15 del PSG.

Contro la pressione alta

Per quanto occupino il campo in maniera razionale, insomma, i francesi non dispongono di un possesso sofisticato. L’animo dei dogues, per caratteristiche dei singoli, è quello di una squadra diretta. Si vedono pochi scambi di posizione volti a favorire lo sviluppo dietro le linee di pressione. Lo si nota a partire dalla costruzione dei difensori. Il Lille consolida la circolazione da dietro solo contro blocchi medio-bassi. Contro il pressing alto non insiste più di tanto: i giocatori coinvolti si prendono pochi rischi, non provano a manipolare il pressing con i movimenti. Cambia perfino la struttura: niente più rombo, si rimane a quattro dietro con i due mediani vicino. I terzini restano bassi accanto ai centrali, ma la loro presenza, più che per garantire superiorità numerica, serve ad avere passaggi di sicurezza laterali: si scarica sul terzino che, pressato, gioca lungo sulla fascia. I passaggi o lanci lungolinea non servono ad alleggerire, ma a costruire direttamente in una zona più profonda.

I tagli interno-esterno di David (o Ikoné quando gioca punta), tornano di nuovo utili: stavolta non per favorire il trequartista nel mezzo spazio, ma per far ricevere il canadese in prima persona. Le sue doti fisiche offrono sbocchi interessanti. Il passaggio in verticale lungolinea implica spesso ricevere rivolti verso l’esterno. David con il movimento profondo deve creare separazione dall’avversario che lo segue o resistere al contrasto per girarsi verso l’interno del campo e scaricare su un compagno.

In alternativa, se c’è poco spazio per il taglio di David, il terzino alza il pallone in verticale mentre ala, punta e mediano si avvicinano alla fascia per conquistare la seconda palla; dopo aver lanciato, anche il terzino si sgancia in avanti per contendere il pallone. Nei nuclei intorno alle seconde palle spicca il contributo di Soumaré, mediano non sempre titolare, ma abile nella protezione palla a partire dal corpo a corpo, dote che gli permette di stabilizzare il possesso per il Lille. Recuperata la palla, intorno alla zona in cui è caduto il lancio si crea un lato forte. Ancora una volta si può sviluppare in zone avanzate dopo aver bypassato la prima costruzione.

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I ritmi alti, la soluzione ai problemi del Lille

La pressione alta, comunque, non è uno scenario abituale per il Lille, visto che poche squadre in Ligue 1 la propongono. Si tratta invece di una costante in campo internazionale. Quest’anno in Europa League i dogues hanno affrontato Milan e Ajax, due squadra che definiscono la propria identità col pressing alto. Se il confronto con i rossoneri ha fruttato una vittoria e un pareggio, contro gli olandesi è arrivata l’eliminazione ai sedicesimi di finale: due sconfitte per 2-1, in cui però il Lille ha saputo competere e non ha mai meritato di perdere. Con Milan e Ajax, la squadra di Galtier ha mostrato una pericolosità offensiva notevole, superiore a quella vista in campionato contro avversari ben più modesti. Non è un paradosso se si giudicano le peculiarità del Lille.

Come detto, l’animo dei francesi, per caratteristiche dei giocatori, è quello di una squadra diretta. L’efficienza di Ikoné, Bamba, David o Araújo spesso dipende dalla velocità dell’incontro. Alla squadra di Galtier conviene accelerare i giri della partita, così si spiegano le ottime prestazioni in Europa e, per converso, alcune difficoltà contro avversari chiusi che impongono di girare palla lentamente.

Contro l’Ajax, la squadra ha trovato terreno fertile per giocare al ritmo desiderato. Quanto si sentisse a proprio agio la squadra di Galtier, lo dimostra la confidenza col pallone. Nonostante gli olandesi pressino alto, spesso uomo su uomo, il Lille non si è limitato a lanciare, ma ha costruito trame più articolate. Il segreto è stato proprio il copione della partita, fatto di ritmi alti e tanti cambi di possesso. I tanti turnover comportano una perdita dei riferimenti difensivi, perché le squadre si disordinano.

