Nel primo Slam del nuovo decennio il triumvirato Federer-Nadal-Djokovic, vincitore di 51 dei precedenti 59 Major, ha rischiato la caduta dopo 12 successi Slam consecutivi. Quasi tutti i giocatori, all’alba della stagione, concordavano sul fatto che nel 2020 ci sarà un nuovo vincitore Slam e soprattutto Alexander Zverev aveva offerto un interessante punto di vista: «Secondo me il nome nuovo uscirà nei Major sul cemento, perché Rafa è ancora più forte sulla terra e i giovani non conoscono ancora abbastanza bene l’erba».
Dopo la fine del terzo set della grande finale tra Novak Djokovic e Dominic Thiem, la profezia sembrava potersi avverare. Non solo per via del punteggio che premiava Thiem per 2 set a 1, ma soprattutto per le condizioni psico-fisiche di Djokovic che apparivano in netta flessione. Ma forse non avevamo imparato abbastanza di quello che è stato il tennista più vincente del decennio appena trascorso e la lezione che ci ha offerto per vincere il suo ottavo Australian Open è una delle più preziose di questo torneo. Vale la pena approfondirne quattro particolarmente significative.
1. Novak Djokovic e Kobe Bryant
Negli ultimi giorni il discorso sportivo si è doverosamente catalizzato attorno alla legacy di Kobe Bryant, che si è principalmente stretta attorno a un’unica parola magica: ossessione. Non c’è dubbio che, sotto questo aspetto, Novak Djokovic sia stato il tennista che più si è avvicinato a Kobe per molti versi: dalla cura alimentare minuziosa, che per esempio occupa la stragrande maggioranza dello spazio della sua autobiografia, all’ossessione per i record dei due supercampioni che lo avevano preceduto e di cui senza dubbio invidia l’adulazione collettiva, fino a trasformare questa insofferenza in carburante («quando cantano Roger Roger io mi immagino che cantino Novak Novak»).
Djokovic sembra ambire al potere personale e alla cura dei propri interessi sul versante politico del tennis, e non è per nulla infastidito dalle numerose critiche dei colleghi. Ma ciò che conta è che sul campo Djokovic è riuscito negli anni a trasformare il suo gioco in qualcosa di meccanico e difficilmente decodificabile. Perfino Nadal, considerato prima di lui un mostro di costanza e invincibilità, sotto molti aspetti possiede tratti più umani e vulnerabili rispetto a lui.
La finale contro Thiem presentava molti tratti comuni delle partite in cui Djokovic è andato in difficoltà contro tennisti dalle caratteristiche simili, sia quelle contro Wawrinka che perfino quella contro Cecchinato al Roland Garros. La maggiore rotazione e pesantezza di palla da entrambi i lati di questo tipo di giocatori, ovviamente rapportati al loro livello generale, sfidano Djokovic sollecitandolo a sfoderare il proprio massimo nel fondamentale che gli riesce meglio, l’anticipo sulla palla.
Per molti tratti della finale, soprattutto nei due set persi oltre che nel pericoloso inizio di quarto, Djokovic ha ceduto di fronte al peso della palla di Thiem, uscendo con colpi corti o forzati e fuori misura. L’equivoco se il suo fosse un calo fisico o mentale si è presto risolto negli ultimi due parziali: la risalita di condizione di Djokovic era la testimonianza di come l’efficacia prolungata del tennis di Thiem avesse davvero condizionato psicologicamente le certezze di Djokovic al punto da farlo sembrare quasi menomato fisicamente.
La tensione mentale di Djokovic si è vista anche dal fatto che per lunghi tratti ha avuto molta più difficoltà a spingere sulle palle in back di Thiem in finale piuttosto che su quelle di Federer in semifinale, dove da metà primo set in poi era di sicuro in grande controllo. Ma proprio quando la partita sembrava al suo snodo decisivo, con la palla break per Thiem in apertura di quarto set, Djokovic è uscito dal bivio con un serve and volley inatteso e disinvolto. E nonostante la sua prestazione non abbia mai raggiunto livelli massimi di brillantezza, la compattezza del reticolato del suo tennis ha costretto Thiem a dover necessariamente ricorrere a un colpo che non era per nulla in giornata ma che ha in ogni caso dovuto continuare a forzare. Il rovescio lungolinea – perfetto nel loro ultimo precedente alle ATP Finals – ha tradito Thiem e il grande merito di Djokovic è stato quello di riuscire a costringerlo a utilizzare questo colpo senza elaborare alternative.
Quattro punti molto significativi. Nel primo Djokovic, in un momento difficile della partita, resiste sulla diagonale sinistra ai cambi di ritmo di Thiem e lo forza a uscire lungolinea. Nei successivi tre la pesantezza di palla di Thiem con entrambi i fondamentali investe Djokovic, esattamente come fatto spesso da Wawrinka in passato.
La vittoria contro un giocatore in crescita, portabandiera di generazioni che spingono sempre di più per scardinare il potere illimitato dei Big 3 e fastidioso per le sue caratteristiche, è l’ennesimo sigillo dell’equilibrio trovato da Djokovic. Un disegno ossessivo sempre più difficile da scardinare.