Poteva capitare che in una fase particolarmente concitata l’Ajax non fosse posizionato abbastanza bene da pressare in maniera efficace: il Lille allora trovava con più agio gli sbocchi per costruire dal basso, giocare attraverso il pressing e costringere la difesa a correre all’indietro. Non a caso, i migliori alla Johann Cruijff Arena sono stati il portiere Maignan, Botman e Renato Sanches, gli unici in grado di garantire un primo possesso pulito a Galtier. Maignan è precisissimo nelle aperture tese verso i terzini. Botman da difensore centrale gestisce bene la pressione, con piccole conduzioni che eliminano un avversario e aprono spazio per passaggi taglia-linee a lunga gittata. Renato Sanches, invece, ha dei movimenti di bacino e dei piedi straordinari, l’Europa dovrebbe essere casa sua e ha disputato una grande stagione nonostante gli infortuni.

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A ritmi alti non migliora solo la manovra. Se tanti uomini riescono ad accompagnare l’azione e ad avvicinarsi alla zona palla, Galtier ha affinato un gegenpressing efficiente, che sfrutta l’inclinazione di giocatori come André e Renato a difendere in avanti. Oltre alle riaggressioni dopo la perdita del pallone, Galtier a volte sceglie di pressare alto anche sul possesso consolidato degli avversari. Con palla ai difensori rivali, il 4-4-2 spesso somiglia a un 4-2-2-2 per via della posizione stretta dei due esterni. Le ali, infatti, collaborano con le punte alla schermatura del centro: gli attaccanti coprono il passaggio in verticale dal difensore verso il regista o i mediani, gli esterni restano sul fianco degli stessi centrocampisti avversari, spingendo i difensori a giocare lateralmente verso i terzini. Con il possesso che si sposta verso la fascia, parte lo scivolamento: l’esterno del lato palla va sul riferimento largo (il terzino), la punta più vicina sta sul difensore che ha scaricato, l’altra punta invece si abbassa per schermare il centrocampista. Il mediano del lato palla del Lille accompagna l’esterno nel suo scivolamento chiudendo con la corsa il passaggio in diagonale verso la trequarti o marcando un eventuale avversario che viene incontro; il mediano del lato opposto segue in orizzontale ma resta un po’ più arretrato e l’esterno del lato opposto stringe verso il centro.

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La miglior difesa della Ligue 1

Nonostante la precisione nelle scalate, il Lille è una squadra tutt’altro che radicale nell’applicazione del pressing alto. Molte volte, anzi, Galtier cerca un compromesso tra aggressione in avanti e presidio del centro: un pressing senza troppo sforzo, dove non tutti i riferimenti vengono bloccati e dove si prova seriamente a recuperare palla solo se l’avversario è impreciso, altrimenti ci si ricompatta in due linee da quattro e si retrocede.

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È un peccato che il Lille non estremizzi la propria aggressività senza palla, diventerebbe la squadra francese dai principi tattici più in linea con il resto d’Europa. Forse Galtier teme di mettere in imbarazzo Fonte e Botman con tanto campo alle spalle. Così, però, non sfrutta del tutto le doti di un portiere come Maignan, bravissimo a gestire lo spazio tra sé e la difesa alta e ad accorciare in avanti per intercettare i palloni dietro la difesa.

Ci sono anche motivazioni offensive, comunque, se Galtier sceglie di difendere con un blocco medio. Ali e punte del Lille infatti amano giocare in transizione. Ikoné, Bamba, Araújo, Weah e anche Renato Sanches possono divorare metri e metri di campo palla al piede. Difendere correndo all’indietro contro giocatori con quel passo e con quel dribbling è davvero difficile.

La premessa per costruire transizioni, però, è mantenere la compattezza in verticale. Il Lille rimane sempre corto nel suo 4-4-2, centrocampo e difesa non si scollano mai. Il blocco resta serrato e scivola da una fascia all’altra come un unico organismo, sempre col pallone come riferimento. Galtier ha lavorato sulle distanze tra un giocatore e l’altro e sulle scalate con precisione da orologiaio, gli avversari in Francia non hanno mai gli strumenti per perforarli al centro. Al momento parliamo della miglior difesa della Ligue 1: 20 gol subiti in trentatré partite, un dato in linea con i 22,9 xG concessi. Le maglie strette permettono ai centrali di difesa di andare con facilità a contrasto e ai mediani di raddoppiare senza coprire troppo campo. Insomma, la fase difensiva non è mai passiva, a prescindere dal baricentro. Se poi l’avversario lo schiaccia, il Lille può comunque contare su Fonte e Botman, due difensori sempre puntuali nella difesa della propria area.

Gli stessi centrali, però, mostrano qualche crepa nel momento in cui devono scivolare verso la fascia per coprire il terzino, che magari è salito in pressione sul riferimento largo. Fonte in particolare, va in difficoltà se deve abbandonare il centro per assorbire il taglio di un avversario dietro Celik. Un po’ per il fisico pesante, un po’ per i trentasette anni d’età, il portoghese è lento nei movimenti laterali e difficilmente prende contatto con l’avversario sulla fascia. Molte volte gli concede di controllare e di girarsi, ha paura di tentare il contrasto perché teme di essere saltato. L’atteggiamento troppo prudente, però, è rischioso se all’avversario diretto si aggiunge un altro giocatore che si sovrappone; Fonte si ritrova in inferiorità numerica e l’uomo a cui ha concesso di girarsi può giocare il filtrante alle sue spalle per il compagno che sale. Nel peggiore dei casi, poi, il portoghese resta ancorato al centro, distante dal terzino che scivola e concede all’avversario la corsa verso il fondo.

Nonostante il primo posto, l'ingresso in Champions non è ancora scontato: in Francia si qualificano le prime tre e la quarta, il Lione, prima dello scontro diretto distava appena tre punti. Domenica sera, quindi, Galtier non si giocava solo il titolo. La vittoria del Lille sul Lione è stata straordinaria, una professione di fede nel proprio percorso e di tenuta mentale da grande squadra.

Nel primo tempo il Lille aveva iniziato bene: con gli avversari lunghi aveva avuto diverse occasioni per correre in campo aperto e colpire, ma al solito l’imprecisione di Ikoné in rifinitura aveva negato ai suoi il vantaggio. Così, il Lione aveva trovato l’1-0 grazie a una giocata di puro talento di Caqueret e Slimani. Pochi minuti dopo era arrivato il 2-0, un autogol di Fonte generato da uno dei rarissimi errori di Maignan in stagione. Sotto di due gol, tradito dal portiere, il proprio giocatore più affidabile, scavalcato in classifica da un avversario più forte come il PSG e con la qualificazione in Champions a rischio, al Lille è bastato un episodio per riaccendersi e rimanere aggrappato all’incontro: una punizione da trenta metri di Burak Yilmaz, non pulita ma chirurgica e rabbiosa, proprio come il gioco dell’attaccante turco. Pochi calciatori riescono a calarsi nella partita come l’ex Trabzonspor. Yilmaz ha giocato con un’intensità mentale e fisica spropositata, quella parte insondabile del suo talento grazie alla quale annotava cifre degne di Haaland dieci anni prima di Haaland: al cospetto della foga del turco agli altri giocatori non sembra neanche interessare della partita. Yilmaz non ha i piedi di seta e nonostante l’altezza non impone il proprio fisico come Dzeko. Però possiede un’intelligenza notevole, grazie alla quale gioca benissimo a pochi tocchi e sceglie soluzioni da fuoriclasse sotto porta. Il gol del 3-2 lo segna con uno scavetto al portiere in uscita dopo quaranta metri di corsa: un’esecuzione da professionista, da serial killer che ricopre il luogo dell’omicidio col cellophane e non lascia neanche una goccia di sangue, antitetica rispetto alla foga con cui contende ogni pallone e con cui corre in profondità.

A quattro giornate dalla fine e col PSG a un solo punto di distacco il traguardo è ancora lontano. Il primo posto sarebbe un vero e proprio miracolo. Galtier, comunque, ha costruito una squadra di alto livello, che sembra avere le caratteristiche per fare bella figura in Europa: il processo rappresenta di per sé un vittoria, anche perché dieci anni fa un avversario forte come il PSG di Neymar non c’era.

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